Area
italica tra il 1850 e il 1890
Area italica tra il 1850 e il 1890
[Introduzione storica] [Sentimentalismo]
[Nazionalismo romanticista]
[L'anti-sentimentalismo] [La
scapigliatura] [Il naturalismo]
[Teatro naturalistico] [Teatro
borghese e teatro popolare] [Realismo
borghese e sentimentale] [Umanitarismo
e denuncia sociale] [Favolistica]
[Editoria italiana] [Saggistica]
[Il positivismo] [Indice:
L'Ottocento] [Dizionario autori
]
Introduzione storica
La penisola italica conosce il progressivo affermarsi del Regno
d'Italia come stato unitario che porta al dissolvimento degli
stati regionali (1861 fine del Regno delle Due Sicilie, 1870 conquista
dello stato pontificio). Il nuovo stato unitario è presto
assillato dai problemi interni connessi a una economia arretrata,
con la presenza di un altissimo indice di analfabetismo. Il processo
unitario del resto favorisce le regioni del nord, soprattutto
la Lombardia e il Piemonte, che diventa il cuore industriale del
nuovo stato: qui hanno sede le maggiori case editrici, mentre
le case editrici del sud italico sono costrette a un ridimensionamento
o al fallimento non essendo attrezzate per reggere la concorrenza
del nord. Negli anni '80 la classe politica italiana conoscerà
una serie di grossi scandali (Banca romana ecc.) proprio per l'incapacità
a gestire in maniera moderna lo stato, proprio mentre le velleità
di stato coloniale proiettano l'Italia verso l'avventura africana
(Eritrea, Etiopia) con risultati disastrosi. Alla poderosa crisi
economica degli anni '80 l'Italia risponde con il fenomeno dell'emigrazione:
masse consistenti di contadini delle regioni del sud sono espulse
dall'Italia, costrette a cercare fortuna nelle regioni più
ricche del nord europa (bacini minerari francesi e belgi, Germania)
e negli Stati Uniti.
Dal punto di vista culturale comincia a affermarsi una borghesia
e un pubblico borghesi, capaci di recepire (anche se spesso in
maniera passiva e d'importazione) le mode provenienti dai paesi
europei più sviluppati: soprattutto Francia e Inghilterra
e, alla fine del secolo, Germania. Rielaborandole anche con risultati
originari e proficui: si veda in particolare la produzione naturalistica.
Dopo la forte tensione emotiva e intellettuale connesse alle guerre
"d'indipendenza" è tuttavia evidente una caduta di tensione,
una facilità verso il ripiegamento e il disimpegno.
Dopo gli alti esiti del pathos romanticista reso all'interno del
formalismo classicista leopardiano, il sentimentalismo precipita
nella lirica lacrimosa. E' una produzione di successo, rivolta
al pubblico borghese e aristocratico (femminile). Il patetismo
sentimentale è rinvenibile nelle opere di
Giovanni Prati (1814\1884), e Aleardo
Aleardi (1812\1878).
La penisola italica è interessata anche nella seconda metà
del XIX secolo da una forte produzione proveniente dalle correnti
ideologiche nazionaliste. Una produzione in gran parte retorica
e come tale di valore quasi esclusivamente sociologico e documentario.
A questo filone appartiene anche la memorialistica, che ha la
funzione di preservare il mito del "risorgimento" presso le generazioni
successive e soprattutto per il nuovo Stato unitario che si serve
di questi miti come collante ideologico e autogiustificativo.
Tra le cose che sono leggibili ancora senza dover rinunciare per
eccesso di nausea da retorismo, le "Noterelle" di
Giuseppe C. Abba . Alla produzione nazionalistica risponde
gran parte della produzione letteraria ideologizzata del tempo.
Anche nel campo della fiction (si pensi all'orientamento nazionalistico
delle fictions di Manzoni e di Nievo, ma anche alla nutrita serie
di 'minori') e dell'espressione poetica. Soprattutto tra 1848
e 1860, il periodo direttamente interessato dalle guerre "risorgimentali".
