L'Italia
nel XVI secolo
L'Italia nel XVI secolo
La crisi italica del XVI secolo
La ricerca dei modelli
Tutta la cultura dotta europea, dalla caduta dell'impero roma
no in poi si è posto come problema centrale quello del
modello, dell'auctoritas da seguire all'interno di un dato filone
o gene re. Nel momento in cui si pone concettualmente un momento
del passato come età dell'oro, età di un paradiso
terrestre mitico perduto, ci si trova ad avere a che fare con
il problema dei mo delli. Per la cultura latina da Tommaso da
Aquino in poi auctoritas divenne Aristoteles, e l'aristotelismo
insieme all'idea geocentrica tolomeica fu l'assunto concettuale
dominante. Con l'umanesimo, con il sorgere della nuova classe
mercantile, si instaura un affinamento delle problematiche connesse
ai modelli. Ci si accorge della povertà e, in molti casi,
dell'errore cui la modellistica precedente portava. Il ritrovamento
dei "classici" greci e latini, cioè del nuovo passato cui
riferirsi, divenne evento non solo per il profilarsi di una nuova
serie di modelli (Plato, Cicero ecc.), ma anche riaccostamento
a quelli finora seguiti con nuovi occhi. Così la ripresa
dell'aristotelismo.
La cultura dotta continua a riproporre il meccanismo dei mo delli,
che è il tentativo di una classe di proteggersi dal nuovo,
dal "disordine", da ciò che non riesce a controllare e
non solo bisogno di ordine, disciplina e affinamento che il confronto
con un "classico" comporta. Nel XVI secolo si verifica anche un
altro fenomeno, quello dell'anticlassicismo. E' un fenomeno che
ha le sue origini nel secolo immediatamente precedente, nella
stessa ricerca umanistica e in particolar modo nella filologia,
la ri cerca della verità intorno all'oggettività
della realtà (un testo). Il contatto con la realtà
dell'oggetto porta alla coscienza che il modello elaborato dai
classici alcuni secoli prima non funziona pił, che la realtà
contemporanea è diversa da quella an tica, che ha proprie
regole e caratteristiche che vanno da una parte analizzate senza
moralismi e senza falsificazioni (per la politica è Machiavelli
per la storia è Guicciardini). Dall'altra parte si sente
il bisogno di nuovi modelli. La cultura contemporanea, forte delle
nuove conquiste effettuate, si propone e ricerca modelli nuovi,
nei campi nuovi che la cultura del XVI seco lo conosce e che nel
mondo classico greco e latino non esisteva o di cui non ha lasciato
documentazione di riferimento. Così il "Cortigiano" di
Castiglione, e la stessa opera di Vasari che è in fondo
una esposizione di "modelli" di grandi artisti da proporre all'esempio
di contemporanei e posteri, e la "Vita sobria" di Alvise Cornaro
ecc.. E' una strada questa che porta man mano all'acquisizione
di una nuova coscienza collettiva, quella di una differenza rispetto
all'antico, e, perché no, a una superiorità rispetto
al mondo classico latino e greco: sarà la "questione de
gli antichi e dei moderni", parte di una nuova concezione dei
va lori e della weltanschauung. Ciò che nel mondo borghese
porterà alla nuova concezione del tempo e dell'idea di
progresso. Nello stesso tempo la strada dei "modelli" porta al
fenomeno, che inte ressa la letteratura soprattutto nella seconda
metà del secolo, del manierismo.
Il dibattito estetico
Il dibattito estetico è dominato dalle figure di Pietro
Bembo, Baldesar Castiglione, Lodovico
Castelvetro, Stefano Guazzo. Sono
i saggisti che possono ancora oggi leggersi, e che hanno avuto
una influenza sugli sviluppi della riflessione estetica successivi.
Storiografia
Al campo storiografico appartengono le opere di Benedetto
Varchi, Donato Giannotti, Iacopo
Nardi, Francesco Guicciardini.
Operazione storiografica particolare compie Giorgio
Vasari. Con lui siamo nel territorio di confine tra estetica
e storiografia.
La stampa: tipografie e editori
Con la nascita della stampa sorge un mestiere nuovo. La tipografia,
centro di riproduzione del testo scritto, diventa editore, colui
che investe denaro sulla vendita di un testo e che dunque opera
la selezione dei testi in base al criterio di vendibilità
del prodotto.
