Storia della letteratura europea - Torna in homepageL'umanesimo


L'umanesimo


Con il termine di umanesimo si indica il movimento culturale sorto in Italia e propagatosi a tutta l'europa latina, propugnante un rinnovamento della cultura basato su una maggior conoscenza del mondo classico greco-latino. Si tratta dunque di un movimento classicista.
Nella terminologia storiografica si tende a usare il termine di "umanesimo" con particolare riferimento all'ambito di cultura latina, specificatamente del XV secolo. Con il termine di "pre-umanesimo" le anticipazioni culturali avvenute nel XIV secolo. Con il termine di "rinascimento" si indica tutto il periodo di boom culturale, pił o meno a partire dalla metà del XIV secolo a tutto il XVI secolo. Le accezioni terminologiche non sempre combaciano alla perfezione, e anche per questo andiamo cauti con le definizioni e tali usi. Gli intellettuali del XV secolo usarono la definizione di "studia humanitatis" per designare il proprio campo di attività culturale. Mentre con il termine di "rinascita" polemizzarono contro i "secoli bui" immediatamente precedenti, e contro cui sentivano di opporsi. Fondamentale per l'acquisizione dell'uso terminologico di "rinascimento/renaissance" all'interno dell'uso terminologico è stato il saggio di J. Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia (Die Kultur de Renaissance in Italien, 1860). In senso pił limitato geograficamente e concettualmente era stato adottato pochi anni prima da J. Michelet e da G. Vogt. Nella storiografia italiana, soprattutto con S. Bettinelli e De Sanctis, fu pił resistente l'uso del termine "risorgimento" (in particolare con riferimento al risveglio culturale successivo al 1000+). Nel XX secolo il termine "risorgimento" fu ristretto al periodo delle guerre nazionalistiche italiche del XIX secolo, mentre si adottò comunemente il termine di "rinascimento" per indicare il XV-XVI secolo.
Coluccio Salutati (1331/1406) e Poggio Bracciolini (1380/1459) sviluppano nel corso del XV secolo gli insegnamenti e le indicazioni di Petrarca. Con loro siamo nell'ambito di quella che viene chiamata "cultura umanistica". E' un movimento culturale. Gli intellettuali che ne fanno parte sentono di essere parte di qualcosa che non è solo culturale o letterario, ma che ha valenze etiche e sociali. E instaurano rapporti tra di loro non pił basati solo sulla solidarietà municipale: essere "letterati" e "dotti" impone delle responsabilità "internazionali". L'umanesimo in Italia ha caratteristiche trans-municipali anche se saldamente legati alle città in cui questi intellettuali operano, e grazie a queste caratteristiche trans-munucipali è già pronto all'estensione a livello europeo.
Dopo secoli di arretramento culturale e di lentissimo recupero civile, con l'umanesimo si ha un decisivo avanzamento qualitativo e estensivo della cultura, nell'Europa occidentale. L'umanesimo, nel momento in cui l'Europa occidentale si prepara a lanciarsi nel programma di espansione transcontinentale fornisce il tentativo di una unione culturale degli intellettuali; e ciò avviene nel mentre in Europa si manifestano forti spinte alla divisione, per l'incapacità delle antiche strutture unificatrici (impero e chiesa romana) di rispondere alle nuove sfide date dal nascere di nuovi fenomeni sociali. Così, se i piani di unificazione politica non riescono, e le vecchie tradizionali strutture egemoniche ricevono salutari scossoni, e mentre sul piano politico emergono nuovi soggetti capaci di movimento e protagonismo autonomo, in Europa gli intellettuali riescono a far circolare in maniera tutto sommato omogeneo le loro idee usando gli strumenti umanistici. Circolazione di idee e di conoscenze che ha grosse conseguenze sul piano dell'innovazione tecnologica e sul livello delle conoscenze.
All'origine della nozione di umanesimo, il cui uso terminologico, occorre sottolinearlo, è entrato solo agli inizi del XIX secolo nella terminologia storiografica, sta la distinzione operata da Cicero tra "humanitas" e "divinitas", distinzione poi maturata da Petrarca per cui "humanitas" esprimeva «la restaurazione o rinascita o riabilitazione dell'"homo" naturale» (come scrive *W. Ullmann) come si era rivelato nella storia, civile e sociale, e nelle forme pił elevate delle epoche classiche (greche e latine). Sono sintomi di una nuova valutazione dell'uomo e del suo operare mondano e civile, sintomi già presenti alla fine del XIII secolo e nel XIV secolo: si pensi all'attività della scuola padovana facente capo, dopo Lovati, a Mussato. Mentre pił programmatico radicale e consapevole è il Difensore della pace (Defensor pacis, 1324) di Marsilio da Padova, che argomentava la superiorità dello stato sulla chiesa, e del "civis" sul "fidelis". Nel XV secolo l'umanesimo appare come una cultura con saldi fondamenti laici e civili, segnando la nascita di un nuovo consapevole rapporto