Al 1847 risale quello che divenne per un paio di secoli uno degli
inni del nuovo stato unitario italiano. Dal punto di vista letterario
si tratta di un testo retorico e datato, dal valore puramente
storico-documentario. Autore dei versi di Fratelli d'Italia, musicato
poi da M. Novaro, fu Goffredo Mameli .
Di come il clima di quegli anni mutasse profondamente alla fine
del secolo, si rimanda alla "risposta" all'inno di Mameli, fatta
da un altro minore come Pompeo Bettini.
Al patetismo sentimentale del secondo romanticismo reagisce la
poesia realistico-borghese di Vittorio
Betteloni e Olindo Guerrini .
E il gruppo della "scapigliatura" (Arrigo Boito, Camillo Boito,
G. Camerana, I.U. Tarchetti ecc.) anticonformista e antiborghese,
cui appartiene anche l'anticonformismo limitatamente linguistico
di Carlo Dossi e G. Faldella. Reazionario anticonformista è
invece Vittorio Imbriani .
Un tentativo di ritrovare equilibrio attraverso il classicismo
è quello di Giosuè Carducci
(1835\1907) che all'attività poetica affianca quella
filologica.
Tra il 1860 e il 1870, a Milano e Torino, fiorì il movimento
della scapigliatura. Il nome deriva dal titolo di un romanzo di
Arrighi, La scapigliatura e il 6 febbraio (1862).
Fu un movimento anticonformista e anti-borghese, che coinvolse
anche le arti figurative (con i pittori Tranquillo Cremona, Daniele
Ranzoni, L. Conconi) e la musica (i melodrammi di Arrigo Boito),
e il costume sociale. Tratto comune degli scapigliati era l'opposizione
radicale alla mentalità e ai modelli di vita borghesi,
la volontà di rinnovamento dell'espressione artistica,
il rifiuto delle tarde esperienze romanticiste (tipo Prati e Aleardi).
In questa prospettiva si richiamavano a esperienze letterarie
straniere: il maledettismo francese, Baudelaire dei "Fiori del
male", l'umorismo inglese di Sterne, Dickens, Thackeray, e tedesco
(Heine), il demoniaco e il fantastico di Hoffmann. Attraverso
questi modelli si tentava di recuperare alcune esperienze più
tipiche del romanticismo europeo che, durante la prima metà
del secolo avevano avuto scarsa circolazione in Italia. Nello
stesso tempo si conseguiva un rinnovamento dei contenuti, con
una esplicita propensione per l'onirico e il favoloso, l'abnorme
e il patologico, il funereo e il macabro, l'ironico e il sarcastico,
con l'esaltazione dell'esistenza bruciata dal vizio e con il rifiuto
anarcoide della norma borghese. A ciò corrispondeva una
concezione della letteratura come strumento atto a cogliere la
verità arcana delle cose, come contestazione delle pretese
rappresentazioni realistiche del mondo, come struttura formale
che desse ampio spazio agli elementi divagatori e fantastici.
Di qui lo sperimentalismo linguistico degli scapigliati, i quali,
rifiutando le soluzioni più ortodosse come quella manzoniana,
tendevano a esiti espressionistici, ammettendo (a volte con ostentazione)
nel discorso letterario cadenze del parlato e voci e costrutti
dialettali.
Tra intenzioni, aperture programmatiche e risultati creativi esiste
tra gli scapigliati un divario netto. La scapigliatura resta comunque
un fenomeno importante, soprattutto perché grazie a essa
cominciano a affacciarsi in Italia alcuni temi propri dell'estetismo
europeo.
Tra gli esponenti del gruppo milanese, oltre al più anziano
Giuseppe Rovani , che venne considerato
un precursore e una guida intellettuale, sono da ricordare:
Emilio Praga , Arrigo e
Camillo Boito, Igino-Ugo Tarchetti
, Cletto Arrighi ,
Carlo Dossi . Tra i piemontesi: Giovanni
Faldella , Achille-Giovanni Cagna
, Giovanni Camerana .
