Nazismo e sionismo


Nazismo e sionismo

È stato appurato che nel romanzo satirico Der Nazi & der Friseur, Hilsenrath narra, attraverso la voce del protagonista, la storia di un piccolo borghese, un po’ ritardato, apprendista barbiere presso il salone di un ebreo nella piccola provincia tedesca di Wieshalle, membro delle SS, il quale, nonostante l’attività di carnefice in un campo di concentramento durante la dittatura nazista, riesce a ricostruirsi una nuova esistenza in Israele come cittadino rispettabile, illustre proprietario di un salone da barbiere e soprattutto, caso strano per un ex nazista, ma non per l’arrivista Max Schulz, ammirato e temuto militante clandestino sionista. L’inusitata metamorfosi: il carnefice membro delle SS che diventa un attivo combattente sionista, è il fondamento della critica che l’autore rivolge alle due ideologie. Accostando il sionismo al nazismo egli cerca di dimostrare come anche quest’ultimo abbia superato i limiti della decenza, soprattutto nelle azioni terroristiche, e si sia abbassato al livello di quel nazismo che cercava in tutti i modi di esorcizzare.

È stato empiricamente dimostrato che la persecuzione e la nascita del sionismo sono complementari l’una all’altra: l’emigrazione ebraica del XX secolo in Palestina è la palese conseguenza della persecuzione e “Auschwitz è stata la culla terribile della nuova coscienza ebraica e della nuova nazione ebraica. [1] ” I sionisti hanno sempre tentato di esplicare la natura del proprio movimento escludendo in maniera assoluta il legame con le persecuzioni e l’antisemitismo imperante in Europa: i Pogrom [2] sono quindi, secondo i sostenitori di questo punto di vista, solamente uno stimolo, ma non la causa prima del moderno nazionalismo ebraico. La conseguenza più diretta delle persecuzioni è la grande emigrazione del popolo ebraico, precedentemente insediato sul territorio russo, verso l’Occidente: Stati Uniti, America del Sud, ma anche Palestina. Anche Theodor Herzl (1860-1940), fautore del moderno movimento sionista, riconosceva di aver raggiunto la consapevolezza della propria identità ebraica solo a causa dell’antisemitismo [3] . Il consolidamento del movimento, riconducibile agli anni ’30, proprio in Europa e in particolare nella Germania nazista, dove si acuiva l’odio antisemita e le persecuzioni divenivano un fatto ordinario, e la nascita di Israele tre anni dopo la fine dell’Olocausto, hanno diretto gli antisionisti ad un ulteriore, rinnovato approfondimento delle loro argomentazioni sul movimento sionista. Lorenzo Cremonesi scrive a tale proposito:

“In particolare la fine della Seconda Guerra Mondiale, la parte sionista è stata condizionata da due fattori importanti dai quali non può prescindere; si tratta dell’Olocausto e del non riconoscimento di Israele da parte degli Stati arabi (con l’eccezione, dal 1978, dell’Egitto). Ciò ha certamente contribuito a rafforzare il sentimento nazionale ebraico. L’eccidio di sei milioni di ebrei, in maggioranza residenti nei centri principali dell’ebraismo diasporico tradizionale, è infatti apparso come il tragico inveramento delle previsioni dei primi sionisti circa un antisemitismo irreversibile e quindi della necessità di costituire uno «Stato rifugio» nella «terra dei padri» per gli ebrei perennemente perseguitati nella diaspora. D’altro canto, la lotta contro gli arabi e l’intransigenza ostile dimostrata dal «fronte del rifiuto» hanno incrementato nella parte israeliana il bisogno di spiegare la propria esistenza anche a prescindere dall’Olocausto. In questo senso, la storiografia sionista appare profondamente legata agli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di Israele dalla sua nascita ai nostri giorni. Così, se da una parte l’Olocausto e l’antisemitismo hanno rafforzato palesemente la concezione di Israele come «Stato zattera», dall’altra i sionisti hanno teso a spiegare il loro movimento non solo come ciò che ha garantito la sopravvivenza fisica degli ebrei, ma anche come elemento fortemente connaturato all’ebraismo, aspetto prioritario della tradizione e della specificità ebraica, che ha trovato in epoca moderna nuovi strumenti di espressione. In questo senso, il sionismo è stato disegnato dai suoi fautori più convinti come un elemento di continuità, piuttosto che di rottura con il passato.” [4]

