L'umanesimo
L'umanesimo
Con il termine di umanesimo si indica il
movimento culturale sorto in Italia e propagatosi a tutta l'europa
latina, propugnante un rinnovamento della cultura basato su una
maggior conoscenza del mondo classico greco-latino. Si tratta
dunque di un movimento classicista.
Nella terminologia storiografica si tende
a usare il termine di "umanesimo" con particolare riferimento
all'ambito di cultura latina, specificatamente del XV secolo.
Con il termine di "pre-umanesimo" le anticipazioni culturali avvenute
nel XIV secolo. Con il termine di "rinascimento" si indica tutto
il periodo di boom culturale, pił o meno a partire dalla metà
del XIV secolo a tutto il XVI secolo. Le accezioni terminologiche
non sempre combaciano alla perfezione, e anche per questo andiamo
cauti con le definizioni e tali usi. Gli intellettuali del XV
secolo usarono la definizione di "studia humanitatis" per designare
il proprio campo di attività culturale. Mentre con il termine
di "rinascita" polemizzarono contro i "secoli bui" immediatamente
precedenti, e contro cui sentivano di opporsi. Fondamentale per
l'acquisizione dell'uso terminologico di "rinascimento/renaissance"
all'interno dell'uso terminologico è stato il saggio di
J. Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia (Die
Kultur de Renaissance in Italien, 1860). In senso pił limitato
geograficamente e concettualmente era stato adottato pochi anni
prima da J. Michelet e da G. Vogt. Nella storiografia italiana,
soprattutto con S. Bettinelli e De Sanctis, fu pił resistente
l'uso del termine "risorgimento" (in particolare con riferimento
al risveglio culturale successivo al 1000+). Nel XX secolo il
termine "risorgimento" fu ristretto al periodo delle guerre nazionalistiche
italiche del XIX secolo, mentre si adottò comunemente il
termine di "rinascimento" per indicare il XV-XVI secolo.
Coluccio Salutati
(1331/1406) e Poggio Bracciolini (1380/1459)
sviluppano nel corso del XV secolo gli insegnamenti e le indicazioni
di Petrarca. Con loro siamo nell'ambito di quella che viene chiamata
"cultura umanistica". E' un movimento culturale. Gli intellettuali
che ne fanno parte sentono di essere parte di qualcosa che non
è solo culturale o letterario, ma che ha valenze etiche
e sociali. E instaurano rapporti tra di loro non pił basati solo
sulla solidarietà municipale: essere "letterati" e "dotti"
impone delle responsabilità "internazionali". L'umanesimo
in Italia ha caratteristiche trans-municipali anche se saldamente
legati alle città in cui questi intellettuali operano,
e grazie a queste caratteristiche trans-munucipali è già
pronto all'estensione a livello europeo.
Dopo secoli di arretramento culturale e di
lentissimo recupero civile, con l'umanesimo si ha un decisivo
avanzamento qualitativo e estensivo della cultura, nell'Europa
occidentale. L'umanesimo, nel momento in cui l'Europa occidentale
si prepara a lanciarsi nel programma di espansione transcontinentale
fornisce il tentativo di una unione culturale degli intellettuali;
e ciò avviene nel mentre in Europa si manifestano forti
spinte alla divisione, per l'incapacità delle antiche strutture
unificatrici (impero e chiesa romana) di rispondere alle nuove
sfide date dal nascere di nuovi fenomeni sociali. Così,
se i piani di unificazione politica non riescono, e le vecchie
tradizionali strutture egemoniche ricevono salutari scossoni,
e mentre sul piano politico emergono nuovi soggetti capaci di
movimento e protagonismo autonomo, in Europa gli intellettuali
riescono a far circolare in maniera tutto sommato omogeneo le
loro idee usando gli strumenti umanistici. Circolazione di idee
e di conoscenze che ha grosse conseguenze sul piano dell'innovazione
tecnologica e sul livello delle conoscenze.