In narrativa si afferma in Italia l'importante filone realistico,
sotto l'influsso del naturalismo francese.
La critica letteraria italiana usa il termine "verismo" per indicare
il realismo italiano della seconda metà del XIX secolo.
Si tratta solo parzialmente di un uso terminologico nazionalistico.
Il rigetto del termine "naturalismo" deriva dal diverso significato
che il termine "naturale" ha in Francia e in Italia. Il termine
"verismo" si riallaccia a una tradizione verista che ha per esempio
in Manzoni un suo precedente (e si veda al riguardo la concezione
che Manzoni ha sul «vero»). Agivano forse anche preoccupazioni
'politiche', il tentativo di resecare dal realismo quelle valenze
politiche (filo-socialiste) che il naturalismo francese aveva
e che invece molti degli intellettuali italiani del tempo non
intendevano accedere. Politicamente il 'verismo' italiano fu un
movimento più moderato rispetto al 'naturalismo' francese,
ma a fronte di una maggiore arretratezza sociale complessiva dell'Italia,
ciò per cui quello che moderato era in Francia diventava
eversivo per la società italica del tempo.
Esigenza di concretezza, il desiderio di dare piena rappresentazione
alla realtà , a tutta la realtà sociale anche nei
suoi aspetti più umili, il postulato dell'impersonalità
dell'opera d'arte, sono elementi di questa corrente anche in Italia.
Importante opera di divulgazione dei prototipi naturalistici francesi
è fatta da alcuni critici (come F. Cameroni). Si avvia
una discussione tra filosofi e storici come De Meis, De Sanctis
e Pasquale Villari sullo scientismo positivista francese. Ma soprattutto
è un gruppo di scrittori meridionali: Capuana, Verga e
De-Roberto. La loro produzione si orientò solo raramente
verso lo psicologismo (un esempio potrebbe essere il romanzo "Giacinta"
di Capuana, 1879), mentre prevalentemente si occuparono della
rappresentazione delle condizioni del proletariato soprattutto
contadino, che in Italia rappresentava la maggior parte della
popolazione, e della denuncia sociale. E' un interesse riscontrabile
anche in altri narratori naturalisti, non tutti di estrazione
meridionale: Pratesi, Matilde Serao, De Marchi, Zena.
Non ci fu un manifesto programmatico unitario. Oggi noi consideriamo
la prefazione ai "Malavoglia" (1881) di Verga come la più
ambiziosa dichiarazione d'intenti della nuova poetica per la compresenza
di uno schema antropologico e sociologico di impronta darwinista
(il progresso come risultato di una lotta per la sopravvivenza)
e di un criterio di scrittura capace di elaborare distinti registri
di stile in relazione ai distinti livelli sociali da rappresentare.
L'impressione è che gli scrittori naturalisti italiani
guardassero più alle poetiche naturalistiche già
preconfezionate provenienti dalla Francia, per il resto più
impegnati a narrare secondo materie e materiali anche linguistici
oltre che umani non usuali per la narrativa contemporanea e che
era stata fino ad allora: impegnati a maneggiare uno strumento
nuovo piuttosto che ricercare giustificazioni teoriche autonome.
Del resto lo sviluppo borghese in Italia aveva sufficientemente
innestato la sensazione di una civiltà comune qui come
lì , mentre i successi francesi in tutti i campi facevano
della Francia un modello per l'appena nato Regno d'Italia. Dall'apparato
scientifico del naturalismo francese il naturalismo italiano trasse
soprattutto il canone dell'impersonalità . Esso attualizzava
il richiamo manzoniano al vero e l'opzione de-sanctisiana in favore
del reale, ma soprattutto rivendicava i diritti della letteratura
contro le interferenze dell'autobiografismo e dell'ideologismo.