È quindi accresciuta la concezione del sionismo non solo come inevitabile prodotto dell’antisemitismo, ma anche come movimento che trova la propria linfa vitale addirittura nel suo opposto. Paradossalmente perciò, il risorgimento nazionale ebraico, considerato l’unica via di salvezza per l’ebreo perseguitato, necessita proprio della persecuzione, dell’odio e dell’antisemitismo per rinvigorirsi:

“[…] negli ultimi anni sono proprio alcuni storici sovietici e quelli arabi legati al «Movimento di liberazione Nazionale Palestinese» (OLP), che cercano di esaltare gli interessi comuni e i contatti segreti che intercorrono tra sionisti e nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.” [5]

Come è già stato introdotto all’inizio del paragrafo in questione, Hilsenrath basa la sua critica al sionismo e al nazismo proprio su questo insolito, ma evidente, legame tra i due movimenti apparentemente contrastanti. Lo scrittore cerca di sminuire il valore di questa opposizione esaltandone, invece, le affinità attraverso due passi emblematici del romanzo: il più volte citato discorso di Hitler sull’Ölberg e quello di Max Schulz, alias Itzig Finkelstein, nel salone di Schmuel Schmulevitch.

“[…] Der Führer klappte die Bibel wieder zu, faltete die Hände, hob seine prophetischen Augen zum Himmel und sprach: »Wahrlich, wahrlich ich sage euch: Der Herr hat sie verflucht. Und der Fluch ist gefangen. Ich aber bin gekommen, um ihn zu erlösen. […] Ich habe gehört, daß zu den Alten gesagt ist: Du sollst nicht töten; wer aber tötet, der soll des Gerichts schuldig sein. Ich aber sage euch: Wer den Volksfeind tötet, der heiligt meinen Namen. Und wer mich heiligt, der hat Anteil an meiner Heiligkeit. […] Ich hab gehört, daß da gesagt ist: Auge um Auge, Zahn um Zahn. Ich aber frage euch: Tun das nicht auch die Zöllner? Was ist ein Auge und was ist ein Zahn? Bleibt da nicht noch ein Auge? Und 31 Zähne? Wahrlich ihr Lohn ist dahin. Ich aber sage euch 2 Augen für ein Auge. Und 32 Zähne für einen. Blendet eure Feinde und macht sie zahnlos für alle Ewigkeit. Denn der Blinde kann nicht mehr sehen. Und der Zahnlose nicht mehr beißen. So ihr herrschen wollt, so schlaget kräftig zu. Und so ihr das Erdenreich wollt, das ich euch geben will, so tut, wie euch geheißen. Amen. […] Verflucht sei der Stock in der Hand des falschen Meisters. So der Stock aber den Meister wechselt und der neue Meister ein wahrer Meister ist, so sei er geheiligt.« […] Als der Führer die letzten Worte gesprochen hatte, entsetzte sich der Himmel, denn seine Rede war gewaltig. Es fing zu donnern und zu blitzen an. Über dem Ölberg häuften sich Wolkenmassen, kreisten über dem Altar. Aber der Regen hatte Angst, und die Wolken stoben wieder auseinander. Die Menschenmasse war totenstill. […] Allmählich kam Bewegung in die Masse. Und dann… Ja, so muß es gewesen sein. Ganz plötzlich! Plötzlich schrie jemand auf. Und dann fingen wir alle zu schreien an. Unsere rechte Hand. Sie flog plötzlich hoch. Wie von selbst. Wir schrien wie die Wahnsinnigen. Wir schrien: Amen! Amen! Amen! Jeder riß jeden mit. Wir schrien. Wir tobten. Wir weinten. Er war der Erlöser. Jemand in der Menge schluchzte laut auf: »Mein Führer, gib mir auch einen Stock!« Und ein anderer schrie: »Mir auch! Und ich will an dich glauben!« Bald bildeten sich Sprechhöre links und rechts. Und die von links schrien: »Siehe, unser Hintern ist blutig!« Und die von rechts schrien: »Laß uns die wahren Meister sein, und wir wollen an dich glauben!«” [6]