All'origine della nozione di umanesimo, il
cui uso terminologico, occorre sottolinearlo, è entrato
solo agli inizi del XIX secolo nella terminologia storiografica,
sta la distinzione operata da Cicero tra "humanitas" e "divinitas",
distinzione poi maturata da Petrarca per cui "humanitas" esprimeva
«la restaurazione o rinascita o riabilitazione dell'"homo" naturale»
(come scrive *W. Ullmann) come si era rivelato nella storia, civile
e sociale, e nelle forme pił elevate delle epoche classiche (greche
e latine). Sono sintomi di una nuova valutazione dell'uomo e del
suo operare mondano e civile, sintomi già presenti alla
fine del XIII secolo e nel XIV secolo: si pensi all'attività
della scuola padovana facente capo, dopo Lovati, a Mussato. Mentre
pił programmatico radicale e consapevole è il Difensore
della pace (Defensor pacis, 1324) di Marsilio da Padova, che argomentava
la superiorità dello stato sulla chiesa, e del "civis"
sul "fidelis". Nel XV secolo l'umanesimo appare come una cultura
con saldi fondamenti laici e civili, segnando la nascita di un
nuovo consapevole rapporto tra passato e presente, una diversa
coscienza storica dell'"umanitas". Una coscienza che passa attraverso
la condanna antistorica di una parte del passato, e precisamente
dei "secoli bui" iniziatesi con le invasioni barbariche. Una condanna
che è nettissima in Petrarca, e che dopo di lui si accompagna
alla esaltazione della nuova epoca di "luce". Ciò che si
rimproverava ai "secoli bui" era non solo la caratteristica di
epoca di crisi per la cultura europea (ed è indubbio che
ciò sia avvenuto, con alti e bassi), ma anche di essersi
espressa come cultura della rivelazione e della rigenerazione
mistica, interrompendo o subordinando alle sue finalità
il processo naturale e storico dell'"humanitas". Di qui l'entusiasmo
e l'orgoglio per la scoperta (pił che riscoperta) dei testi antichi
non solo come fonte di soddisfazione estetica ed erudita, ma anche
come possibilità di reintegrazione del presente nel passato,
il ripristino della continuità della natura nella storia,
indipendentemente dalle interruzioni e trasformazioni palingenetiche
delle diverse confessioni. Fu per gli intellettuali del XV e del
XVI secolo la "rinascita", la presa di coscienza delle nuove potenzialità
culturali aperte dal pił alto livello culturale e sociale raggiunto.
Attraverso il "ritorno" (ai classici greci e latini, alla natura),
la "rivelazione" di una realtà e di una possibilità
laiche, non pił oltremondana e clericale.
Coluccio Salutati
raccolse e svolse nell'ultimo trentennio del XIV secolo l'insegnamento
petrarchesco che a Firenze era stato tenuto vivo dall'agostiniano
L. Marsili nelle sue conversazioni al convento di Santo Spirito,
aperte al contributo di vari intellettuali di varia provenienza
ideologica e professionale. L'apologia salutatiana della "florentina
libertas" erede della "libertas" romana, era organica ai disegni
della oligarchia economica e politica che dominava Firenze. Ma
è anche vero che questo umanesimo "civile" (secondo la
formula datane da *H. Baron e *E. Garin) è il perfezionamento,
nella variante fiorentina del classicismo militante, del progetto
di convivenza laica e politica che aveva promosso l'attività
letteraria in latino in ambito pre-umanistico. Prima di essere
retori filologi e letterati, i primi umanisti furono scrittori
d'avanguardia, pronti a servirsi delle varie forme della pubblicistica
e della propaganda intellettuale per modificare le strutture del
sapere e per razionalizzare l'organizzazione del potere. In questo
non fu secondario l'adozione del latino, la lingua della classe
colta, dotata a differenza del volgare dei caratteri ecumenici
dell'europa cristiana e della stabilità comunicativa e
stilistica d'impronta petrarchiana che rendeva attuabile, al di
là dei confini segnati dall'esperienza del volgare, la
fondazione di una "res publica litteraria". Esperienza irripetibile
per le circostanze che ne consentirono risultati di singolare
omogeneità, l'umanesimo fu destinato a esaurirsi come fenomeno
unitario nel giro di un secolo. In questa fervida stagione, quattro
generazioni di intellettuali ebbero modo di sviluppare la nuova
cosmologia dell'"humanitas" e di articolarne i contenuti elaborando
i metodi moderni della conoscenza critica.