Vi è la scoperta del «primitivo» e dell'«elementare» come
documento di verità non alterato dalla falsità dei
rapporti sociali superiori: di questa fenomenologia del primitivo
i naturalisti italici accentuano gli elementi regionalistici,
ancorandoli al particolarismo delle tradizioni e dei dialetti.
Folklore e sociologia alimentano una grossa produzione di romanzi
e racconti.
Giovanni Verga (1840\1922) è
il più originale; egli dà rilievo all'epica dei
"vinti", ai miti della sopravvivenza, del progresso, della famiglia
e della religione, la tematica della "roba". A lui si deve la
maggiore produzione narrativa italiana dopo Manzoni.
Luigi Capuana è teoricamente il più rigoroso
tra i veristi italici, ma esplora nei suoi romanzi anche le frontiere
dell'inconoscibile secondo quella corrente spiritistica che si
afferma in Europa alla fine del secolo a fianco delle razionalizzazioni
positivistiche.
Caratteristica del naturalismo in Italia è come detto l'apertura
degli scrittori alle realtà regionali, con intenti documentari
e folklorici: Federico De-Roberto ,
Matilde Serao con i suoi romanzi d'ambiente
napoletano e romano, il calabrese Nicola
Misasi , Grazia Deledda (1871\1936) le cui prime opere sono
ambientate nell'arcaica Sardegna, il milanese
Emilio De-Marchi , il genovese Remigio
Zena , e i toscani Mario Pratesi
e Renato Fucini .
Vi è un po' in tutti questi il desiderio di scrivere «pel
popolo e colla lingua del popolo», come afferma De Marchi: gli
esiti sono in genere piuttosto medi (quest'ultimo è il
caso proprio di De Marchi). L'escursione dei contenuti e dello
stile è notevole. Si va dal vergaismo del genovese Remigio
Zena alle tonalità aspre e drammatiche del toscano Pratesi,
all'inquieto manzonismo di De-Marchi, al sensualismo di D'Annunzio
nelle "Novelle della Pescara" (1902). Dal recupero della psicologia
e del «quadro storico» tentato da De-Roberto al documentarismo
colorito e appassionato di Matilde Serao. Dal bozzettismo vernacolare
di Fucini al crudo spaccato di Roma capitale di
Gaetano-Carlo Chelli .
Linguisticamente, l'adozione del dialetto, rifiutato dai narratori
come scelta esclusiva, diventa predominante nel teatro e nella
poesia. Meno rilevante fu il naturalismo italico in poesia. A
esso si possono ricondurre, non tanto il realismo domestico di
Vittorio Betteloni e quello scandalosista ostentato da Olindo
Guerrini, quanto piuttosto i versi dialettali di Di-Giacomo che
esaltano, con tonalità patetiche e con un filtro melico
molto raffinato, le risorse del parlato poetico del dialetto.
Migliori risultati invece nel teatro, in cui il naturalismo servì
a svecchiare e rendere più concrete le storie e le tematiche
affrontate.
Verga con "Cavalleria rusticana" (1884)
inaugura il repertorio naturalista che
Giuseppe Giacosa e Marco Praga
integrano mettendo in scena, a fronte di drammi contadini e paesani,
conflitti borghesi. Anche il teatro napoletano di Salvatore Di-Giacomo
è ispirato alle esigenze d'arte del naturalismo.
Nella seconda metà del XIX secolo comincia a delinearsi
anche in Italia la differenziazione di un pubblico borghese che
progressivamente si affianca e prende il posto del pubblico aristocratico
e nobiliare. Quando la borghesia conquisterà , soprattutto
in Piemonte e Lombardia, le città, la borghesizzazione
del teatro sarà completa: un pubblico più ampio
rispetto al primo, che incidono sia sulle dimensioni e forme dei
teatri che sui temi e argomenti scelti. Nelle grosse città
del sud invece la borghesia rimane numericamente ristretta, per
cui il teatro rimane in gran parte espressione e campo di strati
sociali più popolareschi.
Forse il migliore degli autori teatrali del sud italico è
Eduardo Scarpetta .