Il brano sopra trascritto riporta una parte del discorso di Hitler ai cittadini di Wieshalle, i quali ascoltano, come ipnotizzati, le parole proferite dal Führer. L’intero passo gioca proprio sull’aspetto sacrale del personaggio storico: il pulpito è un altare e Hitler legge la Bibbia come se fosse un predicatore, inoltre pronuncia un sermone che si conclude con un apoteotico “Amen”. Grazie all’enfasi delle parole dell’oratore il pubblico estasiato si lascia manipolare e, come una massa di burattini, i tedeschi iniziano a mettere in atto un progetto di distruzione ben pianificato. Anche Max Schulz, come è noto, decide di seguire i consigli del Führer entrando immediatamente nel Partito. Alla fine della guerra, preoccupato per i continui attacchi antisemiti, Max stabilisce che è meglio ricostruirsi una nuova esistenza e grazie anche all’aiuto del suo inseparabile sacco pieno di denti d’oro, lascia definitivamente l’Europa e migra in Palestina. Poco dopo la sua illegale entrata in Israele ottiene un’occupazione nella cittadina di Beth David, in qualità di barbiere, nel salone di Schmuel Schmulevitch. Immediatamente Max percepisce notevoli differenze nelle opinioni politiche dei suoi colleghi:

“Unter meinen Kollegen sind zwei deutsche Juden. Sigi Weinrauch und Max Weidenfeld. Ich persönlich ich… Max Schulz… halte Max Weidenfeld für einen guten Juden. Ob er fromm ist, weiß ich nicht. Aber ein Zionist… das ist er bestimmt. Ich würde sagen: ein Idealist! Aktives Mitglied der Haganah, der legalen-illegalen jüdischen Untergrundarmee. War auch im Kibbuz und hat die ersten Bäume im Negev gepflanzt. Aber der andere… der Sigi Weinrauch, der ist ein Volksfeind. […] Wir streiten den ganzen Tag. Ich, der Massenmörder Max Schulz, vertrete den Standpunkt, daß unsere Heimat Palästina ist, während die beiden deutschen Juden Sigi Weinrauch und Frau Schmulevitch behaupten… ihre Heimat sei Deutschland.” [7]

Max non lascia nulla di intentato per tenere testa a chi la pensa diversamente da lui. Nei lunghi monologhi, con i quali intrattiene i suoi clienti durante la rasatura, parla dettagliatamente di diversi temi della storia ebraica: lunedì della conquista della terra di Canaan; martedì della divisione del regno; mercoledì dell’insurrezione dei Maccabei; e così via fino al venerdì. Ogni tanto, però, decide di cambiare programma e parla della storia più recente come ad esempio i primi insediamenti pionieristici in Palestina o le teorie sioniste di Theodor Herzl. [8] Un giorno accade qualcosa di insolito: il carnefice Max Schulz stabilisce di parlare del futuro:

“Ich sprach lange und ausführlich über den Abzug der Engländer. Während dieser Schilderung, die ich mit allen Einzelheiten und in allen Phasen voraussagend schilderte, machte ich mehrere Fassonsschnitte […]. Später rasierte ich mehere Kunden und sprach dabei über die Gründung des Judenstaates und Kriege mit den Arabern, Kriege, die uns bevorstanden. […] Je mehr ich redete, desto erregter wurde ich. […] Vor meinen Froschaugen standen Nebelschleier. Ich machte noch einen ordentlichen Fassonschnitt, beim nächsten machte ich bereits Fehler, redete wild drauflos, hatte Visionen, sprach von Millionen Kleinkindern, sprach von Atombomben, sprach von Expansion, sprach vom winzigen China, sprach von der Beherrschung der Welt! Spürte ein Jucken im Hintern, kriegte einen stiefen Schwanz, nahm meine Brille ab, guckte in den Spiegel, sah zwei riesige Froschaugen, sah Stirnlocke und Schnurrbart, redete lauter, berauschte mich an meiner Stimme… und die… klang o ähnlich… oder genauso… wie die Stimme auf dem Ölberg hinter dem Altar. Als ich mit meiner Rede zu Ende war, zitterte alles im Friseursalon, alles was ich niet- und nagelfest war. Die blankpolierten Spiegel sandten Lichtreflexe in den Raum. Ich wußte nicht, ob die Kunden, das Personal und Schmuel Schmulevitch und seine Frau den letzten Teil der gewaltigen Rede wirklich verstanden hatten, war aber sicher, daß der Ton meiner Stimme seine hypnotische Wirkung nicht verfehlt hatte. Denn als ich schwieg, war es sekundenlang still im Salon, so still wie damals auf dem Ölberg nach der gewaltigen Rede. Dann aber sprangen die Kunden von ihren Sessel empor, kümmerten sich nicht mehr um Schren und Kämme, Rasier- und Effiliermaschinen, Pinsel und Seife, schrien wie die Wahnsinnigen: »Amen! Amen! Amen!« Und auch das Personal schrie: »Amen!« und auch Schmuel Schmulevitch und seine Frau.” [9]

