Storia della letteratura europea - Torna in homepageArea italica nel Settecento


Area italica nel Settecento


[Classicismo nel primo Settecento] [L'Arcadia] [Il Melodramma] [Il teatro nel primo Settecento] [La seconda metà del Settecento] [Lingue regionali e poesia] [L'Illuminismo] [L'Illuminismo lombardo] [La pubblicistica illuminista] [Produzione poetica nella seconda metà del Settecento] [Teatro nella seconda metà del settecento] [Narrativa nella seconda metà del settecento] [I non-illuministi]

Lo spezzettamento politico e culturale della penisola, e la dipendenza degli stati italici dall'estero continua anche nel XVIII secolo, come nel secolo precedente. Tuttavia si assiste a un graduale lentissimo miglioramento delle condizioni di vita. Le pestilenze del secolo precedente che mietevano vittime tra la popolazione hanno un momento di tregua, anche se continuano le epidemie locali (soprattutto malaria tubercolosi ecc.). Una certa stabilizzazione esiste, soprattutto nel centro e nel nord della penisola. I centri culturali maggiori sono Napoli e Milano, specie nella seconda metà del secolo. Nella prima parte del XVIII secolo si assiste a una reazione antibarocchista di tipo classicista; a essa farà seguito nella seconda metà al manifestarsi di istanze illuministiche.


Classicismo italico del primo XVIII secolo

In posizione antibarocchista e pre-illuministica l'attività culturale di un erudito come Ludovico A. Muratori (1672\1750), che considerava le cose prodotte nel secolo precedente come opere di decadenza e cattivo gusto. Siamo nell'àmbito di un movimento di idee e intellettuali che cerca di reagire a una situazione di sclerosi culturale. Essi di fronte a quelle che considerano una degenerazione, propongono un ritorno alle fonti classiche greco-latine e a un gusto più equilibrato. E' un movimento classicista, che si avvale soprattutto del lavoro intellettuale di un nutrito gruppo di scrittori e letterati, sparsi un po' in tutta la penisola: insegnanti, traduttori (come Girolamo Pompei ecc.), quadri intermedi che costituiscono il background di una cultura e di un'epoca.


E' un neoclassicismo quello che circola in Italia, che deriva in gran parte dal modello culturale dato dalla Francia di Luigi XIV, e che sta alla base anche delle ricerche di Gian Battista Vico .


A dare il maggior impulso al superamento del barocchismo nel primo XVIII secolo italico fu la fondazione dell'Accademia dell'Arcadia. Gian Vincenzo Gravina la fondò insieme a Giovanni Mario Crescimbeni e a un altro gruppo di letterati già orbitanti attorno al salotto di Cristina di Svezia a Roma. L'Accademia dell'Arcadia fu in Italia il maggior centro di irradiazione della cultura neoclassicista. Con Gravina difensore della tradizione classicista e Baretti paladino del nuovo e del modernismo, si avviò anche in Italia come in Francia una disputa su antichi e moderni. Muratori mantenne in questa polemica una posizione più equilibrata. L'intellettuale forse più famoso, a livello europeo, di questa tendenza neoclassicista elegante e disimpegnata è Pietro Metastasio che si occupò di versi e di melodrammi così come in precedenza Apostolo Zeno.