A fare da best-seller sono i romanzi provenienti dal romanticismo
borghese, patetico e sentimentale (si veda il caso di "Storia
di una capinera" di Verga). Alla fine del secolo la maniera lacrimosa,
comincia a lasciare il posto a un realismo borghese. Di questa
produzione si salva secondo il gusto odierno il sentimentalismo
moderato in cui si muove Antonio Fogazzaro
.
Certi aspetti dell'attività letteraria e ideologica di
Fogazzaro ci portano nell'ambito di uno degli aspetti più
caratteristici del mondo culturale alla fine del secolo in Italia.
E' la borghesia più avanzata che, pur rinvenendo nelle
istanze socialiste che serpeggiano sempre più organizzate
nei movimenti sindacali e politici, un nemico, cerca di attuare
proprie istanze che oggi definiremmo umanitarie. Una borghesia
avanzata, che trova nel liberismo inglese uno strumento di opposizione
all'interno di una società reazionaria e fortemente arretrata
come quella italiana. Il positivismo, con le istanze scientiste
e tecniciste, materialistiche e anti-clericali da una parte, e
l'umanitarismo con cui si tenta di disinnescare la realtà
della lotta di classe, sono istanze all'inizio progressiste. Attraverso
questa via passano attraverso una serie di riforme che lentamente
e certo in maniera insufficiente, servono a svecchiare parzialmente
una parte del mondo culturale.
Nell'ambito dell'umanitarismo e del positivismo italico, figura
tipica è quella di Mario Rapisardi.
Il 'polso' medio del mondo culturale italico del tempo è
dato proprio da personaggi come Rapisardi, parte di un mondo accademico
e d'élite in una società per gran parte analfabeta.
Nel 1881 fece scalpore nel mondo delle lettere una sua polemica
con Carducci che, punto da una irriverente allusione del "Lucifero",
lo bollò come «tenorino di provincia». Ciò non significa
che al di fuori dell'umanitarismo la cultura borghese non produca
tentativi più profondi. A parte il caso del realismo maturalista,
proprio dalle spinte del movimento socialista proviene una forte
tensione politica alla denuncia sociale. Un gruppo di scrittori
che, richiamandosi alla prima scapigliatura, pose al centro della
propria attività letteraria intenti di documentazione e
denuncia sociale. Ne fu principale esponente
Paolo Valera. Su posizioni più raccolte è
Pompeo Bettini.
Socialista e portavoce della borghesia illuminata di fine secolo
è Edmondo De Amicis, destinato
con il suo "Cuore" a influenzare profondamente diverse
generazioni di studenti italiani.
Con la diffusione delle cultura borghese, e poi soprattutto verso
la fine del secolo con una maggiore ricchezza e diffusione dell'alfabetismo
(anche se sempre confinato a livelli bassissimi, non più
del 10% della popolazione), e con una editoria più moderna
capace di indirizzarsi al pubblico secondo fasce sociali e d'età
, comincia a esserci anche in Italia una favolistica che si distacca
dal carattere popolaresco e folklorico, dalla tradizione orale,
per diventare fenomeno commerciale e veicolo di una cultura borghese.
L'influsso dominante fu quello francese. I prodotti più
interessanti alla fine del secolo sono le favole di
Capuana, e soprattutto "Pinocchio" di
Collodi destinato a rimanere anche nel secolo successivo
il libro per l'infanzia più conosciuto (accanto al "Cuore"
di De Amicis). Tra gli altri scrittori per l'infanzia, l'esempio
di De Amicis risulta predominante (si veda ad esempio Cordelia
ovvero Virginia Tedeschi-Treves).
Un posto di primo piano all'interno di questa produzione, ha
quella destinata al pubblico dei ragazzi e dei "giovanetti".
