L'Italia
nel XVI secolo: espansione culturale e crisi politica
L'Italia nel XVI secolo: espansione culturale
e crisi politica
L'espansionismo delle grandi monarchie europee interviene,
all'inizio del XVI secolo a rivelare bruscamente la precarietà
del "sogno" italico. La crisi politico-militare non interrompe
però l'alto livello culturale raggiunto e neppure le capacità
economiche, pur nel segno di una crisi. Nel primo trentennio la
crisi si manifesta anzi, in termini machiavelliani, come un'"occasione"
per la "virtù" italica. La fondazione della moderna scienza
politica con il Principe e i Discorsi di Machiavelli, della moderna
storiografia con le Storie fiorentine (Istorie fiorentine) di
Machiavelli e con la Storia d'Italia di Guicciardini, e l'alto
livello culturale raggiunto ormai da una lingua post-latina (si
pensi all' Orlando furioso di Ariosto) sono impensabili fuori
da un quadro di decadenza storica che provoca in una cultura ancora
in ascesa una rivendicazione di identità.
Si era scelto, con l'umanesimo, il passato fuori dalla continuità,
nell'antichità. Ora lo si indica in sé stessa, e
qui viene posta la propria modernità, confrontando la "lezione
degli antiqui" con "l'esperienza delle cose moderne". La modernità
propone i suoi modelli: del volgare, letterario e parlato, che
Bembo istituzionalizza selezionando la tradizione della prosa
e della poesia, e che Castiglione individua nella pratica impersonale,
idealizzata nel "Cortigiano" come estrema possibilità di
convivenza etica e sociale ispirata dall'uomo nuovo; dall'arte
pittorica scultorea architettonica, che il corporeo intellettualismo
di Raffaello e il misticismo di Michelangelo Buonarroti riscatta
no definitivamente dalla condizione di artigiano, del sapere come
luogo, la "mens", in cui i contrasti si pacificano attraverso
contrapposizioni di scuola. La misura del classicismo non riesce
più a contenere gli sbocchi alternativi che la cultura
ha prodotto nel suo entusiasmo critico: il pensiero realistico,
il pragmatismo e lo sperimentalismo letterario che mette in gioco
proprio i modelli e la loro codificazione retorica e scolastica
in norme e generi. Allargandosi la base sociale della cultura
e incrementandosi l'indice della produzione intellettuale e artistica
con la crescita di una borghesia letteraria insofferente di regole
e spregiudicata nel giudicarle, il classicismo provoca un movimento
di reazione anti-classicista che denuncia la sintesi di idea e
forma e l'ac cordo tra natura e arte, proclamando il primato della
"virtù" come manifestazione di "genio naturale" e di individualità
fuori dei condizionamenti della scuola e persino del potere. Il
modello degli anticlassicisti è Pietro Aretino, il libero
scrittore imitato da una schiera di emuli spesso in concorrenza
tra loro, in calzati dalla domanda libraria che la stampa, soprattutto
dove si concentrano le maggiori officine, ha progressivamente
elevato. Questa particolare manifestazione di dinamismo ha diverse
conseguenze. In campo artistico comporta la "carnevalizzazione"
dei temi umanistici, già individuabile in Alberti (dialoghi
lucianei) e tipica dei "Colloqui" di Geertsz (oltre che dell'"Encomium
Moriae"). Di qui la rielaborazione del motivo nordico della follia,
nella doppia valenza di liberazione antidogmatica e di furia devastatrice,
come si trasmette al classicista Ariosto, fino alla paradossalità
eroica del "Don Chisciotte" di Cervantes; e del mo tivo popolare
del "mondo alla rovescia" che si ritrova nel teatro colto del
XVI secolo, e arriva alla rappresentazione tragica e comica del
"mondo scardinato" di Shakespeare. In campo intellettuale implica
una professione di libertinismo, la programmatica confutazione
delle idee correnti in nome di un radicalismo che, con Lando,
Gelli, Doni, si apre alle dimensioni dell'utopia e prepara il
terreno e l'azione dei più tardi oppositori politici religiosi
e sociali, fino a Campanella.