A Firenze Leonardo Bruni
esaltò nei Dialoghi con Petrus Paulus da Istria (Dialogi
ad Petrum Paulum Histrum) la lezione civile di Salutati e la integrò
sul fondamento etico delle "humanae litterae" come promotrici
di un bene comune nel quale concordano "caritas" cristiana e "civitas"
ciceroniana. Poggio Bracciolini spinse il tema dell'operosità
cittadina e terrena fino alla polemica antiascetica e antifratesca:
si vedano soprattutto L'avarizia (De avaritia) e Contro gli ipocriti
(Contra hypocritas). Mentre la convivenza tra umanesimo e devozione
avveniva su nuove basi: si veda il camaldolese Ambrogio Traversari,
grecista e latinista, fautore della conciliazione tra chiesa greco-ortodossa
e chiesa romano-cattolica.
L'esaltazione della ricchezza era esplicita
in Bracciolini, ma era anche il perno attorno cui in quegli anni
crebbe il magistero dei grandi educatori, come Vittorino di Fletre
e Guarini, e si affermò la nuova pedagogia dell'umanesimo
che sostituiva alla rigidezza normativa delle "artes dictandi"
un pił diretto rapporto con gli "auctores", all'apprendimento
tecnico il processo formativo che trasforma lo studio attraverso
la lettura e il commento in esperienza.
L'umanesimo coinvolse, al di là dagli
interessi propri di una élite, la vita delle città
e ne modificò l'assetto culturale. Umanista fu anche colui
che non lascia testimonianza scritta di sé, come N. Niccoli
a Firenze, ma che raccoglie e trascrive codici, forma una biblioteca
per destinarla a un uso cittadino. Umanista è anche il
prìncipe o il privato che incrementa il collezionismo e
si serve dell'esperto per il recupero delle opere d'arte antica
e per orientare le sue iniziative di committente.
Umanesimo civile
L'umanesimo nella prima parte del secolo compie
grossi progressi soprattutto nel campo della filologia e degli
strumenti letterari; nella seconda parte del secolo si avvieranno
programmi di riforma e di critica anche in campo pił nettamente
filosofico, ma con un nuovo "tabł" per la politica in senso stretto:
è esistito un "umanesimo civile" nella prima parte del
XV secolo, cui è seguito un "umanesimo letterario" della
seconda parte. L'accordo vagheggiato e attivamente promosso dall'avanguardia
culturale fiorentina tra le sfere dell'etico, del politico e dell'economico
mostrò la sua crisi proprio nel momento di maggior fulgore,
sotto Cosimo Medici il Vecchio. Ciò che di altamente innovatore
e "eretico" fu continuato come umanesimo "libertino" (si pensi
a opere come gli Intercenali e al Momus di Leon Battista Alberti):
una volontà di fermento che ebbe manifestazioni varie,
di ostentato neopaganesimo, di irreligiosità, di esoterismo,
di naturalismo. Ma sempre manifestazioni né occasionali
né eccentriche, sempre impegnate a disegnare il volto di
una cultura critica che, senza smentire la cosmologia dell'"homo"
naturale, ne vanificava gli esiti ideologici pił trionfalistici
e le pretese mitologiche del progresso infinito. Con Bracciolini
e Niccoli si ha l'adozione della minuscola
carolina nella pratica libraria umanistica. Una adozione di non
secondaria importanza. Ci si voleva contrapporre anche in questo
modo, praticamente e esteriormente e non solo contenutisticamente
alla scrittura corrente tradizionale, che usava ancora il gotico
e le sue varianti. L'adozione della minuta carolina nasceva dall'equivoco,
un errore prodotto da "buone intenzioni": trovando nei manoscritti
pił antichi, risalente ad epoca carolingia, quel tipo di scrittura,
si pensò che fosse quella la scrittura dei romani antichi
e classici. Usare la minuta carolina dunque era il modo che avevano
gli umanisti di restaurare l'uso classico latino. Anche in questo
modo gli umanisti si sentivano gli eredi di quella cultura.