Il maggior autore specializzato in questo settore è Emilio
Salgari, che ebbe anche una serie di imitatori (Luigi
Motta ecc.). La fantasia di Salgari e il suo gusto per le
avventure, e per le azioni in mondi esotici si accompagna all'espansione
coloniale italiana del secondo Ottocento. La lettura delle opere
di Salgari inoltre divenne spesso la prima lettura fatta dai ragazzi,
al di fuori dall'ambito scolastico, e dunque destinata a influenzare
profondamente immaginario e aspettative nei confronti della letteratura
da parte del nuovo pubblico di lettori.
1) critica letteraria
I risultati maggiori della critica e della filologia italiana
del tempo ci sembrano oggi quelli provenienti dalla 'sinistra'
di un intellettuale come Francesco De-Sanctis, mentre dal mondo
accademico è la 'scuola storico-erudita' di D'Ancona, e
la linguistica di Ascoli. Sempre nel clima positivista, grosso
valore hanno le analisi stilistiche di Carducci. A dominare ovviamente
furono altre e, per noi, più caduche mode e intellettuali,
grosso modo facenti riferimento agli schieramenti politici che
il neonato Regno d'Italia conobbe: la destra cattolica, i liberali,
la sinistra socialista. Dopo l'eroismo della fase 'risorgimentale'
che aveva portato alla riunificazione della penisola sotto il
Regno d'Italia, succede una fase di normalizzazione interna, in
senso moderato e monarchico, un equilibrio che viene sempre più
scosso dalla coscienza dell'arretratezza economica e sociale del
paese e dalle 'nuove idee' provenienti dalle nazioni più
sviluppate dell'europa.
2) Francesco De Sanctis
Al progetto nazionalistico romanticista appartiene un'opera come
la "Storia della letteratura italiana" di
Francesco De-Sanctis (1817\1883) che hegelianamente rappresenta
la storia di una nazione che lentamente ritrova la sua unità
culturale e politica.
3) linguistica e scuola 'storica'
Nel settore della ricerca linguistica si distingue
Graziadio-Isaì a Ascoli . Nel campo della critica,
e della storiografia letteraria, importanti le ricerche condotte
dalla "scuola storica". Tra gli esponenti maggiori di questa scuola
è Alessandro D'Ancona, con il
suo collega Adolfo Bartoli .
La scuola erudita 'storica' rimanda alla più generale corrente
filosofica positivistica che investe l'Italia come il resto degli
altri paesi europei. La grande e non univoca corrente del positivismo
europeo conobbe diverse stagioni e mutazioni. Dopo le elaborazioni
originarie e fondatrici di Saint-Simon e Comte, e delle scuole
da loro partorite, essa rappresentò soprattutto una attitudine
culturale e psicologica che si radicò in Francia e Inghilterra
sul tronco dell'empirismo, e in Germania sul materialismo, elaborato
da chimici, fisiologi, fisici, geologi, zoologici. In Italia la
situazione fu diversa per i diversi problemi esistenti sul campo.
Fin dalla "Prolusione" con cui Pasquale Villari (1826\1917) aprì
l'anno accademico 1865-1866 dell'Istituto di studi storici di
Firenze discutendo il tema "La filosofia positiva e il metodo
storico", il positivismo italiano fu soprattutto una reazione
allo spiritualismo e alla metafisica di matrice cattolica; erudizione
nel campo storico e richiamo costante all'esperienza. Essere positivisti
in Italia significò allora, inizialmente, apertura verso
quanto si studiava fuori d'Italia, e ricerca di una conoscenza
effettiva della società italiana. Un po' tutti i settori
furono investiti dalla revisione positivista. Si pensi alla scuola
di diritto pubblico ispirata e promossa tra il 1885 e il 1892
da Vittorio Emanuele Orlando (1860\1952), la scuola positivista
di diritto penale iniziata da Enrico Ferri (1856\1929) e da
Cesare Lombroso (1835\1909), e all'opera filosofica psicologica
e pedagogica di Roberto Ardigò (1828\1920) che ne "La morale
dei positivisti" (1885) volle dare una base etica solida e certa
alla vita sociale.
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Europa: Antenati - la storia della letteratura europea online
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