tra passato e presente, una diversa coscienza storica dell'"umanitas". Una coscienza che passa attraverso la condanna antistorica di una parte del passato, e precisamente dei "secoli bui" iniziatesi con le invasioni barbariche. Una condanna che è nettissima in Petrarca, e che dopo di lui si accompagna alla esaltazione della nuova epoca di "luce". Ciò che si rimproverava ai "secoli bui" era non solo la caratteristica di epoca di crisi per la cultura europea (ed è indubbio che ciò sia avvenuto, con alti e bassi), ma anche di essersi espressa come cultura della rivelazione e della rigenerazione mistica, interrompendo o subordinando alle sue finalità il processo naturale e storico dell'"humanitas". Di qui l'entusiasmo e l'orgoglio per la scoperta (pił che riscoperta) dei testi antichi non solo come fonte di soddisfazione estetica ed erudita, ma anche come possibilità di reintegrazione del presente nel passato, il ripristino della continuità della natura nella storia, indipendentemente dalle interruzioni e trasformazioni palingenetiche delle diverse confessioni. Fu per gli intellettuali del XV e del XVI secolo la "rinascita", la presa di coscienza delle nuove potenzialità culturali aperte dal pił alto livello culturale e sociale raggiunto. Attraverso il "ritorno" (ai classici greci e latini, alla natura), la "rivelazione" di una realtà e di una possibilità laiche, non pił oltremondana e clericale.
Coluccio Salutati raccolse e svolse nell'ultimo trentennio del XIV secolo l'insegnamento petrarchesco che a Firenze era stato tenuto vivo dall'agostiniano L. Marsili nelle sue conversazioni al convento di Santo Spirito, aperte al contributo di vari intellettuali di varia provenienza ideologica e professionale. L'apologia salutatiana della "florentina libertas" erede della "libertas" romana, era organica ai disegni della oligarchia economica e politica che dominava Firenze. Ma è anche vero che questo umanesimo "civile" (secondo la formula datane da *H. Baron e *E. Garin) è il perfezionamento, nella variante fiorentina del classicismo militante, del progetto di convivenza laica e politica che aveva promosso l'attività letteraria in latino in ambito pre-umanistico. Prima di essere retori filologi e letterati, i primi umanisti furono scrittori d'avanguardia, pronti a servirsi delle varie forme della pubblicistica e della propaganda intellettuale per modificare le strutture del sapere e per razionalizzare l'organizzazione del potere. In questo non fu secondario l'adozione del latino, la lingua della classe colta, dotata a differenza del volgare dei caratteri ecumenici dell'europa cristiana e della stabilità comunicativa e stilistica d'impronta petrarchiana che rendeva attuabile, al di là dei confini segnati dall'esperienza del volgare, la fondazione di una "res publica litteraria". Esperienza irripetibile per le circostanze che ne consentirono risultati di singolare omogeneità, l'umanesimo fu destinato a esaurirsi come fenomeno unitario nel giro di un secolo. In questa fervida stagione, quattro generazioni di intellettuali ebbero modo di sviluppare la nuova cosmologia dell'"humanitas" e di articolarne i contenuti elaborando i metodi moderni della conoscenza critica.
A Firenze Leonardo Bruni esaltò nei Dialoghi con Petrus Paulus da Istria (Dialogi ad Petrum Paulum Histrum) la lezione civile di Salutati e la integrò sul fondamento etico delle "humanae litterae" come promotrici di un bene comune nel quale concordano "caritas" cristiana e "civitas" ciceroniana. Poggio Bracciolini spinse il tema dell'operosità cittadina e terrena fino alla polemica antiascetica e antifratesca: si vedano soprattutto L'avarizia (De avaritia) e Contro gli ipocriti (Contra hypocritas). Mentre la convivenza tra umanesimo e devozione avveniva su nuove basi: si veda il camaldolese Ambrogio Traversari, grecista e latinista, fautore della conciliazione tra chiesa greco-ortodossa e chiesa romano-cattolica.
L'esaltazione della ricchezza era esplicita in Bracciolini, ma era anche il perno attorno cui in quegli anni crebbe il magistero dei grandi educatori, come Vittorino di Fletre e Guarini, e si affermò la nuova pedagogia dell'umanesimo che sostituiva alla rigidezza normativa delle "artes dictandi" un pił diretto rapporto con gli "auctores", all'apprendimento tecnico il processo formativo che trasforma lo studio attraverso la lettura e il commento in esperienza.
L'umanesimo coinvolse, al di là dagli interessi propri di una élite, la vita delle città e ne modificò l'assetto culturale. Umanista fu anche colui che non lascia testimonianza scritta di sé, come N. Niccoli a Firenze, ma che raccoglie e trascrive codici, forma una biblioteca per destinarla a un uso cittadino. Umanista è anche il prìncipe o il privato che incrementa il collezionismo e si serve dell'esperto per il recupero delle opere d'arte antica e per orientare le sue iniziative di committente.