L'insegnamento
La funzione pedagogica, d'insegnamento, fu
molto sentita dagli umanisti. A parte il fatto che l'insegnamento
era un modo di guadagnarsi da vivere e che molti umanisti furono
insegnanti e precettori. Essi intervennero nella formazione delle
classi dirigenti e amministrative dando un preciso indirizzo di
cultura e di valori. Ciò servì a prolungare gli
effetti dell'umanesimo, a trasmetterne i valori attraverso pił
generazioni, a far sì che i valori dell'umanesimo fossero
sentiti come propri anche dalle classi dirigenti (prìncipi
e signorotti locali). Una cosa possibile certamente anche per
la ricchezza dell'Italia centro e settentrionale, relativamente
ad altri stati europei del tempo, ciò che permetteva un
tale impiego di energie e risorse. Partecipando al pił complesso
quadro della scolarizzazione generale degli italici (non dobbiamo
dimenticare però che gran parte della popolazione restava
esclusa da questa scolarizzazione, anche se in Italia allora la
situazione era certamente migliore che in altri paesi e fu questa
una causa non secondaria della permanenza dell'alto livello culturale
raggiunto dalle élites), accanto alle organizzazioni tradizionali,
come quella clericale del resto sottoposta anch'essa a un cauto
e contraddittorio processo di ammodernamento, gli umanisti pedagoghi
attuavano quello che era in fondo l'obiettivo principale della
"riforma umanistica" che puntava alla creazione di uomini, intellettuali,
classi dirigenti, nuovi rispetto alla tradizione degli anni e
dei secoli precedenti.
L'importanza di pedagoghi come Vittorino
da Feltre e di Guarino Guarini
fu centrale all'interno dell'umanesimo, oltre che nella storia
della pedagogia in genere. E accanto a loro, non dobbiamo dimenticarlo,
tutti gli umanisti che svolsero l'importante ruolo di insegnanti
e di trasmettitori della cultura e dei valori umanistici.
Centri culturali italici
Nell'Italia divisa in staterelli, sono i centri
politici del centro e del nord italico a costituire i centri culturali
dell'umanesimo. Funzione centrale ha Firenze, con la sua schizofrenia
tra tensioni repubblicane e dominio signorile (dei Medici). In
area padana sono centri fervidissimi Mantova (signoria dei Gonzaga)
e Ferrara (signoria degli Este). La Repubblica di Venezia. Il
ducato di Urbino (Montefeltro). Roma dominata dai papi-signori:
Niccolò V, Pio II, Sisto IV. Napoli con gli Aragona. Importanti
le presenza individuali, accanto ai processi di maturazione autonoma
dati da questi centri. Si pensi alla funzione avuta da artisti
itineranti come Alberti, Valla, Piero della Francesca, l'educatore
Guarini, lo scienziato Pacioli. Altra funzione importante svolgono
le istituzioni, come le università di Pavia, Padova e Bologna
che continuano a formare i quadri professionali, e le accademie.