In questo passo, ma anche in molte altre scene del romanzo che si svolgono in Palestina, Hilsenrath mette il lettore a confronto con un grottesco intreccio di follia e sentimenti nazisti con la vita quotidiana degli ebrei in Israele poco prima della fondazione dello Stato. In questo contesto l’atteggiamento sionista di Max è simmetrico alla mentalità antisemita del carnefice Max Schulz, infatti egli stesso raffronta la reazione dei presenti alle parole appena proferite con quella della popolazione di Wieshalle dopo il discorso di Hitler: “[…] Als ich schwieg, war es sekundenlang still im Salon, so still wie damals auf dem Ölberg […].”

La sospetta compatibilità tra la posizione nazista e quella sionista trova conferma nell’avvenimento che segue la concitata predica di Max: portato al cospetto di Jankl Schwarz, capo del gruppo terroristico Schwarz, l’ex nazista diventa un membro attivo nella lotta terroristico- militare contro l’esercito d’occupazione inglese.

“Die satirische Offensive dieser Szene im Friseursalon Schmulevitch zielt unübersehbar gegen das Basis-Ideologem des zionistischen Selbstverständnisses: daß der Zionismus - im Vergleich mit den gesellschaftlichen und ideologischen Verhältnissen in Europa, besonders aber in Deutschland - das >ganz Andere< sei; das von Grund auf Verschiedene, eine Möglichkeit, jüdische Existenz zu verwirklichen, die den europäischen Erfahrungen über Abgründe hinweg entgegensetzt ist. Es ist dieses Moment seines Selbstverständnisses, von dem her der Zionismus des Jischuw nach 1945 die Erfahrung der Shoah >begreifbar<, handhabbar im Aufbau-Alltag des jüdischen Staates zu machen versuchte: Israel galt nun »als Reaktion, als Antwort auf den Holocaust, der wiederum in eine durch traditionellen Antisemitismus geformte Geschichtsicht integriert wird«.” [10]

Hilsenrath rielabora in forma satirica le teorie che vedevano nel nazionalismo ebraico, sin dagli anni formativi, ma in maniera ancora più accentuata dopo l’Olocausto, una sorta di razzismo di riflesso. L’emigrazione ebraica in Palestina, soprattutto secondo l’opinione degli antisionisti, è stata cagionata da considerazioni utilitaristiche che non hanno nessun legame con la volontà di far ritorno nella terra dei padri, solo per motivi storico- religiosi. Lorenzo Cremonesi, nel già citato saggio sulle origini del sionismo, si richiama al discorso del 13 Novembre 1974, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, del leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Yasser Arafat il quale dichiarò:

“Il sionismo è un’ideologia imperialista, colonialista, razzista, profondamente reazionaria e discriminatoria; essa è legata all’antisemitismo nei suoi principi e rappresenta in effetti l’altra faccia della stessa medaglia. Poiché quando si propone che gli appartenenti al popolo ebraico, al di là della loro nazionalità originaria - non devono né fedeltà al proprio paese natale né devono considerarsi eguali ai loro concittadini non ebrei - quando viene proposto tutto ciò, noi cogliamo in realtà la riproposizione dei temi antisemitici. Quando si dice che l’unica soluzione per la questione ebraica è che gli ebrei si distacchino dalla comunità o dalla nazione cui erano storicamente uniti, e quando si propone che essi risolvano i loro problemi immigrando e insediandosi nella terra di un altro popolo tramite il terrorismo e la forza, allora sentiamo che viene indicato esattamente lo stesso atteggiamento tenuto dagli antisemiti nei confronti degli ebrei” [11]