Umanesimo civile

L'umanesimo nella prima parte del secolo compie grossi progressi soprattutto nel campo della filologia e degli strumenti letterari; nella seconda parte del secolo si avvieranno programmi di riforma e di critica anche in campo pił nettamente filosofico, ma con un nuovo "tabł" per la politica in senso stretto: è esistito un "umanesimo civile" nella prima parte del XV secolo, cui è seguito un "umanesimo letterario" della seconda parte. L'accordo vagheggiato e attivamente promosso dall'avanguardia culturale fiorentina tra le sfere dell'etico, del politico e dell'economico mostrò la sua crisi proprio nel momento di maggior fulgore, sotto Cosimo Medici il Vecchio. Ciò che di altamente innovatore e "eretico" fu continuato come umanesimo "libertino" (si pensi a opere come gli Intercenali e al Momus di Leon Battista Alberti): una volontà di fermento che ebbe manifestazioni varie, di ostentato neopaganesimo, di irreligiosità, di esoterismo, di naturalismo. Ma sempre manifestazioni né occasionali né eccentriche, sempre impegnate a disegnare il volto di una cultura critica che, senza smentire la cosmologia dell'"homo" naturale, ne vanificava gli esiti ideologici pił trionfalistici e le pretese mitologiche del progresso infinito. Con Bracciolini e Niccoli si ha l'adozione della minuscola carolina nella pratica libraria umanistica. Una adozione di non secondaria importanza. Ci si voleva contrapporre anche in questo modo, praticamente e esteriormente e non solo contenutisticamente alla scrittura corrente tradizionale, che usava ancora il gotico e le sue varianti. L'adozione della minuta carolina nasceva dall'equivoco, un errore prodotto da "buone intenzioni": trovando nei manoscritti pił antichi, risalente ad epoca carolingia, quel tipo di scrittura, si pensò che fosse quella la scrittura dei romani antichi e classici. Usare la minuta carolina dunque era il modo che avevano gli umanisti di restaurare l'uso classico latino. Anche in questo modo gli umanisti si sentivano gli eredi di quella cultura.

L'insegnamento

La funzione pedagogica, d'insegnamento, fu molto sentita dagli umanisti. A parte il fatto che l'insegnamento era un modo di guadagnarsi da vivere e che molti umanisti furono insegnanti e precettori. Essi intervennero nella formazione delle classi dirigenti e amministrative dando un preciso indirizzo di cultura e di valori. Ciò servì a prolungare gli effetti dell'umanesimo, a trasmetterne i valori attraverso pił generazioni, a far sì che i valori dell'umanesimo fossero sentiti come propri anche dalle classi dirigenti (prìncipi e signorotti locali). Una cosa possibile certamente anche per la ricchezza dell'Italia centro e settentrionale, relativamente ad altri stati europei del tempo, ciò che permetteva un tale impiego di energie e risorse. Partecipando al pił complesso quadro della scolarizzazione generale degli italici (non dobbiamo dimenticare però che gran parte della popolazione restava esclusa da questa scolarizzazione, anche se in Italia allora la situazione era certamente migliore che in altri paesi e fu questa una causa non secondaria della permanenza dell'alto livello culturale raggiunto dalle élites), accanto alle organizzazioni tradizionali, come quella clericale del resto sottoposta anch'essa a un cauto e contraddittorio processo di ammodernamento, gli umanisti pedagoghi attuavano quello che era in fondo l'obiettivo principale della "riforma umanistica" che puntava alla creazione di uomini, intellettuali, classi dirigenti, nuovi rispetto alla tradizione degli anni e dei secoli precedenti.
L'importanza di pedagoghi come Vittorino da Feltre e di Guarino Guarini fu centrale all'interno dell'umanesimo, oltre che nella storia della pedagogia in genere. E accanto a loro, non dobbiamo dimenticarlo, tutti gli umanisti che svolsero l'importante ruolo di insegnanti e di trasmettitori della cultura e dei valori umanistici.