L'accademia dell'Arcadia

Nel 1690 a Roma, durante una riunione di letterati che avevano fatto parte del circolo di Cristina di Svezia (che era morta a Roma nel 1689), il senese Agostino Maria Taja avendo sentito recitare alcuni componimenti pastorali, esclamò : "Sembra che abbiamo oggi rinnovato l'Arcadia!" («Egli sembra che noi oggi abbiamo rinnovato l'Arcadia!»), alludendo alla regione della Grecia anticamente popolata di soli pastori. La frase suggerì il nome per la nuova accademia, fondata in quello stesso anni. Essa aveva tutto un complesso di norme e di riti: ogni componente prese un nome da pastore greco, il presidente ebbe l'appellativo di "custode", l'insegna fu la siringa di Pan, il luogo di riunione venne battezzato "bosco Parrasio", l'archivio "serbatoio"; Cristina di Svezia fu nominata basilissa, Gesù Bambino protettore. Le sedi accademiche costituite fuori Roma vennero dette "colonie" (la "colonia" a Milano fu fondata nel 1704).
L'Arcadia fu la prima accademia a carattere nazionale italiana. [L'Accademia dell'Arcadia esiste tuttora, anche se ha perso il carattere e l'influenza originaria. Esiste come istituzione senza funzioni. Dal 1925 ha preso il sottotitolo di Accademia letteraria italiana] , e dominò il gusto poetico per quasi mezzo secolo. Non vi era concordanza assoluta sul modo di intendere la poesia, ma comune fu la volontà di opporsi al "cattivo gusto" e all'ampollosità del barocchismo, il bisogno di ritrovare un linguaggio semplice e spontaneo, che rispondesse in poesia all'esigenza di chiarezza e naturalezza diffusasi in europa attraverso i princì pi del razionalismo cartesiano. Allo stesso bisogno avevano cercato di dare una risposta, ma in un ambito più locale, nel XVII secolo, il gruppo toscano con i poeti-scienziati galileiani L. Bellini, L. Magalotti e F. Redi.
Fin dall'inizio nella vita dell'accademia si profilarono due tendenze: l'una rappresentata da Gravina , il "legislatore" dell'Arcadia, fautore di un classicismo integrale e di una poetica mitico-didascalica, che doveva scegliere i modelli tra i greci antichi e in Alighieri. L'altra rappresentata da Crescimbeni , che fu il "primo custode" dell'accademia, che insisteva sull'opportunità di ricollegarsi al petrarchismo del XVI secolo e all'anacreontismo di Chiabrera, per elaborare una poetica idillica, centrata sull'ideale correttezza e leggiadria, sul canto melodrammatico, sul moderato realismo elegante, sull'evidenza chiara e ragionevole. Il contrasto tra le due posizioni portò allo scisma del 1711, e alla fondazione di una seconda "arcadia", che divenne poi l'Accademia dei Quirini, in cui confluì il gruppo graviniano. All'interno dell'Arcadia invece e a livello italiano, prevalse il programma di Crescimbeni, più superficiale e limitato, ma proprio per questo più rispondente alle moderate aspirazioni di rinnovamento della cultura media e mediocre del tempo. L'arcadismo fu gradito anche dalle gerarchie ecclesiastiche, giacché rigorosamente chiuso alle proposte filosofiche laicistiche e anticuriali che fermentavano nei vari centri della penisola e soprattutto nel meridione: e non a caso il calabrese Gravina proveniva da quelle regioni. Le autorità religiose si servirono così anche dell'Arcadia per imbrigliare e neutralizzare le nuove istanze, l'Arcadia divenne strumento di degradazione del razionalismo. Trionfarono il petrarchismo, alleggerito e illegiadrito secondo i canoni del corrente "buon gusto": a esso si dedicarono in special modo alcuni arcadi bolognesi: Manfredi , Ghedini , i fratelli Zanotti, Schiavo. Al sonettismo anacreontico e patetico si dedicarono Petronilla Massimi , Faustina Zappi e Giambattista F. Zappi . Un tipo di religiosità pastoral-gesuitica espressero Cotta e Tommaso Ceva .
Paolo Rolli e Tommaso Crudeli avviarono sviluppi classicistico-rococò , mentre Metastasio diede voce poetica al gusto arcadico per il canto e il melodramma. Con Carlo I. Frugoni siamo nell'ambito di un classicismo cortigiano: egli si trova già in una generazione successiva.
Tutte queste tendenze sono ampiamente rappresentate nei 13 volumi delle Rime degli Arcadi (1716-1780). Il primo "tomo" del 1716 porta la dedica a Francesco Maria Ruspoli principe di Cerveteri.


