Storia della letteratura europea - Torna in homepageGian Battista Vico


Gian Battista Vico


Gian Battista Vico nacque a Napoli nel 1668 (morì nel 1744), figlio di un modesto libraio. Compì studi irregolari. Notizie su di lui abbiamo dalla "Autobiografia" (1725), che presenta sé stesso teso sempre a una eroica conquista del "vero", e che matura "in solitudine" la propria filosofia. Nel 1689-90 si trasferì a Vatolla [Cilento] come precettore dei figli del marchese Rocca, la cui ricca biblioteca gli permise di studiare i classici della letteratura e della filosofia. E' di questi anni la canzone lucreziana Affetti di un disperato (1693). Nel 1697 ottenne la cattedra di eloquenza all'Università di Napoli, con il compito di pronunciare ogni anno un'orazione inaugurale all'apertura di ogni anno accademico. La più importante è quella del 1702 intitolata "Ragione degli studi nel nostro tempo" (De nostri temporis studiorum ratione), vigorosa contestazione del cartesianesimo, del razionalismo e del metodo deduttivo. Altra opera importante, rimasta incompiuta, è il trattato "L'antichissima sapienza degli italici da scoprire nelle origini della lingua latina" (De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda, 1710) che intende dimostrare come le origini del linguaggio filosofico risalgano a una setta fiorita in Italia anteriormente a Pitagora.
Del 1725 è la prima edizione della maggiore opera di Vico, i Princìpi della scienza nuova, che furono poi rielaborati nel 1730, fino alla terza edizione apparsa nel 1744, poco dopo la morte di Vico (avvenuta quell'anno). Il pensiero di Vico è dominato dalla polemica contro Descartes e contro la tradizione scientista di derivazione galileiana. Vico denunciava la pretesa di ridurre tutto il reale alla sola evidenza geometrica e matematica, perché riduttiva della ricchezza dello spirito umano e troppo ottimista sulla possibilità di penetrare razionalmente nelle verità del mondo naturale che è opera divina. Per Vico si può avere vera scienza solo di ciò che si è fatto, "verum" e "factum" coincidono, solo dio che ha creato il mondo può averne una reale conoscenza. Oggetto proprio della scienza umana è invece la storia, che l'uomo può conoscere perché ne è stato il diretto artefice. Ripercorrendone lo svolgimento, in cui è sempre presente la provvidenza divina che gli dà un indirizzo trascendendo le passioni e le azioni dei singoli, l'uomo scopre nel corso secolare dei tempi i segreti delle sue leggi. Strumento essenziale della ricostruzione storica è la filologia, "da cui viene la conoscenza del certo" («onde viene la conoscenza del certo»). Attraverso vaste ricerche erudite Vico individua nella storia una linea di svolgimento costante: «una storia ideal eterna» che si ripete identica nella vita di ogni uomo così come in quella dei popoli. Un processo a varie fasi: nella prima fase domina una immediatezza sensibile, in cui l'anima è sommersa: è una forma di vita istintiva, animalesca. Successivamente si desta una coscienza non ancora razionale che si esprime in un linguaggio fantastico; lo stadio corrisponde alla fanciullezza, e si svolge tra sogni e fantasie, proprie dello spirito della poesia. La ragione gradualmente si afferma, si rivolge ai concetti, dal fanciullo che sogna nasce l'uomo che ragiona. E' lo sviluppo della storia dell'umanità: «gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura». Lo sviluppo della storia non è rettilineo, a queste tre età segue un nuovo imbarbarimento che riporta alla vita primitiva per poi riaprire il ciclo perenne delle tre epoche in un succedersi di "corsi" e "ricorsi" storici. Importanti per gli effetti futuri che ebbero, i suoi suggerimenti sulla poesia. E' nel periodo in cui domina la fantasia che nasce la poesia. Vico intuisce che il pensiero non nasce anteriormente all'espressione ma insieme a questa. Il linguaggio non è un complesso di segni convenzionali escogitati per comunicare concetti già formati, ma è coevo all'elaborazione concettuale. Di qui il superamento delle tradizionali concezioni pedagogiche e edonistiche dell'arte, con la definizione della poesia come conoscenza, anche se una conoscenza diversa da quella razionale, per il peso che in essa hanno gli elementi fantastici. Di qui anche il superamento del gusto classicistico, con la scoperta del primitivo come manifestazione di verità, e la rivalutazione di poeti come Alighieri e Homeros. A Homeros è dedicata una parte dei "Princìpi": Vico ne nega l'esistenza e riconduce l'ideazione e l'elaborazione di "Iliade" e "Odissea" non a un individuo ma a tutto un popolo. Il pensiero di Vico non ebbe influenza sullo sviluppo del pensiero e delle poetiche nel XVIII secolo. E' un isolamento rotto solo in età napoleonica e romanticista, da Foscolo in poi: da allora divenne punto obbligato di riferimento della cultura europea nelle discussioni sulla letteratura e la filosofia della storia.



[1997]

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