Centri culturali italici

Nell'Italia divisa in staterelli, sono i centri politici del centro e del nord italico a costituire i centri culturali dell'umanesimo. Funzione centrale ha Firenze, con la sua schizofrenia tra tensioni repubblicane e dominio signorile (dei Medici). In area padana sono centri fervidissimi Mantova (signoria dei Gonzaga) e Ferrara (signoria degli Este). La Repubblica di Venezia. Il ducato di Urbino (Montefeltro). Roma dominata dai papi-signori: Niccolò V, Pio II, Sisto IV. Napoli con gli Aragona. Importanti le presenza individuali, accanto ai processi di maturazione autonoma dati da questi centri. Si pensi alla funzione avuta da artisti itineranti come Alberti, Valla, Piero della Francesca, l'educatore Guarini, lo scienziato Pacioli. Altra funzione importante svolgono le istituzioni, come le università di Pavia, Padova e Bologna che continuano a formare i quadri professionali, e le accademie. Nell'antico toponimo della scuola platonica, l'accademia, l'umanista trovò il nome che indica lo spazio di un incontro permanente, di una associazione con comuni interessi intellettuali. Così a Napoli si ha l'Accademia Pontaniana. A Roma l'Accademia Romana, che papa Paulus II scioglie nel 1468 per sospetto di empietà e di congiura anti-pontificia. A Firenze è l'Accademia Platonica, fondata nel 1463 da Marsilio Ficino, e che sembrò interpretare l'ambizioso progetto di pax medicea, e ebbe, con il consenso di Lorenzo Medici un magistero spirituale e ideologico che provocò violente e irriverenti reazioni nella borghesia letterata, anti-intellettualistica e materialistica, primo tra tutti Luigi Pulci. Le accademie sono le nuove sedi del dibattito filosofico e letterario; in seguito diverranno anche le sedi dei "piacevoli studi" mondani e delle attività teatrali.

La filologia

Nella filologia la distanza tra le generazioni fu segnata dallo scarto tra l'avventura pioneristica di Bracciolini scopritore di codici e quella pił sedentaria di Valla fino a un minore come Flavius Blondus. Con Valla (1405/1457) siamo alla revisione critica e filologica dei testi, con conseguenze politiche precise.
Il fervore filologico, la nuova coscienza filologica, continuò anche dopo. In un periodo in cui i letterati sono esclusi dal campo politico, le lezioni, le note e i saggi di Poliziano segnano negli ultimi decenni del secolo il momento di massima concentrazione della tecnica e della weltanschauung filologiche. La filologia fu per gli umanisti una "doctrina orbicularis" (come la chiamò poi G. Budé): essa attraeva nella sua orbita tutte le discipline e unificava all'insegna di un rinnovamento profondo del sapere la ricerca e la scoperta dei codici latini e greci.

L'imitazione

Tutta la nuova produzione in latino si conformò a un principio-guida, quello dell'"imitatio", l'imitazione. Essa relegava la sperimentazione, che fu invece vivissima nella letteratura volgare dell'ultimo XV secolo, ai margini, ai laboratori comici del "maccheronico" e negli esercizi del "pedantesco". Con l'imitazione non ci si appiattiva al modello dogmatico dell'antico, ma si usava quel modello per recuperare contenuti e forme di una civiltà, procedendo a una forma di innesto culturale. Le innovazioni già presenti nella civiltà borghese del XIV secolo furono in questo modo incanalate e direzionate all'interno di un processo innovativo diverso e pił organico. Il dispiegarsi dell'innovazione sotto il segno del recupero del classico, in ambiti fino ad allora inesplorati e al di là dei termini della cultura tradizionale al punto da coinvolgere le forme stesse della vita, diede al movimento una fisionomia epocale. L'imitazione era un principio di valore normativo, ma anche storico, in quanto fondamento di una civiltà comune in europa occidentale, da richiamare a nuova vita con lo studio della tradizione e con il filtro dell'eloquenza. Nella pratica degli stili ai modelli maggiori si affiancarono i minori: Petronius, Apuleius, Plinius junior, Terentius, Plautus. Cicero, sia quello pubblico che quello delle epistole familiari, e il suo corollario precettistico, l'"Istituzioni di oratoria" di Quintilianus, furono al centro della discussione: fino alla polemica di Poliziano con Cortesi e al graffiante Ciceroniano (Ciceronianus, 1528) di Gert Geertsz.

