Baldesar
Castiglione
Baldesar Castiglione
Nato a Casatico [Mantova] nel 1478, studiò a Milano
alla scuola di Merula e di Calcondila. Nel 1499 tornò a
Mantova al servi zio di Francesco Gonzaga. Nel 1504-1513 fu alla
corte di Urbino, presso Guidubaldo da Montefeltro e Francesco
Maria della Rovere. Nel 1513 fu ambasciatore a Roma dove conobbe
Raffaello. Rientrato a Mantova nel 1516, rimasto vedovo, si fece
prete. Fu nominato nel 1527 nunzio apostolico a Madrid. Dopo il
saccheggio di Roma del 1527, fu accusato ingiustamente dal papa
di non aver saputo prevedere l'evento. Morì a Toledo nel
1529, di febbre pestilenziale.
Si occupò soprattutto di politica e diplomazia, ma anche
di letteratura. Scrisse l'egloga Tirsi (1506), il prologo alla
"Calandria" di Bibbiena (1513), rime latine e italiche. Ci resta
di lui anche un grosso epistolario.
La sua fama è legata a Il libro del cortigiano
(Il libro del cortegiano), trattato in quattro libri in forma
dialogica. Scrit to nel 1513-18, fu pubblicato nel 1528.
Nel signorile ambiente della corte di Urbino si svolgono, in quattro
serate, dei dialoghi in cui si disegna l'ideale figura del perfetto
cortigiano: nobile di stirpe, vigoroso, esperto del le armi, musico,
amante delle arti figurative, capace di comporre versi, arguto
e sottile nella conversazione. Tutto il suo compor tamento doveva
dare impressione di grazia e eleganza. Simile a lui la perfetta
"dama di palazzo". Entrambi liberi dalle passioni amorose e devoti
di quell'amore, da Castiglione stesso sperimentato per Isabella
Gonzaga, che trapassa dalla bellezza fisica al la contemplazione
della bellezza morale, che trascende l'umano. Trattato edonistico
tendente a ricamare un ideale di vita, nel momento in cui altre
erano le regole seguite dai prìncipi sia nella pratica
quotidiana che in quella volta alla conquista e all'ampliamento
del potere (vedi Machiavelli), nel momento in cui cioè
era esclusa qualsiasi possibilità di direttiva o di inter-
vento da parte di altri che non fosse il singolo signore nel disporre
della morale e della prassi politica. E non a caso scritto da
un funzionario vissuto a contatto con gli ambienti del nord italia
(più difficile sarebbe stato per un fiorentino, in quegli
stessi tempi, occuparsi di un campo come questo), dove il fenomeno
della signoria era consolidato da più tempo.
Non un trattato solo di comportamento, anche se non mancano echi
dei trattati quattrocenteschi del genere, ma stilizzazione di
quella società aristocratica che nei fatti si mostrava
poi, necessariamente, diversa e contraddittoria. Serve così
a compren- dere non una realtà d'epoca, ma le aspirazioni
di una classe a una vita contraddistinta da un elegante ordine
razionale, una idea di bellezza che desse alla vicenda terrena
un significato superiore ed eterno. Il trattato ebbe immediata
e generale fortuna in europa. E servì da modello, anche
come prosa. Benché non conforme ai pre cetti di Bembo anche
nella prosa si espone nel "Cortigiano" un ideale di compostezza
armoniosa: elevatezza di impianto generale, ricca e fluida, pieghevole
a registri diversi di scrittura, tonalità, colore.
[1997]
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