Giovanni 
              Della Casa 
            
             
             
              Giovanni Della Casa 
               
               Giovanni della Casa nacque vicino Firenze nel 1503 (forse a 
                Mugello). Si formò a Firenze e Bologna, fu a Roma. Amico 
                di Bembo a Padova (1527), nel 1529 tornò a Roma. Dal 1537 
                iniziò la car riera ecclesiastica. Ambasciatore a Venezia 
                (1544-1549). Scrisse due famose orazioni: una per convincere i 
                veneziani a allearsi contro Carlo V, l'altra per indurre l'imperatore 
                a riconsegnare allo stato pontificio Piacenza. Durante il papato 
                di Iulius III , si ritirò nel trevigiano (1553-55). Con 
                l'elezione di Paulus IV tornò a Roma, fu segretario di 
                stato. Morì a Roma nel 1556. 
                 
                Amico di Berni e di Firenzuola nel primo periodo romano, scrisse 
                cinque capitoli berneschi di argomento osceno. Più importanti 
                le altre opere: orazioni, una serie di scritture in latino, un 
                ricco epistolario familiare e diplomatico. E soprattutto le Rime 
                (pubbl. 1558) di imitazione petrarchesca: 64 componimenti, più 
                alcuni rifiutati o di dubbia attribuzione. In esse, più 
                che indulgere sui motivi amorosi, C. si occupa delle dissonanze 
                drammatiche della vita, il contrasto tra ideale e quotidiano: 
                ciò che ne fa testimone dell'inquietudine e della condizione 
                contraddittoria di tutta un'epoca. La sua è una poesia 
                finemente lavorata, attenta alla musicalità della singola 
                parola. Il suo verso è ca ratterizzato da un uso originale 
                dell'enjambement. C. è autore anche di un trattato che 
                ebbe enorme fortuna: il Galateo , composto su istanza di Galeazzo 
                Florimonte, da cui il titolo. Scritto nel 1551-55, fu pubblicato 
                postumo nel 1558. C. nelle vesti di un anziano ricco di esperienza 
                ma illetterato istruisce un giovane nelle regole di buona creanza. 
                Scritto con bonarietà arguta, in una prosa popolareggiante 
                che mira a un tono medio. La ricerca di effetti del parlato non 
                altera un equilibrio di derivazione boccacciana. C. non mira agli 
                alti ideali tipici ad esempio in Castiglione, ma a una specie 
                di precettistica che, sorvegliata da un ordine morale, guidi il 
                gentiluomo nei casi mi nuti della vita privata. Chiaramente, diversi 
                sono pubblico e spirito di C. rispetto a Castiglione. 
               
              
               
              [1997]
              
             
            
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