Il melodramma

Grande fama hanno in europa, presso le corti e le istituzioni di potere, i librettisti italiani. Pensiamo soprattutto, oltre a Paolo Rolli , a Apostolo Zeno e, importantissimo nella storia del melodramma, Pietro Metastasio. Legato al nome di Mozart è quella del librettista Lorenzo Da Ponte.


Produzione teatrale

In campo teatrale in commedia modello sono Moliè re e i francesi. Il teatro italico ne ha una salutare ripresa, grazie soprattutto ai toscani Giovan Battista Fagiuoli , Iacopo Angelo Nelli , Girolamo Gigli .


Nel campo della tragedia, Gravina cercò di ispirarsi ai classici greci, con effetti scolastici; Pier Iacopo Martello si rifece ai francesi moderni; la Merope di Scipione Maffei ebbe un grande successo.


Seconda metà del XVIII secolo

Nella seconda metà del XVIII secolo la tenue vena poetica dell'Arcadia si esaurì. L'accademia romana si ridusse a convenzione letteraria, palestra per acclamati "improvvisatori" come l'allora celebre Corilla Olimpica (cioè Maria Maddalena Morelli ). La sua celebrità raggiunse l'apice nel 1776 quando fu incoronata in Campidoglio. L'Arcadia non fu in grado di assorbire le nuove poetiche che dall'illuminismo si evolvevano in direzione neo-classicista o preromanticista. Baretti e Bettinelli scrissero per primi parole di severa condanna contro la pastorelleria, la rimeria evasiva e estemporanea. Con il romanticismo l'aggettivo "arcadico" divenne sinonimo di superficiale, astratto, lezioso, pur continuando a influenzare i letterati (influssi arcadisti sono presenti anche in Foscolo e Leopardi). Se tra arcadismo e illuminismo si muove Giovanni Meli , la parzialità dei risultati poetici da lui raggiunti mostra come l'arcadismo sia ormai decisamente fenomeno improduttivo. L'illuminismo da parte sua fu più efficace per il rinnovamento culturale generale del pensiero che portò più che per risultati specifici in campo letterario e della fiction. Le cose migliori vengono in questo campo dal teatro.


Produzione poetica dialettale

Minori ma non secondari, nel panorama della produzione del XVIII secolo furono alcuni poeti che si espressero nelle lingue italiche regionali. Si ricordano: il milanese Balestrieri , il siciliano Meli e Domenico Tempio, il veneziano Lamberti .


L'illuminismo italico del secondo XVIII secolo

Illuminismo napoletano L'illuminismo comincia a essere operante in Italia, dopo un periodo di preparazione con le correnti neoclassiche, nella seconda metà del XVIII secolo, con centro di irradiazione da Napoli. Qui operano Antonio Genovesi, Francesco Mario Pagano, il filosofo del diritto Gaetano Filangieri (1752\1788), l'abate Galiani, che con entusiasmo si dedicano a elaborare idee propositrici un cambiamento culturale ma anche sociale: essi sono alla base dell'esperienza (disastrosa) della Repubblica napoletana del 1799.
Molto interessanti gli abati riminesi le cui attività si innestano a cavallo tra erudizione e nuova scienza: è così il caso dei Lincei Riminesi di Giovanni Bianchi (1745) [su cui è possibile leggere il denso saggio di *Antonio Montanari].
A fare da anello di congiunzione tra illuminismo napoletano e illuminismo lombardo, e tra illuminismo italiano e romanticismo, Vincenzo Cuoco.