L'umanesimo letterario

Nella seconda metà del XV secolo in Italia domina quello che è stato chiamato "umanesimo letterario". Un mutamento all'interno delle posizioni politiche dei letterati, nella seconda metà del XV secolo è chiaramente avvertibile. E' venuto meno un impegno civile volto alla valorizzazione delle libertà pratiche, politiche delle singole città. Soprattutto a Firenze, la principale fonte dell'umanesimo civile nella prima parte del secolo, si ha il passaggio dalla repubblica alla signoria dei Medici. In questo modo anche tra gli umanisti fiorentini ci si pone in posizione meno politica, ovvero pił filo- signorile o filo-cortigiana di quanto non avvenisse prima. Ciò ha anche conseguenze sul piano dei prodotti artistici, maggiormente orientati a una funzione evasiva e d'intrattenimento. Nel frattempo però maturano e si concentrano gli effetti degli studi classici, filologici, mentre l'ondata di dotti provenienti dalla Grecia permette di riapprendere l'uso della lingua greca. Se a Firenze si ha una perdita di autonomia politica, l'alto livello civile raggiunto e soprattutto la presenza di una società estremamente viva e variegata (di cui è sintomo il mantenimento delle istituzioni repubblicane pur sotto l'egemonia di Lorenzo Medici) permettono l'espressione di forme letterarie eterogenee, lo sperimentare e la ricerca di forme nuove, anche all'interno dei volgari italici.
Tra gli intellettuali impegnati nella seconda metà del XV secolo definibili nell'ambito dell'umanesimo letterario è Iulius Pomponius Leto.

Produzione lirica e fiction latina

In poesia i grandi esempi lirici ed epici di Virgilius e Oratius sembravano inattingibili. L'esametro eroico, dopo le vane imprese cortigiane di Filelfo ("Sphortias" e "Eracleide") e di Strozzi ("Borsiade") ebbe il miglior risultato nel tardo poemetto religioso di Sannazaro, Il parto della vergine (De partu Virginis, 1513-26).
Il successo scandalistico dell'Hermaphroditus (1425) del Panormita (cioè di Antonio Beccadelli) mostrò che distico elegiaco ed epigramma potevano assecondare tonalità intime e colloquiali ma anche il gusto dell'improperio e dell'osceno. Del resto anche in autori maggiori, come Landino, Poliziano, Pontano, la facilità elegiaca di Tibullus e Propertius prevaleva nei confronti delle strutture pił complesse del carmen catulliano e dell'ode oraziana.
Generi letterari seguiti sono l'epistola (Poggio Bracciolini, Guarino Guarini), che non è solo strumento di comunicazione ma spesso soprattutto oggetto artistico; e il dialogo, segno di una cultura che vuole misurarsi e dialettizzare per giungere a passi successivi di conoscenza. Ciò che noi oggi apprezziamo, nell'ambito di questo humus di fondo, sono alcuni prodotti, sentiti da questi scrittori come marginali nell'ambito dei loro interessi. Si tratta di alcune commedie-dialogo dalle caratteristiche goliardiche: quelle di Enea Silvio Piccolomini, Leon Battista Alberti; e alcune cose etico-satiriche di Alberti, Pontano, e di Antonio Ferrariis (detto "il Galateo" ).
In campo linguistico gli umanisti riescono a ripristinare un latino molto pił flessibile e vivo; la riscoperta e la riproposizione dei testi latini classici in "edizioni critiche" permette di tornare a leggere un latino "classico" la cui conoscenza si era andata perdendo. Un'attenzione per la lingua che ha riflessi anche nei confronti delle lingue postlatine: gli umanisti italici sono bilingui, e attuano le loro attenzioni revisioniste e puriste non solo nei confronti del latino ma anche della lingua postlatina toscana, divenuta con Petrarca la lingua poetica "comune" per gli italici. L'attività da sperimentalista di Poliziano (1454/1494) è da questo punto di vista indicativa.