Nell'antico toponimo della scuola platonica, l'accademia, l'umanista
trovò il nome che indica lo spazio di un incontro permanente,
di una associazione con comuni interessi intellettuali. Così
a Napoli si ha l'Accademia Pontaniana. A Roma l'Accademia Romana,
che papa Paulus II scioglie nel 1468 per sospetto di empietà
e di congiura anti-pontificia. A Firenze è l'Accademia
Platonica, fondata nel 1463 da Marsilio Ficino, e che sembrò
interpretare l'ambizioso progetto di pax medicea, e ebbe, con
il consenso di Lorenzo Medici un magistero spirituale e ideologico
che provocò violente e irriverenti reazioni nella borghesia
letterata, anti-intellettualistica e materialistica, primo tra
tutti Luigi Pulci. Le accademie sono le nuove sedi del dibattito
filosofico e letterario; in seguito diverranno anche le sedi dei
"piacevoli studi" mondani e delle attività teatrali.
La filologia
Nella filologia la distanza tra le generazioni
fu segnata dallo scarto tra l'avventura pioneristica di Bracciolini
scopritore di codici e quella pił sedentaria di Valla fino a un
minore come Flavius Blondus. Con Valla
(1405/1457) siamo alla revisione critica e filologica dei
testi, con conseguenze politiche precise.
Il fervore filologico, la nuova coscienza
filologica, continuò anche dopo. In un periodo in cui i
letterati sono esclusi dal campo politico, le lezioni, le note
e i saggi di Poliziano segnano negli ultimi decenni del secolo
il momento di massima concentrazione della tecnica e della weltanschauung
filologiche. La filologia fu per gli umanisti una "doctrina orbicularis"
(come la chiamò poi G. Budé): essa attraeva nella
sua orbita tutte le discipline e unificava all'insegna di un rinnovamento
profondo del sapere la ricerca e la scoperta dei codici latini
e greci.
L'imitazione
Tutta la nuova produzione in latino si conformò
a un principio-guida, quello dell'"imitatio", l'imitazione. Essa
relegava la sperimentazione, che fu invece vivissima nella letteratura
volgare dell'ultimo XV secolo, ai margini, ai laboratori comici
del "maccheronico" e negli esercizi del "pedantesco". Con l'imitazione
non ci si appiattiva al modello dogmatico dell'antico, ma si usava
quel modello per recuperare contenuti e forme di una civiltà,
procedendo a una forma di innesto culturale. Le innovazioni già
presenti nella civiltà borghese del XIV secolo furono in
questo modo incanalate e direzionate all'interno di un processo
innovativo diverso e pił organico. Il dispiegarsi dell'innovazione
sotto il segno del recupero del classico, in ambiti fino ad allora
inesplorati e al di là dei termini della cultura tradizionale
al punto da coinvolgere le forme stesse della vita, diede al movimento
una fisionomia epocale. L'imitazione era un principio di valore
normativo, ma anche storico, in quanto fondamento di una civiltà
comune in europa occidentale, da richiamare a nuova vita con lo
studio della tradizione e con il filtro dell'eloquenza. Nella
pratica degli stili ai modelli maggiori si affiancarono i minori:
Petronius, Apuleius, Plinius junior, Terentius, Plautus. Cicero,
sia quello pubblico che quello delle epistole familiari, e il
suo corollario precettistico, l'"Istituzioni di oratoria" di Quintilianus,
furono al centro della discussione: fino alla polemica di Poliziano
con Cortesi e al graffiante Ciceroniano (Ciceronianus, 1528) di
Gert Geertsz.
L'umanesimo letterario
Nella seconda metà del XV secolo in
Italia domina quello che è stato chiamato "umanesimo letterario".
Un mutamento all'interno delle posizioni politiche dei letterati,
nella seconda metà del XV secolo è chiaramente avvertibile.
E' venuto meno un impegno civile volto alla valorizzazione delle
libertà pratiche, politiche delle singole città.