Illuminismo lombardo

"Il Caffè " Meno teorici e forse più pratici e legati alla società in cui vivono, gli illuministi lombardi raccolti nel 1764-1766 attorno alla rivista «Il Caffè ». Il periodico fu fondato e pubblicato a Milano, anche se stampato a Brescia (allora sotto dominio veneziano). Ogni dieci giorni, dal giugno 1764 al maggio 1766, i fascicoli furono spediti (piegati in quattro) agli iniziali 100 abbonati lombardi e 50 toscani. Negli ultimi mesi del 1766 la pubblicazione fu sospesa, ma fu completata e pubblicata nell'ottobre 1766. «Il Caffè » conterà infine un totale di 74 fogli rilegati in due volumi, tirati in 500 copie (più della media di analoghe iniziative Parisne). Il titolo della testata fu scelto apposta, lontano dalla tipologia di quelle che fregiavano le riviste erudite e accademiche del tempo, vicino a quelli di giornali inglesi come «The Spectator» di Addison e «The Tatler» di Steele. «Il Caffè » finge di riportare le conversazioni cò lte nella bottega di un caffettiere greco, Demetrio, stabilitosi a Milano. Animatore dell'impresa e responsabile della redazione fu Pietro Verri . Con lui collaborarono il fratello Alessandro, Cesare Beccaria , e inoltre Gianrinaldo Carli , Giuseppe Colpani , Carlo Sebastiano Franci, Paolo Frisi , Luigi Stefano Lambertenghi, Alfonso Longo, Pietro Francesco Secchi Commeno, Giuseppe Visconti di Saliceto, Carlantonio Pilati .
Soprattutto il primo tomo è caratterizzato dal tono discorsivo e dalla presenza di aforismi riempitivi - spiccano per ironia quelli di Alessandro Verri e Beccaria -. Nel secondo tomo sono articoli di maggior mole e dottrina filosofica giuridica e politica, soprattutto firmati dai fratelli Verri e dai loro amici.
Quasi tutti i collaboratori erano soci dell'Accademia dei Pugni, che era stata fondata nel 1761. Tranne il Biffi le cui proposte furono ritenute troppo avanzate da Pietro Verri che nell'ambito della redazione fungeva da revisore-censore. Molti di loro avevano partecipato e partecipavano all'operoso governo della lombardia asburgica. L'analisi morale della società contemporanea consentì la discussione su istituti vigenti ma sentiti decisamente superati. Così Longo sottolineò la mancanza di validità etica giuridica e economica dei fede-commessi, Franci scrisse "Sulla questione se il commercio corrompa i costumi e la morale" e sul "Lusso delle manifatture d'oro e d'argento". Confortati anche dal successo del trattato "Dei delitti e delle pene" di Beccaria, i collaboratori al «Caffè », e soprattutto i due Verri , combatterono contro la legislazione retrograda del tempo. La rivista, che evitò con estrema prudenza di affrontare in maniera diretta argomenti politici filosofici e religiosi di carattere generale, intervenne anche sulla questione della lingua polemizzando contro l'eccessiva pedanteria e il vuoto formalismo. Famosi gli articoli sulla "Rinunzia al Vocabolario della Crusca" di Alessandro Verri, "Sui parolai e sullo spirito della letteratura italiana" di Pietro Verri. In essi è l'esigenza di disporre di una lingua nuova, attenta alle proposte delle civiltà mercantili e industriali europee. Si vuole uscire dalla fissità linguistica classicista, aprire le porte al lessico francese. Nell'introduzione al secondo tomo della rivista, "De' fogli periodici", Cesare Beccaria scrive sull'efficacia delle riviste:

«Entrate in una adunanza ove siano libri e fogli periodici, troverete che ai primi si dà per lo più un'occhiata sprezzante e sdegnosa ed ai secondi un'occhiata di curiosità che vi fa leggere e fa legger tutti gli altri; e come la circolazione del denaro è avvantaggiosa, perché accresce il numero delle azioni degli uomini sulle cose, così la circolazione dei fogli periodici aumenta il numero delle azioni della mente umana, dalle quali dipende la perfezione delle idee e de' costumi. [...] Se vi è speranza di una simile mutazione, se le cose scritte possono cangiare le direzioni del costume, ciò devesi sperare da' fogli periodici piuttosto che da ogni altra sorta di scritto. [...] Il vero fine di uno scrittore di fogli dev'essere di rendere rispettabile la virtù , di farla amabile, d'inspirare quel patetico entusiasmo per cui pare che gli uomini dimentichino per un momento se stessi per l'altrui felicità ; il di lui scopo è di rendere comuni, familiari, chiare e precise le cognizioni tendenti a migliorare i comodi della vita privata e quelli del pubblico; ma questo scopo dev'essere piuttosto nascosto che palese, coperto dal fine apparente di dilettare, di divertire, come un amico che conversi con voi, non come un maestro che sentenzi. [...] I fogli periodici debbono essere una miniera di tentativi e di suggerimenti [...]. L'agricoltura, le arti, il commercio, la politica sono quelle cognizioni che ogni cittadino non manuale dovrebbe meno ignorare; feconde di nuove produzioni, possono appagare la curiosità di ciascuno, e più universalmente coltivate conducono alla felicità d'uno Stato. La fisica e la storia naturale sono una miniera inesausta di ricerche e di avvantaggiosissime scoperte ed hanno una connessione più generale e più estesa colle scienze che paiono anche più remote da quelle che non si crede volgarmente da alcuni. [...] Finalmente i fogli periodici non tanto devon servire ad estendere le cognizioni positive, quanto contenerne molte di negative, vale a dire a distruggere i pregiudizi e le opinioni anticipate che formano l'imbarazzo, il difficile e, direi quasi, il montuoso e l'erto di ogni scienza; ad ogni verità grande ed interessante mille errori e mostruose falsità stanno d'attorno che la inviluppano e la nascondono agli occhi non sagaci, ed è questo sicuramente una gran parte della scienza dei secoli più illuminati; essi travagliano più distruggere che ad edificare, e così facendo edificano insensibilmente».

Interessante anche l'accenno di Beccaria alle riviste letterarie:

«Ciascuno ne conosce l'utilità e l'Europa ne abbonda; ma non tutti veggono gl'importantissimi difetti che accompagnano per lo più questa sorta di produzioni; moltissimi non sono esatti, trascurano di parlare di quei libri gli autori de' quali hanno trascurato d'inviarne loro la notizia, quasi che l'utile non indifferente che ne ricavano non esigesse da loro per giustizia le opportune pratiche per le necessarie corrispondenze. Alcuni, in luogo di dare un estratto fedele del libro, perdono il tempo in preamboli e prefazioni, nelle quali spicca bensì l'ingegno dell'autore, ma si stanca al fine di un giornalista. [...] Altri, cedendo all'ambizione di divenire dittatori della liberissima repubblica delle lettere, giudicano con sovrana autorità in ogni scienza, in ogni classe dell'intera enciclopedia; quindi continui disinganni ricevono coloro che si dan la pena di confrontar le opere co' giornali che ne parlano [...;] i giudizi si vendono a prezzo o sono dettati dalla contemplazione e dagli offici e dall'odio e dallo spirito di partito avvelenati [...]. Sembrami che la più utile forma che dar si potrebbe alle novelle letterarie sarebbe quella che più difficilmente potrà trovar chi vi si accinga, perché più modesta e meno brillante, cioè una fedele, completa e esatta notizia d'ogni libro, contenente la divisione e l'indice delle principali materie che vi si trattano, il sesto, il prezzo, il pregio dell'edizione e lo spaccio di essa, senza giudizio, senza prefazioni e complimenti, lasciando che l'estratto faccia conghietturare da se stesso del valore del libro».