Queste parole potrebbero riassumere, per certi versi, il pensiero di Hilsenrath e il proposito che egli ha cercato di esprimere attraverso il discorso del nazista/sionista Max /Itzig e il loro evidente parallelo con la predica di Hitler. La posizione dello scrittore sarebbe già ravvisabile nel momento in cui si richiama l’attenzione sulle similarità del sionismo con le disposizioni del nazionalsocialismo, ma il discorso di Max va ben oltre il semplice riferimento a tale condizione (“berauschte mich an meiner eigenen Stimme…und die klang so ähnlich…oder genauso…wie die Stimmme auf dem Ölberg hinter dem Altar.”) [12] ,essa infatti lacera il seme ideologico del sionismo: Hilsenrath rivolge i propri attacchi satirici contro l’insensata volontà di costruire qualcosa di nuovo quando si è ancora irrimediabilmente legati al passato.

“Die Szene im Friseursalon, Schulz/Finkelsteins Rede vor Personal und Kunden, zerreißt die Ideologeme des Zionismus. Der Zionismus der Aufbauära, wie er im Nazi & der Friseur dargestellt wird, mit seiner unerschütterlichen Absicht, den »neuen Menschen« zu formen, mag die Wirklichkeit der Menschen, vor allem aber ihre Schwächen und Beschädigungen, allenfalls in Umrissen wahrnehmen; ihre Bestimmung durch >Deutschland< bleibt undurchschaut. Nicht gegen diese Bestimmung zielt Hilsenraths satirischer Angriff; er gibt sie als Grundtatsache der Epoche zu erkennen. Seine Offensive gielt vielmehr dem programmatischen Beschluß des Zionismus, gegen jene Wirklichkeit zu existieren, die Hilsenrath als die der Überlebenden erkannt hatte. Der Nazi & der Friseur macht satirisch sichtbar und an Beispielen anschaulich, in welchem Maß der Zionismus selbst von dieser Wirklichkeit bestimmt ist.” [13]

Il protagonista del romanzo è continuamente combattuto tra l’adesione all’identità sionista o a quella nazista, tra l’essere ebreo e l’essere tedesco, tra la condizione di carnefice e quella di vittima. Il principio fondamentale di ogni satira radicale sta proprio in questa costante fluttuazione tra due opposte realtà: la capacità e la voglia di cambiare e quella di un’estenuante lotta interiore per cercare di annullare il cambiamento. [14] Ad un certo punto, infatti, Max decide di confessare le sue colpe per liberare la propria coscienza, ma soprattutto per poter continuare a vivere la sola identità ebraica, ma, una volta constatato che non c’è alcuna possibilità di giustizia umana, non gli resta che continuare a vivere e a convivere con le sue due anime fino al giudizio finale, quando farà l’amara scoperta che non esiste nemmeno la giustizia divina.


[1] L. Cremonesi, op. cit., p. 55.

[2] “Pogrom è una parola russa che indica un attacco accompagnato da distruzione, uccisioni, rapine, stupri, perpetrati da una parte della popolazione contro un’altra… come termine internazionalmente usato, la parola pogrom è utilizzata pe4r descivere specificamente gli attacchi accompagnati da rapine e spargimenti di sangue contro gli ebrei in Russia, in particolare nel periodo compreso tra il 1881 e il 1921” ivi, p. 193.

[3] Cfr. ivi, p. 57.

[4] Ivi, p. 75.

[5] Ivi, p. 69.

[6] E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, op. cit., pp. 50-53.

[7] Ivi, p. 331-332.

[8] Ivi, pp. 334-335.

[9] Ivi p. 334-335.

[10] S. Braese, Friseur Finkelstein hält eine Rede. Zur Zionismus-Kritik in edgar Hilserath der Nazi & Friseur, in A.A.V.V., Jüdischer Almanach des Leo Baeck Institutes, Jüdischer Verlag im Suhrkamp verlag. Frankfurt am Main, 1997, p. 100.

[11] L. Cremonesi, op. cit., p. 72.

[12] E. Hilsenrath, der Nazi & der Friseur, op. cit., p. 334.

[13] S. Braese, op. cit., p. 105.

[14] Cfr. ivi, p. 101.

 


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