Scoperta dei greci

Fenomeno macroscopico pił evidente, all'interno dell'umanesimo fu la scoperta non solo dei classici latini, ma anche dei greci. Il greco che fino ad allora era stato malamente e solo sporadicamente conosciuto, viene per la prima volta, a livello della cultura alta, studiato. Un contributo grossissimo proviene dai dotti greci che si trovano a emigrare in Italia negli anni compresi tra il concilio di Ferrara e la caduta di Bisanzio (1438-1453). Probabilmente, la costituzione del regno latino in Grecia se da una parte permette un riannodo diretto dei contatti tra Bisanzio e occidente europeo, dall'altro destabilizza definitivamente le capacità di resistenza di quella compagine statale di fronte ai turchi. La caduta di Bisanzio non fece che rendere irreversibile una emigrazione che già in parte era avvenuta nei decenni immediatamente precedenti. Ricordiamo Manuele Crisolora, Giorgio Gemisto detto Pleton, Giovanni Bessarione, Demetrio Calcondila, Giovanni Argiropulo.

Il neoplatonismo

L'ellenismo, introdotto con la diaspora dei dotti greci dopo la caduta di Bisanzio, non sconvolse il rapporto linguistico degli umanisti con la latinità. Ma in ambito filosofico il fenomeno pił rilevante dell'ellenismo umanistico fu la scoperta di Platon. Una scoperta che produsse effetti notevoli, oltre i limiti anche speculativi dell'epoca. Si ebbero influssi nella religione, nell'etica, nella letteratura, nelle arti. La presenza dei dotti greci, e soprattutto le lezioni di Giorgio Gemisto Pletone a Firenze, e le traduzioni in latino del corpus platonico diffuse presto in tutta europa, determinarono negli anni tra il concilio di Firenze e la caduta di Bisanzio (1439-1453) una vera svolta idealistica. Con Marsilio Ficino è la revisione neoplatonica, orfica. La "pia philosophia" o "docta religio" raccolse le ispirazioni della "devotio moderna" che ebbe in Cusano il suo massimo sostenitore, e del sincretismo cristiano vagheggiato da vari settori dell'umanesimo, come ad esempio Valla ne "La voluttà" (De voluptate) su fondamenti epicurei. Nello stesso tempo aprì l'orizzonte di una dottrina della rivelazione con l'ardua esegesi compiuta da Pico tra Qabbalah e Bibbia. Indirettamente era anche la ricerca di una coincidenza tra conoscenza divina e naturale. Già prima, a Firenze, Alberti aveva cercato di armonizzare il rapporto tra natura e storia, eventi e volontà, nella dimensione del microcosmo individuale e sociale. Di qui, nella rinata poesia in volgare di Lorenzo Medici e soprattutto di Poliziano, la compresenza di celebrazione naturalistica e vitalistica e di ripiegamento spirituale e sacrificale. In Pulci la compresenza di irrisione e evangelismo, materialismo e razionalismo.
La centralità dell'uomo nella natura è il grande tema che percorre la cultura del XV secolo, accompagnandosi al tema meno rassicurante della sua determinazione storica. Ficino svolse il ruolo di protagonista di questa nuova antropologia. Il suo sistema aggrega all'insegna del platonismo, e tramite la tradizione ermetica, misterocentrica, escatologica, tutto ciò che religione e filosofia avevano fino ad allora tenuto diviso. La sua dottrina esprime compiutamente la tensione ideale dell'epoca, che si specificherà in norma estetica, e in etica del comportamento (i galatei del XVI secolo), fino a Giordano Bruno.
Di fronte agli eventi politici e religiosi che tra XV e XVI secolo modificarono la fisionomia dell'europa cristiana, l'umanesimo si irrigidì in istituzione. La chiesa cattolica convertì in regola confessionale, con il controllo delle scuole e la "Ratio studiorum" dei collegi gesuitici, lo schema laico degli "studia humanitatis".

Funzione preminente all'interno della filosofia dell'epoca ebbe Giovanni Pico, che influì profondamente alcuni aspetti del pensiero del XVI secolo.

Il XV secolo

[1997]

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