In questa fase di trasformazione avviene anche un fatto importante:
la nascita di un'arte tipografica. I primi prodotti stam pati,
quasi sempre esteticamente inferiori ai prodotti scrittori manuali,
cominciano ad acquisire una peculiarità e un pregio artistico
proprio. L'arte tipografica nello stesso tempo si affran ca dalla
competizione con l'arte amanuense, sviluppa caratteri e vincoli
stilistici formali propri.
Il maggiore tipografo ed editore dopo i "padri fondatori", è
Aldo Manuzio, la cui arte influirà
fino ad oggi sulla storia dell'edizione del libro.
Nel XVI secolo la fase sperimentale della stampa è in gran
parte superata dal processo di espansione che le tipografie cono
scono. Ne spuntano come funghi dapertutto, nelle città
pił avanzate economicamente e culturalmente dell'europa latina
e post-latina. A esse si deve il proliferare delle pubblicazioni,
con l'allargamento della fascia del pubblico tradizionale.
Una delle conseguenze della stampa e dell'affinamento dei criteri
razionali di sistemazione e sistematizzazione della cultura è
anche lo sviluppo di scienze connesse con il libro. Così
la bibliografia. Tra i maggiori bibliografi del secolo è
Conrad Gesner, autore di una Biblioteca universale (Bibliotheca
universalis) in due tomi, in cui ordinò e diede sistemazione
al patrimonio scritto di tutta la civiltà scientifica e
letteraria europea. Con la stampa il processo di accumulazione
del sapere subisce una notevole virata. Si passa da una fase artigianale
a una pre- industriale. Non è secondario il fatto che ciò
sia potuto avvenire per opera degli umanisti, in cui l'attenzione
per la tecnica si univa a un'amore per il libro che sconfinava
anche nel misti cismo e nell'esoterismo (si pensi all'ermetismo
e alla cabbala cristiana), in cui il libro era posto al centro
dell'attenzione in quanto custode della conoscenza, e non solo
delle tecniche (mediche o giuridiche) e della memoria (storia):
conoscenza sapienzale, mistica, magica, occultistica. L'ansia
umanistica per la totalità, ciò che portava da una
parte al misticismo e al desiderio di tutto sapere sull'universo,
dall'altro portava al ten tativo di accumulare quanto pił possibile
delle conoscenze acquisite.
Teatro: la tragedia
Il peso della precettistica aristoteliana (che però ebbe
una determinante importanza culturale a fornire strumenti, tecniche
e coscienza artistica agli intellettuali che finora avevano operato
dilettantisticamente) si ha soprattutto nella produzione di tragedie.
Fredde, anche se stilisticamente impegnate ci sembrano le opere
di Gian Giorgio Trissino (con la sua
Sofonisba), Luigi Alamanni (con
Antigone ). Alla fine del secolo sembra che la tragedia si evolva
verso forme pił originali, con l'influsso di Seneca, la proposizione
di temi orridi, atroci con Gianbattista
Giraldi Cinzio (1504/1573): una tragedia horror che ebbe
notevole fortuna in europa.
Teatro: la commedia
Pił interessanti i risultati nella commedia. Ludovico
Ariosto inizia l'imitazione dei modelli classici latini inserendo
compli cazioni di trama e tipologizzazione dei personaggi, ma
i suoi risultati non sono granché.
Tra le cose migliori del secolo è invece la Mandragola
di Machiavelli, che riesce a
rappresentare con vivace realismo, impie toso pessimismo, un mondo
corrotto e quotidiano. Pił artificiose ma di buon livello ci paiono
la Calandria di Bibbiena,
le commedie di Pietro Aretino, quelle
degli Accademici Intronati di Siena.
Il pił innovatore commediografo del secolo è Angelo Beolco
detto 'il Ruzante' , che vivifica la
cultura classica con il filone popolaresco in lingua pavana: contrapposizione
città vs campa gna, satira del villano, il tragicomico
del contadino in guerra sono i suoi temi. Con Ruzante siamo nell'orbita
di una tradizione dialettale estremamente viva e efficace, cui
appartengono anche altre commedie di alto livello qualitativo:
La veneziana (La Venexiana),
e le commedie di Antonio Calmo (1509
o 1510/1571): con essi siamo sulle soglie della "commedia italiana
dell'arte".
Pił appartenente alla sociologia del teatro che da segnalare per
i risultati di valore raggiunti, la produzione teatrale sempre
vasta, che continua per tutto il secolo, proveniente dai centri
e dalle organizzazioni religiose. Particolarmente interessante
è la produzione teatrale dei conventi cattolici di suore.