Conclude il suo articolo di prefazione con l'accenno al lavoro svolto dal «Caffè ». La convinzione di Beccaria, e quella dei suoi amici è che «sarem letti se saremo ragionevoli, non lo saremo [letti] se cesseremo di esserlo». L'obiettivo di «acquistare un buon cittadino di più alla patria, un buon marito, un buon figlio, un buon padre ad una famiglia», secondo quello che sarà il tipico ideale borghese.
«Il Caffè » fu un momento importante nella storia dell'evoluzione delle riviste in Italia. Le gazzette si evolvono da strumento di divulgazione culturale come il «Giornale dei Letterati» che usava la tecnica del riassunto, a gazzette che esprimono singole personalità con vere recensioni, ironiche note di costume e polemiche: come le «Novelle letterarie» di Lami, la «Gazzetta veneta» di Gozzi, «La Frusta letteraria» di Baretti. Fino a diventare centro aggregativo e propulsivo. Con significativi mutamenti interni dettati dalla progressiva acquisizione di consapevolezza da parte di una classe intellettuale (i caffettisti) che alle «sospensioni di giudizio» di una «Gazzetta veneta» o alle polemiche della «Frusta», contrappongono una concezione tecnico-operativa dell'intellettuale, attento alle più varie manifestazioni della realtà 'scientifica' del tempo: dall'ottica alla meteorologia, dal gioco del Faraone agli odori. E soprattutto si sforzano di una lingua che abbia alta valenza comunicativa.
La polemica che esibì «La Frusta letteraria», ovvero Baretti, di fronte all'iniziativa dei fratelli Verri, ha tutto il sapore dell'astio letterario, l'insulto gratuito ai Verri come «politicanti infranciosati» e «coglioni nati per far scarpe che vogliono pur far libri». Quello di Verri fu un tentativo di inserirsi nei gangli vitali dello Stato con funzione catalizzatrice. Un tentativo solo parzialmente riuscito, necessitato com'era ad abdicare di fronte a temi più prossimi all'esercizio del potere. Fu un momento felice e irripetibile d'incontro di personalità differenti, destinato a sfilacciarsi subito dopo: con spie già presenti prima della fine, fughe come quella di Alessandro Verri nella Roma papalina, malsopportazioni e odi come quelli tra Beccaria e Verri. «Il Caffè » fu il desiderio di concretezza di un gruppo di intellettuali, arresosi allo stadio della progettualità .


Per comprendere la portata, ma anche certi limiti, del movimento illuministico italico, si pensi alla vicenda di un libello come le "Osservazioni sulla tortura" di Pietro Verri. Il dibattito sui problemi dell'amministrazione della giustizia è estremamente vivo all'interno dell'Accademia dei Pugni: da questi dibattiti nasce "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria , ma anche una "Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese" (1763) di carattere comico-parodica, di Pietro Verri (che se la prende con i «pretesi begl'ingegni [...] sfaccendati critici che credettero di trovare mal proporzionate le pene ai delitti nel sacro nostro Codice»). Il successo di Beccaria (che in Francia fu edito da Diderot e commentato da Voltaire) porta a una frattura nel gruppo: Beccaria tace sull'apporto dei fratelli (Alessandro e Pietro) Verri al trattato, e sulla loro "Risposta" ai detrattori dei suo volume. Da questo contrasto prendono le mosse le "Osservazioni" di Pietro Verri, una specie di rivalsa contro «l'esilità concettuale del libretto del Beccaria»: del 1770 la prima stesura e la scoperta sconvolgente dei "Verbali del processo agli untori"; nel 1776 una seconda stesura, il trattato diventa un vero trattato filosofico-morale contro giudici «ignoranti quanto il popolo [che] in tanta calamità perdettero tutti la testa e il cuore». Ma, e qui si evidenziano i limiti di cui dicevo dell'azione di questi borghesi, il trattato rimane inedito. C'era stato, il 19 aprile 1776, una presa di posizione da parte del Senato della città di Milano contro il provvedimento di Maria Teresa che aboliva la tortura e riduceva la pena di morte. Una presa di posizione predisposta dal Reggente del Senato, il conte Gabriele Verri, padre di Pietro. Pubblicare il trattato significava inimicarsi in famiglia e contro una opinione pubblica di potenti. Pietro confessa di non essere «nato con un cuore di leone» e lascia il trattato inedito. Esso sarà pubblicato solo dopo che nell'impero fu abolita la tortura e il Senato soppresso. Sarà Manzoni a riprendere quella battaglia, in altra epoca (pur con problemi così simili...). E' una vicenda che illumina significativamente un aspetto non secondario dell'illuminismo, in una provincia piccola ma non secondaria dell'impero.


Mentre con il più giovane Alessandro Verri siamo all'anello di congiunzione tra illuminismo e pre-romanticismo, tutto all'interno dell'illuminismo rimane Pietro Verri .