Soprattutto a Firenze, la principale fonte dell'umanesimo civile
nella prima parte del secolo, si ha il passaggio dalla repubblica
alla signoria dei Medici. In questo modo anche tra gli umanisti
fiorentini ci si pone in posizione meno politica, ovvero pił filo-
signorile o filo-cortigiana di quanto non avvenisse prima. Ciò
ha anche conseguenze sul piano dei prodotti artistici, maggiormente
orientati a una funzione evasiva e d'intrattenimento. Nel frattempo
però maturano e si concentrano gli effetti degli studi
classici, filologici, mentre l'ondata di dotti provenienti dalla
Grecia permette di riapprendere l'uso della lingua greca. Se a
Firenze si ha una perdita di autonomia politica, l'alto livello
civile raggiunto e soprattutto la presenza di una società
estremamente viva e variegata (di cui è sintomo il mantenimento
delle istituzioni repubblicane pur sotto l'egemonia di Lorenzo
Medici) permettono l'espressione di forme letterarie eterogenee,
lo sperimentare e la ricerca di forme nuove, anche all'interno
dei volgari italici.
Tra gli intellettuali impegnati nella seconda
metà del XV secolo definibili nell'ambito dell'umanesimo
letterario è Iulius Pomponius Leto.
Produzione lirica e fiction latina
In poesia i grandi esempi lirici ed epici
di Virgilius e Oratius sembravano inattingibili. L'esametro eroico,
dopo le vane imprese cortigiane di Filelfo
("Sphortias" e "Eracleide") e di Strozzi
("Borsiade") ebbe il miglior risultato nel tardo poemetto
religioso di Sannazaro, Il parto della vergine (De partu Virginis,
1513-26).
Il successo scandalistico dell'Hermaphroditus
(1425) del Panormita (cioè di
Antonio Beccadelli) mostrò che distico elegiaco ed epigramma
potevano assecondare tonalità intime e colloquiali ma anche
il gusto dell'improperio e dell'osceno. Del resto anche in autori
maggiori, come Landino, Poliziano,
Pontano, la facilità elegiaca di Tibullus e Propertius
prevaleva nei confronti delle strutture pił complesse del carmen
catulliano e dell'ode oraziana.
Generi letterari seguiti sono l'epistola
(Poggio Bracciolini, Guarino Guarini), che non è solo strumento
di comunicazione ma spesso soprattutto oggetto artistico; e il
dialogo, segno di una cultura che vuole misurarsi e dialettizzare
per giungere a passi successivi di conoscenza. Ciò che
noi oggi apprezziamo, nell'ambito di questo humus di fondo, sono
alcuni prodotti, sentiti da questi scrittori come marginali nell'ambito
dei loro interessi. Si tratta di alcune commedie-dialogo dalle
caratteristiche goliardiche: quelle di Enea Silvio Piccolomini,
Leon Battista Alberti; e alcune cose
etico-satiriche di Alberti, Pontano,
e di Antonio Ferrariis (detto "il Galateo"
).
In campo linguistico gli umanisti riescono a ripristinare un latino
molto pił flessibile e vivo; la riscoperta e la riproposizione
dei testi latini classici in "edizioni critiche" permette di tornare
a leggere un latino "classico" la cui conoscenza si era andata
perdendo. Un'attenzione per la lingua che ha riflessi anche nei
confronti delle lingue postlatine: gli umanisti italici sono bilingui,
e attuano le loro attenzioni revisioniste e puriste non solo nei
confronti del latino ma anche della lingua postlatina toscana,
divenuta con Petrarca la lingua poetica "comune" per gli italici.
L'attività da sperimentalista di Poliziano
(1454/1494) è da questo punto di vista indicativa.