Quella dei conventi è una situazione molto differenziata,
da con vento a convento; la produzione è legata alla connessione
di ceto di badesse e suore. Mentre influisce la progressiva chiusura
dei conventi: dopo il concilio di Trento si decretò ad
esempio la clausura in tutti i monasteri femminili, anche quelli
fondati co me case 'aperte' di terziarie. La vita delle suore
era rigidamen te condizionata dalla disciplina imposta, ma in
alcuni conventi, nei periodi festivi, la vita di preghiera e di
lavoro veniva interrotta con spettacoli di vario genere e banchetti.
Le monache allestivano rappresentazioni e commedie con intermezzi
musicati e apparati scenici anche notevoli.
Giovan Battista Gelli che nella Sporta (atto III, scena 3) parla
del teatro delle suore, così descrive le preparazioni:
«e gli è teste lor tocco la fregola di far una commedia.
Otto dì prima e otto dì poi, si durerà a
portar cose in qua e in là». Nel prologo della Ricreazione
facta per el dì di S.Agnese , una sacra rappresentazione
proveniente da un monastero toscano di domenicane, due suore discutono:
una si lamenta della fatica che lo spettacolo le ha procurato,
l'altra trova a dirne bene:
«[Prima suora:] "O quanto indarno s'affatica & suda
| per recrearsi una volta o dua l'anno! | Tanto è Fortuna
de' suo' beni ignuda: | la festa è superata da l'affanno.
| Pił di spiaceri che piacer si riceve | e sare' meglio a pigliarsene
panno".
[Seconda suora:] "Egli è così ma pure e' si richiede
| c'un s'affatichi perché ciaschun goda. | Così
la carità crescer si vede"».
Le suore curavano tutti gli aspetti dell'allestimento: prove,
messa in scena, recitazione. A volte producevano esse il testo
da rappresentare. Le festività principali erano quelle
di carnevale, il natale, e le feste importanti per il monastero
come quella del santo protettore o per le vestizioni e professioni.
A volte nei monasteri erano rappresentati testi scritti da 'esterni'.
Tra i commediografi che scrissero testi espressamente per i conventi,
fu Giovan Maria Cecchi. Egli seguiva la prassi di indirizzarle
a pubblici diversi, modificando il prologo a seconda dei destinatari
(monache, frati, confraternite ecc.). Nell'ambito di questa sua
produzione, interessante è L'acquisto di Giacobbe , una
commedia spirituale del 1580-1587, nel cui prologo, scritto per
una recita claustrale di monache, è una difesa dell'uso
di fare commedie nei monasteri, ovvero di aprire spiragli di evasione
e di gioco in un ambito che i pił integralisti vorrebbero chiuso
e fisso alla sola pratica cultuale. Fa dire Cecchi nel prologo:
«Questa nostra natura è così debole
| che se ella non ha qualche ristoro | religiose ascoltatrici
e pie | ella non può durar nelle fatiche | del corpo
e manco in quelle dello spirito. | Onde vedete che bisogna darle
| quanto al corpo, il suo cibo al tempo debito | e il suo sonno.
Poi, quanto allo spirito, | le sue recreazioni e sue vacanze.
| [...] | Alli contemplativi è di bisogno talvolta aver
qualche re creazione, | come sarebbe andare all'aria, fare |
altro esercizio lecito ed onesto | [...] il fare alla palla,
alle pallottole, | e cose simiglianti. Acciò che poi,
| ristora tosi il corpo insieme e l'animo, | fussero pił ferventi
all'orazioni | e agli altri pesi che dava la regola».
Cecchi racconta un aneddoto, derivato dagli "Apophthegmata patrum"
dov'era attribuita a san Antonio eremita, ma lui l'attri buisce
a san Benedetto abate. Benedetto dimostra a un giovane mo naco
la necessità del riposo nella vita: come per mantenere
in buone condizioni una balestra non si può lasciarla carica
a lungo altrimenti diventa molle e non tira pił bene, così
affinché i monaci siano pił assidui nel lavoro e devoti
nelle preghiere è necessario che si concedano riposo e
svago: «ogni cosa | insomma, vuole i suoi riposi»:
«Da | questo, mi credo io, fur mossi quelli | che
fér i monasteri, a consentire | che le suore facessero,
ne' tempi | che siamo adesso, le presentazioni | e le commedie,
avendo sempre l'occhio | che le fussero oneste e da cavarne
| spas so spirituale e documento».