Pubblicistica illuministica

Agguerrita la critica letteraria, pronta alla stroncatura anche dei grandi scrittori del passato (Baretti, Bettinelli); si ripensa la tradizione letteraria italiana. Sorge una polemica sulla lingua, tra puristi toscanofili e modernisti. Bilancio moderato alle polemiche linguistiche del gruppo illuminista è dato dal "Saggio sulla filosofia delle lingue" (1785) di Cesarotti. Al gruppo appartennero, oltre a Cesarotti che ha importanza per il pre-romanticismo, sono da ricordare Giuseppe Baretti, Francesco Algarotti, Saverio Bettinelli, Gasparo Gozzi ecc.


Produzione poetica

In poesia i risultati non sono molto buoni. Essi cercarono di inserire temi scientifici e filosofici ma senza uscire dalle forme tradizionali. Il migliore risulta Giuseppe Parini , per cui la poesia deve attingere alla realtà quotidiana e mirare al miglioramento civile.


Produzione teatrale

Nella seconda metà del XVIII secolo il teatro italico, soprattutto nel campo della commedia, passa dalla assimilazione dei modelli francesi a modi più originari, soprattutto grazie alla riforma apportata dalla commedia dell'arte. Una "riforma" che si deve soprattutto al veneziano Carlo Goldoni (1707\1793), sensibile a un teatro realistico, vivace per invenzione e trama, popolare ma letterariamente sorvegliato. La sua attenzione al quotidiano scatenò la polemica di Carlo Gozzi (1720\1806) che scrisse le Fiabe per rilanciare, con successo, il teatro delle maschere. Rivale di Goldoni fu anche Pietro Chiari , che però oggi ci appare decisamente poco interessante. In ogni caso Venezia rimase il centro teatrale più vivo della penisola, fino all'abbandono di Goldoni.


Produzione narrativa

In Italia la produzione narrativa illuministica è quasi inesistente. Essa si esercita soprattutto negli spunti satirici e sarcastici. Per il resto la vasta produzione narrativa del secolo risulta oggi per noi pressocché illeggibile: si vedano indicativamente i romanzi di Pietro Chiari , contemporanei alla sua facile produzione teatrale. Speriamo in futuri lettori. Un ruolo tuttavia questa vasta produzione la ebbe, l'introduzione del gusto del romanzo nei lettori. Interessante, più per la storia del costume che non quella dell'efficacia narrativa, l'opera di Zaccaria Seriman .


Produzione culturale non-illuminista

L'illuminismo in Italia ma anche nel resto dell'europa rimane un fenomeno dirompente ma minoritario. E' roba di é lites e di circoli alla moda, che guardano soprattutto a Paris e in parte all'Inghilterra. La gran parte della produzione è in mano ai settori più tradizionali e retrivi.
All'interno di questa produzione esistono però degli spiragli, che fanno vedere come anche nei settori più tradizionalisti qualcosa muti, nonostante tutto. Così all'interno della forse tra le più monolitiche culture esistenti, quella della chiesa cattolica, nuovi spazi sono dati dal corpus delle relazioni, lettere, documenti, resoconti, scritti dai gesuiti. Essi sono presenti in "missione" nelle terre più lontane e diverse dalla cultura euroccidentale, a contatto con mondi diversissimi. Essi vedono attraverso i loro occhi, filtrati dalla cultura occidentale ma anche e soprattutto dalla loro ideologia religiosa, questi mondi: e ne danno notizia. Il corpus di questi missionari è estremamente vario, costituiscono una specie di altra "Encyclopédie", da affiancare a quella dei filosofi illuministi.




Homepage | Dizionario autori | Autori aree linguistiche | Indice storico | Contesto | Novità
 [Up] Inizio pagina | [Send] Invia questa pagina a un amico | [Print] Stampa questa pagina | [Email] Mandaci una email | [Indietro]
Europa: Antenati - la storia della letteratura europea online - Vai a inizio pagina © Antenati 1984-2006, an open content project