Vittorio 
              Imbriani 
            
             
             
               Vittorio Imbriani 
               
               Vittorio Imbriani nacque a Napoli nel 1840 
                (morì nel 1886). Suo padre era il liberale e purista Paolo 
                Emilio Imbriani, sua madre era una sorella di A. Poerio. Trascorse 
                la giovinezza in esilio insieme al padre. A Zurigo seguì 
                le lezioni di Francesco De-Sanctis e registrò interi corsi 
                in resoconti diligentissimi. Completò gli studi a Berlin. 
                Fu suggestionato politicamente dal l'hegelismo. Volontario nel 
                1859, fu tra i garibaldini nel 1866, fu fatto prigioniero a Bezzecca 
                e deportato in Croazia. Divenne poi filo-monarchico. A Napoli 
                svolse attività pubblicistica, in transigente nazionalista 
                e duramente reazionario, arrivò in una sua poesia a esaltare 
                la forca come supremo rimedio contro i mali del mondo. Insegnò 
                letteratura italiana e tedesca all'Università di Napoli 
                nel 1878-1882. Temperamento bizzarro e polemico, sfogò 
                i suoi umori in romanzi, racconti, poesie, saggi, esibendo uno 
                stile estroso, anti-manzoniano, impastato di latinismi e arcaismi, 
                forme idiomatiche e dialettali, allitterazioni. Forse non a caso 
                fu acuto studioso di G.B. Basile ("Il gran Basile" 1875). Tra 
                le prose narrative spiccano il romanzo Dio ne scampi degli Orsenigo 
                (1876) violenta satira dell'aristocrazia italiana, e Mastr'Impicca 
                (1874) grottesca fiaba politica fitta di giochi di parole. Da 
                ricordare anche: L'impietratrice (1875), Merope IV (1867), mentre 
                nel 1977 è stata pubblicata una raccolta di racconti con 
                il titolo di Il vivicomburio e altre novelle . Imbriani manifestò 
                il suo gusto acre e controcorrente anche nella critica ("Berchet 
                e il romanticismo italiano" 1867; "Fame usurpate" 1877). Come 
                critico d'arte fu favorevole alle novità tecniche e espressive 
                dei macchiaioli ("La quinta Promotrice" 1867). Rilevante la sua 
                attività di folklorista, con le raccolte "Canti del popolo 
                meridionale" (1871-1872), "La novellaia fiorentina" (1871), "La 
                novellaia milanese" (1872). 
               
              
               
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