Scoperta dei greci
Fenomeno macroscopico pił evidente, all'interno
dell'umanesimo fu la scoperta non solo dei classici latini, ma
anche dei greci. Il greco che fino ad allora era stato malamente
e solo sporadicamente conosciuto, viene per la prima volta, a
livello della cultura alta, studiato. Un contributo grossissimo
proviene dai dotti greci che si trovano a emigrare in Italia negli
anni compresi tra il concilio di Ferrara e la caduta di Bisanzio
(1438-1453). Probabilmente, la costituzione del regno latino in
Grecia se da una parte permette un riannodo diretto dei contatti
tra Bisanzio e occidente europeo, dall'altro destabilizza definitivamente
le capacità di resistenza di quella compagine statale di
fronte ai turchi. La caduta di Bisanzio non fece che rendere irreversibile
una emigrazione che già in parte era avvenuta nei decenni
immediatamente precedenti. Ricordiamo Manuele Crisolora,
Giorgio Gemisto detto Pleton, Giovanni
Bessarione, Demetrio Calcondila,
Giovanni Argiropulo.
Il neoplatonismo
L'ellenismo, introdotto con la diaspora dei
dotti greci dopo la caduta di Bisanzio, non sconvolse il rapporto
linguistico degli umanisti con la latinità. Ma in ambito
filosofico il fenomeno pił rilevante dell'ellenismo umanistico
fu la scoperta di Platon. Una scoperta che produsse effetti notevoli,
oltre i limiti anche speculativi dell'epoca. Si ebbero influssi
nella religione, nell'etica, nella letteratura, nelle arti. La
presenza dei dotti greci, e soprattutto le lezioni di Giorgio
Gemisto Pletone a Firenze, e le traduzioni in latino del corpus
platonico diffuse presto in tutta europa, determinarono negli
anni tra il concilio di Firenze e la caduta di Bisanzio (1439-1453)
una vera svolta idealistica. Con Marsilio
Ficino è la revisione neoplatonica, orfica. La "pia
philosophia" o "docta religio" raccolse le ispirazioni della "devotio
moderna" che ebbe in Cusano il suo massimo sostenitore, e del
sincretismo cristiano vagheggiato da vari settori dell'umanesimo,
come ad esempio Valla ne "La voluttà" (De voluptate) su
fondamenti epicurei. Nello stesso tempo aprì l'orizzonte
di una dottrina della rivelazione con l'ardua esegesi compiuta
da Pico tra Qabbalah e Bibbia. Indirettamente era anche la ricerca
di una coincidenza tra conoscenza divina e naturale. Già
prima, a Firenze, Alberti aveva cercato di armonizzare il rapporto
tra natura e storia, eventi e volontà, nella dimensione
del microcosmo individuale e sociale. Di qui, nella rinata poesia
in volgare di Lorenzo Medici e soprattutto di Poliziano, la compresenza
di celebrazione naturalistica e vitalistica e di ripiegamento
spirituale e sacrificale. In Pulci la compresenza di irrisione
e evangelismo, materialismo e razionalismo.
La centralità dell'uomo nella natura è il grande
tema che percorre la cultura del XV secolo, accompagnandosi al
tema meno rassicurante della sua determinazione storica. Ficino
svolse il ruolo di protagonista di questa nuova antropologia.
Il suo sistema aggrega all'insegna del platonismo, e tramite la
tradizione ermetica, misterocentrica, escatologica, tutto ciò
che religione e filosofia avevano fino ad allora tenuto diviso.
La sua dottrina esprime compiutamente la tensione ideale dell'epoca,
che si specificherà in norma estetica, e in etica del comportamento
(i galatei del XVI secolo), fino a Giordano Bruno.
Di fronte agli eventi politici e religiosi che tra XV e XVI secolo
modificarono la fisionomia dell'europa cristiana, l'umanesimo
si irrigidì in istituzione. La chiesa cattolica convertì
in regola confessionale, con il controllo delle scuole e la "Ratio
studiorum" dei collegi gesuitici, lo schema laico degli "studia
humanitatis".
Funzione preminente all'interno della filosofia
dell'epoca ebbe Giovanni Pico, che influì
profondamente alcuni aspetti del pensiero del XVI secolo.
Il XV secolo
[1997]
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