Le recite erano permesse dalle autorità purché avessero,
oltre al divertimento, allo «spasso spirituale», anche uno scopo
didattico, il «documento». Ma erano sempre controllate perché
non scadessero nella licenza. E a recitare erano messe le giovane
monache e qualche volta anche le educande.
Produzione lirica
La produzione lirica è indirizzata lungo una serie di filoni.
Quello sentimentale e di evasione, con il petrarchismo e l'arcadismo
(cui dà il via Sannazaro); nei
migliori tra essi vi sono spunti esistenziali veri (come in Buonarroti).
E quello satirico e polemico, di cui è parte anche Pietro
Aretino.
Al di fuori del petrarchismo, ma dentro filoni già provati,
i migliori risultati sono raggiunti da Francesco
Berni (1497/1535) nel campo della satira per i suoi atteggiamenti
antiletterari.
L'arcadismo
La fortuna dell'opera di Sannazaro
fu enorme nel XVI secolo. Solo in Italia si contano 66 edizioni
nel corso del secolo. Negli altri paesi l'imitazione continuò
anche nel XVII secolo. Si pensi alle egloghe di Garcilaso de la
Vega; "I sette libri della Diana" (1558-9) del portoghese J. de
Montemayor; l'"Arcadia" (1590) di Sidney; l'"Astrea" (1607-1627)
del francese H. d'Urfé; la "Ninfa Ercinia" (1630) del tedesco
M. Opitz.
In genere si può dire che l'arcadismo interessò
in particolar modo l'area spagnolo- castigliana, e quella inglese.
Nel XV secolo nella Spagna castigliana le forme liriche risentono
pił dell'in flusso dell'arcadismo e di Sannazaro che del petrarchismo
(che pure ha vasta eco). esemplare l'opera di J. Boscán
Almogáver il cui incontro a Granada con Navagero nel 1526,
è rimasto a indicare emblematicamente l'inizio di una nuova
stagione. Oltre che naturalmente Garcilaso de la Vega.
Sugli inglesi è forte l'influenza del petrarchismo, mediato
anche attraverso le esperienze liriche francesi della Pléiade.
Ma è l'"Arcadia" di Sidney a essere tradotta nel 1620 da
M. Opitz in tedesco e avviare, anche se solo in ambienti ristretti,
la moda pastorale. La lezione italica del modulo pastorale è
assorbita anche da lirici olandesi come D. Heinsius e P.C. Hooft.
Il petrarchismo
In campo poetico dominante è il petrarchismo. Esso si sviluppa
in Italia, nella prima metà del XVI secolo in ambiente
accademico-universitario, principalmente veneto, grazie alla normalizzazione
fatta da Bembo. Una riforma, rispetto
al petrarchismo del XV secolo, scandita da tappe successive e
continue sempre pił prestigiose: la riproposta del "Canzoniere"
(cioè i "Frammenti di cose in volgare") di Petrarca in
una edizione puntigliosa mente corretta e annotata (1501); l'approccio
teorico al nesso platonismo-petrarchismo nel dialogo degli "Asolani"
(1505); la codificazione, intimamente rivissuta, del linguaggio
petrarchesco come linguaggio supremo e assoluto della poesia nelle
"Prose di lingua volgare" (1525). Contro l'eclettismo del XV secolo,
Bembo applica alla produzione volgare il principio dell'imitazione
dell'"autore unico", teorizzato dall'umanesimo ciceronianista;
addita nel "Canzoniere" e nel "Decameron" i paradigmi esclusivi
della poesia e della prosa. In questa prospettiva il "Canzoniere"
diventa il modello in sé concluso e perfetto, da cui ricavare
le regole generali di comportamento e le forme espressive conseguen
ti. Sintomatica è l'interpretazione del "Canzoniere" in
chiave di storia romanzesca e di "itinerarium vitae", su cui insisteranno
tutti i commentatori del XVI secolo (A. Vellutello, G.A. Gesualdo,
B. Daniello ecc.). Il petrarchismo bembiano ebbe anche una valenza
sociale, fu una moda, amplificata dalla diffusione a stampa dei
canzonieri e delle raccolte di rime, in grado di caratterizzare
e definire precisi ambiti e livelli socio-culturali.