L'anticlassicismo non è solo un audace sfruttamento della
favorevole congiuntura artistica del secolo. L'impiccagione di
Franco e l'autocensura che Cellini, il più spericolato
tra gli artisti del secolo, si impone come narratore di una Vita
che a distanza di secoli sarà elevata a testimonianza antropologica
dell'epoca, rivelano fin dove l'esperienza individuale e la funzione
intellettuale potevano spingersi. Si tratta di casi clamorosi
(non so bene se "eccezionali" come dice qualche storico), che
agiscono come indicatori di una crisi che si profila.
Intorno al 1550 si registra una brusca frenata dello sviluppo.
Cresce l'irrequietezza e l'impossibilità di un positivo
rapporto tra intellettuale e potere politico e religioso. Fino
a Machiavelli, Geertsz, Ariosto e allo stesso Castiglione, la
spregiudicatezza nell'argomentare, tipica della cultura più
avanzata, poteva impiegare anche nei confronti delle istituzioni
procedimenti paradossali di messa in crisi dei vecchi valori,
e di proposta dei valori moderni. Dopo gli anni '30, in Italia,
la partita con il potere è interrotta dalla lacerazione
religiosa dell'europa cristiana e dalla reazione dogmatico-disciplinare
della chiesa alla diffusione delle nuove confessioni. Anche (ri)trasformandosi
in chierico l'intellettuale non può più esercitare
un ruolo di rinnovamento spirituale di cui tentano di farsi mediatori
uomini di curia conciliatoristi, come Morone, Pole, Contarini,
Sadoleto: in essi era la speranza di rilanciare il primato di
una chiesa cattolica più tollerante delle nuove chiese
riformate, tra la chiusura di Lutero e le aperture di Melantone.
I dispositivi del la repressione tridentina (l'Indice, l'Inquisizione,
il missionarismo della Compagnia di Gesù) cui sono affidate
la formazione dei nuovi quadri intellettuali e l'organizzazione
del consenso, annullano i margini fino ad allora accortamente
amministrati in assenza di sistemi di garanzia, della libertà
culturale. I piani della restaurazione cattolica e monarchica
furono assecondati da larga parte della cultura, che sviluppò
il machiavellismo della "ragion di stato", l'etica civile e cortese
in precettistica e etichetta, l'aristotelismo in dogma, il classicismo
militante in classificazione e prescrizione. Il contrasto tra
edonismo e moralismo, di cui è vittima Torquato Tasso,
e i limiti invalicabili posti dalla protezione principesca ai
privilegi cortigiani dell'artista, indicano la precarietà
dei nuovi rapporti tra cul tura e potere. La mobilitazione delle
energie intellettuali non si esaurì di colpo, neppure nel
nesso che si stabilì tra eventi religiosi po litici economici
e sociali che lega la controriforma alla riconversione fondiaria
dell'economia cittadina, alla rifeudalizzazio ne con la ricomposizione
delle caste, alla degradazione dell'intraprendenza borghese-mercantile.
Del resto il nuovo allargato orizzonte europeo della cultura,
la sua incontenibile circolazione, la specificazione nei vari
campi del sapere, consentono agli intellettuali dei dissenso italico
di occupare altri spazi (in Inghilterra, Francia, Svizzera, Polonia)
e di trasmettere le conquiste culturali effettuate nell'arco di
due secoli.
Dal punto di vista socio-economico, l'Italia centro- settentrionale
mantiene una notevole preminenza, sul piano soprattutto economico
e delle condizioni di vita generali, rispetto agli altri paesi
europei. Ciò nonostante una serie infinita di disastri
nella prima metà del XVI secolo: guerre, epidemie, invasioni.
Mentre una serie di concorrenti economici si fanno avanti sui
mercati internazionali, strappando agli italici il primato: così
l'ascesa di Anversa tra 1500 e 1575, che diventa un vero mercato
mondiale; mentre in Germania meridionale compare la banca tedesca.
Nella seconda metà del XVI secolo sembra che le regioni
italiche sappiano reagire, dal punto di vista economico, alla
concorrenza estera: fino ai primi decenni del XVII secolo l'Italia
si mantenne tra i paesi più sviluppati e ricchi d'europa.
Nella prima metà del XVI secolo la cultura italica raggiunge
il massimo della sua maturità: dopo sarà la decadenza,
mentre gli intellettuali italici influenzano il resto dell'Europa
sia direttamente, con l'emigrazione di molti intellettuali e tecnici
presso le corti d'Europa, sia indirettamente con la circolazione
de gli scritti. Un'influenza testimoniata anche dal fatto che
il toscano-italiano è una delle lingue "internazionali"
della cultura europea.
I contributi degli intellettuali italici (città del centro
e nord Italia) toccano un po' tutti i campi. Dalla linguistica
(da Pietro Bembo con le sue Prose di lingua volgare a tutta
la trattatistica coeva e successiva, i vocabolari, il petrarchismo
ecc. E' la "questione della lingua" italica, che ha interesse
anche per gli intellettuali operanti nelle altre realtà
nazionali europee), alla politica e alla storiografia politica
(Machiavelli con il trattato Sui principati è alle
origini della trattatistica politica moderna; Guicciardini con
la sua Storia d'Italia, Benedetto Varchi, Donato Giannotti
, Iacopo Nardi ecc.), alla critica pittorica e artistica (fondamentale
sono le Vite dei migliori architetti, pittori e scultori italiani
[Vite de' più eccellenti architetti, pittori e scultori
italiani] di Giorgio Vasari, scritta in prima edizione nel 1550
e in seconda accresciuta nel 1568), alla normativa ideale nella
vita quotidiana e nel modo di comportarsi (B. Castiglione con
il suo Cortigiano [Cortegiano], che pone il modello di
una umanità capace di raggiungere uno svi luppo armonico
delle proprie facoltà: siamo sulla strada del filone della
letteratura dell'utopia positiva), alla memorialistica in senso
largo (quelli che più interessano il gusto moderno sono
tipi equivoci come Pietro Aretino e Benvenuto Cellini).
Questo è un secolo di razionalizzazione, e dunque anche
di normalizzazione. Si definiscono le grammatiche linguistiche,
si discute sui generi letterari e sulle loro caratteristiche.
Il processo subisce un'accelerazione quando nel 1536 è
pubblicato il testo originale della "Poetica" di Aristoteles,
che fornisce un apporto essenziale all'elaborazione di poetiche
"classicistiche" e alla proposizione di opere che cercano di seguire
le norme che si crede di rinvenire suffragate da "autorità"
del passato latino-greco: sono opere intellettualistiche, che
ricevono al loro apparire la più grande attenzione e plauso
da parte degli intellettuali e dei loro mecenati, che in gran
parte noi oggi troviamo poco interessanti se non a livello documentario
o sociologico, per la storia della cultura. Le cose più
vive che troviamo, all'interno della produzione letteraria di
questo periodo sono le cose che sembrano divergere dalla costante
intellettualistica, e soprattutto in campo teatrale.
Ruolo di primo piano continuano a volgere una serie di istituzioni,
come le università e le accademie. E l'azione di mecenatismo
e di investimenti culturali delle corti. Tra esse, nel XVI secolo
ruolo centrale ha la corte papale a Roma. I papi sono tra i maggiori
mecenati del secolo in europa, la loro attività (dise guale
e varia) fa di Roma una capitale architettonica e culturale di
prima grandezza, accanto a Paris e alle capitali delle monarchie.
Da questo punto di vista l'azione di Sisto
V fu mastodontica.
Nuovi soggetti di diffusione culturale diventano, nel bene e nel
male, le tipografie.
Italia nel XVI secolo
[1997]
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