In Bembo teorico è l'identificazione assoluta con il modello,
che è quindi un "sistema". Ciò porta nei rimatori
bembeschi a forme di virtuosismo e stereotipizzazione.
Nella selva dei petrarchisti del XVI secolo, il petrarchismo si
presenta tuttavia realizzato in una casistica inesauribile di
variazioni, pił o meno consapevoli, di slittamenti che non intaccano
il sistema ma portano alla graduale dissoluzione dei modelli e
dei canoni, ciò che verrà sanzionato nelle rime
di Tasso. I pił ortodossi sono i rimatori veneti: T. Gabriele,
B. Cappello, Antonio Brocardo.
Tra i tosco-romani sono tentativi di variare la "grammatica" bembiana,
in vari modi: ricorrendo ai metri barbari e al classicismo archeologico
(Claudio Tolomei); intensificando i
toni elegiaco-meditativi (Giovanni Guidiccioni);
rappresentando gli effetti dolorosi e stranianti dell'amore (Francesco
Beccuti il Coppetta); si impiegano
forme pił sciolte, come il madrigale (G.B. Strozzi).
Nei meridionali si privilegiano i temi paesistici e pittorici
(Luigi Tansillo, Bernardino
Rota); altri curano la scansione epigrammatica del sonetto
(Angelo Di Costanzo).
Anche tra le rimatrici, ad eccezione di Isabella
di Morra chiusa nella tragicità della sua personale
esperienza, ci si muove nell'ambito del petrarchismo bembesco:
a livello colto e dot trinario con Vittoria
Colonna, sentimentale e melodrammatico con Gaspara
Stampa (tra i maggiori autori lirici del secolo), mondano
o "di corrispondenza" con Veronica Gambara,
Chiara Matraini, Laura
Battiferri, Laura Terracina ecc.
Sul finire del XVI secolo, il petrarchismo tende sempre pił a
complicarsi all'interno di una moda manieristica. A un manierismo
classicistico si ricollega un minore come Bernardino
Baldi.
Nel corso del XVI secolo, mediato dalle traduzioni del "Canzoniere"
di Petrarca e dalla diffusione delle opere dei maggiori poeti
italici, e grazie al soggiorno in Italia di molti intellet tuali
europei, il petrarchismo si estese agli altri paesi europei. In
Europa modello di riferimento però non fu Bembo all'inizio,
ma la poesia cortigiana del secondo XV secolo. Grande fortu na
ebbe ad esempio Tebaldeo e soprattutto Serafino Aquilano, in Francia:
si vedano M. Scève, Ph. Desportes, Clement Marot, M. de
Saint-Gelais; mentre in Inghilterra ne sono influenzati Th. Wyatt
e H.H. Surrey. Il petrarchismo bembesco fu ripreso dai poeti francesi
della Pléiade: P. de Ronsard, J. Du Bellay, J.A. de Baļf
, R. Belleau ecc. Essi sul tronco bembesco innestano i modelli
dell'antichità greco-latina: Pindaro per le odi, Anakreon,
Oratius, Catullus per le liriche, creando forme preziose di intarsio
stilistico desti nate a rigenerare il classicismo europeo del
tardo XVI secolo e dei primi del XVII. Subirono l'influenza della
Pléiade una lunga schiera di lirici inglesi: Th. Watson,
Ph. Sidney (i padri del sonetto elisabettiano), Th. Lodge, M.
Drayton, E. Spenser, William Shakespeare.
Pił autonoma l'evoluzione del petrarchismo castigliano- spagnolo,
in cui si inserisce pił forte la mediazione di Sannazaro. Da una
conoscenza diretta degli ambienti italici nasce anche la riforma
poetica portoghese, attuata da F. Sá de Miranda dopo il
lungo soggiorno italico del 1521- 1527.
Sporadico e tardivo fu invece l'influsso del petrarchismo in Germania,
dove la tecnica della "correlazione" affiora solo in alcuni poeti
del XVII secolo, e con la mediazione del modulo pastorale. Così
avviene anche per i lirici olandesi.
I migliori petrarchisti italici sono Giovanni
della Casa, Galeazzo Di Tarsia,
Gaspara Stampa, e soprattutto Michelangelo
Buonarroti. Essi si muovo all'interno del sistema, ma lo portano
in direzione pił personale, a una maggiore varietà di toni
e modi. A essi riesce forse quello che non riesce agli antipetrarchisti
di chiarati (come Berni, T. Folengo, Pietro Aretino): la disgrega
zione e il superamento del petrarchismo stesso. Nel momento in
cui questi ne accettano i canoni, ne mettono profondamente in
crisi le premesse ideologiche: in essi sono vivi esigenze nuove,
che non hanno pił il loro rispecchiamento in quel modello statico
e sempre pił inadeguato ad accogliere le oscillazioni e i tormenti
delle coscienze della post-controriforma.
Antipetrarchismo
Esiste in tutto il XVI secolo un sotterraneo impulso antipe trarchista
e anti-dotto, proveniente da ambienti culturali scapi gliati e
pił vicini, forse, ai gusti e alla realtà quotidiana. Ciò
che rimane ovviamente sono in gran parte prodotti di uomini non
incolti, letterati anti-dotti, giacché di tutto quel che
si produceva a livello quotidiano e popolare, affidato alla cultura
orale e dei cantastorie, non restano molte tracce. E tuttavia
l'antipetrarchismo fu un'esigenza, parte della ricchezza cultura
le dell'Italia centro-settentrionale nel XVI secolo. Fenomeno
sociale ma anche portatore di opere e tentativi tra i pił interessanti
dal punto di vista letterario.
I maggiori autori antipetrarchisti sono certo Berni,
Folengo, Pietro
Aretino. Ma insieme a loro, a livello spesso locale, operano
tutta una serie di autori minori, che danno il background di un
fenomeno capillare. Si pensi a una figura come Giovan
Paolo Lomazzo.
Produzione narrativa
Le cose migliori sono quelle connesse a spiriti non eruditi, vivificati
dalla comunicatività realistica. Per il resto si preferisce
far opera d'arte tramite il poema narrativo, specie con quello
cavalleresco. La narrativa in prosa italica è decisamente
influenzata dal modello boccacciano. Interessante il racconto
di Luigi Da Porto, sulla storia di
Giulietta e Romeo che giungerà poi a Shakespeare tramite
Bandello e Arthur Brooke.
Nella gran parte però si assiste a un processo di progressivo
appiattimento dei moduli narrativi boccacciani, nella direzione
pedanchesca e moralistica (un esempio estremo, le novelle di Sebastiano
Erizzo quasi del tutto prive di dialogo e che utilizzano una
lingua bembesca).
Il poema cavalleresco
Alla composizione di grossi poemi "cavallereschi" si dedicano
all'inizio del secolo Ludovico Ariosto
(1474/1533), con Orlando furioso (in prima edizione nel
1516 e in seconda, rilimata sotto i precetti bembeschi, nel 1532),
tra le opere pił luminose e gra devoli della produzione di questo
secolo, e, alla fine del secolo - in epoca già segnata
da una decadenza sociale e culturale, dal la controriforma, dal
manierismo prebarocchista - Torquato Tasso
(1544/1595) con Gerusalemme liberata.
Nel contesto dei poemi cavallereschi seri e dotti, un posto importante
hanno gli anti- poemi cavallereschi, in cui il comico la parodia
e la satira prevale: così le opere di Folengo, e di Rabelais.
La produzione in latino
Parallela alla vasta fioritura in lingua post-latina italiana,
si ha in Italia una vasta produzione in latino, proveniente dagli
stessi ambienti culturali. In questa produzione è pił evidente
la derivazione dal clima culturale del XV secolo. E' una produzione
latina umanistica, che raggiunge notevoli risultati in campo poe
tico e non solo nella trattatistica e negli studi. Il trionfo
nel XIX secolo degli stati nazionali europei, con la scelta delle
lingue nazionali, ha fatto dimenticare o perdere l'attenzione
su gli autori latini coevi alle prove della maggiori letterature
nelle lingue post-latine.
Il latino, nei paesi pił ricchi dell'occidente europeo era il
background culturale, il mezzo di comunicazione comune degli appartenenti
alla classe colta e intellettuale. Una presenza del latino che
si era rafforzata con il progresso stesso della scolarizzazione.
Caso documentario tipico che ci fa vedere quanto presente e capillare
fosse la diffusione del latino nelle regioni pił ricche dell'occidente
europeo sono la serie di notai, giureconsulti, ecclesiastici che
usano il latino per le normali faccende quotidiane, per la diaristica
o per il diletto poetico.
Tra i poeti in latino, un posto occupano gli italiani Marcantonius
Flaminius, Domenico Tarilli.
XVI secolo
[1997]
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