Storia della letteratura europea - Torna in homepageAgnolo Ambrogini Poliziano


Agnolo Ambrogini Poliziano


Agnolo Ambrogini nacque a Montepulciano nel 1454. Figlio del notaio Benedetto di Nanni, ucciso per vendetta nel 1464. Agnolo, che più tardi prenderà il soprannome di "Poliziano", dal nome latinizzato della sua città natale, si trasferì quattordicenne a Firenze. Fu discepolo tra 1469 e 1474 di celebri maestri come Landino, Calcondila, Argiropulo, Ficino. Si distinse subito per la precocità d'ingegno. Dopo appena un anno di studi regolari si accinse a continuare la versione latina dell'"Iliade" interrotta da Carlo Marsuppini nel 1454 al primo libro. Poliziano lo portò avanti fino al quinto libro, mentre nel 1470 inviò il secondo libro a Lorenzo Medici come prova della sua preparazione e pretesto per offrirgli i propri privilegi e chiederne protezione. Lorenzo Medici gli aprì il suo palazzo e la propria biblioteca nel 1473. Nel 1475 gli affidò l'educazione del figlio Piero. Poliziano si occupò della cancelleria medicea e continuò a tradurre. Nel frattempo scrisse (1473-1478) epigrammi in latino e greco, odi e elegie latine tra cui famosissima quella per la morte della gentildonna Albiera Albizzi (Mentre la bellissima ragazza Albiera Albizzi muore, In Albierem Albitiam puellam formosissimam morientem, 1473). Poemetto estroso è Silva nella scabbia (Sylva in scabiem, 1475) che in 350 esametri descrive la sintomatologia e la natura della scabbia. Scrisse inoltre rime toscane, una raccolta di Detti piacevoli. Incompiute sono le Stanze cominciate per la giostra del magnifico Giuliano di Piero de' Medici (1475-1478). Nel 1475-6 scrisse, a nome di Lorenzo Medici, l'Epistola a Federico d'Aragona premessa all'antologia di poeti in volgare che fu poi chiamata "Raccolta aragonese". La congiura dei Pazzi, e la morte di Giuliano Medici, su cui scrisse un Commentario della congiura dei Pazzi (Pactianae coniurationis commentarium, 1478) di stile e argomentazione sallustiana, la successiva guerra con Sisto IV e Ferdinando I di Napoli, e i contrasti sorti con Clarice Orsini, moglie di Lorenzo Medici, circa l'educazione di Piero, guastarono i rapporti tra Poliziano e Lorenzo Medici. Allontanato da Firenze nel 1479, peregrinò per l'Italia settentrionale. Si fermò presso il cardinale Federigo Gonzaga a Mantova. Qui compose forse per una festa di corte la Favola di Orfeo (Fabula di Orfeo, 1480). Poliziano ha modo di confrontarsi con i rappresentanti dell'umanesimo veneziano, con Ermolao Barbaro soprattutto. Si accostò ad Aristoteles e alla sua "Poetica" maturando una nuova concezione della filologia umanistica, autonoma dai vincoli retorici connessi al platonismo ficiano e incentrata su una rigorosissima critica dei testi e sulla consapevolezza del valore storico della lingua. Nel 1480 si riconciliò con Lorenzo Medici, ma non fece più parte della cerchia degli intimi di casa Medici. Lasciò la segreteria per la cattedra di eloquenza latina e greca allo Studio fiorentino. Si dedicò soprattutto alla filologia, fino alla morte avvenuta a Firenze nel 1494.


La sua attività di filologo fu importantissima. Scrisse una Prima centuria di miscellanee (Mescellaneorum centuria prima, 1480), e una Seconda centuria (Centuria secunda) incompiuta. Quest'ultima fu riscoperta nel 1960. Si tratta di due opere fondamentali, che aprirono la strada alla saggistica. Altrettanto importanti le prolusioni in prosa latina ai corsi universitari, come il Panepistemon (Panepistemon) con cui introdusse il corso sull'etica aristotelica del 1490-91, la Lamia (1492-3), e un trattato sugli Analitici (1494). Altri scritti riguardano la polemica con letterati del tempo: tra essi quelli con l'umanista Paolo Cortese, sostenitore di una imitazione pedissequa dello stile ciceroniano: Poliziano invece contrapponeva una più personale e libera rielaborazione dei vari modelli. A queste opere di filologia e critica sono da ricollegare anche le traduzioni in latino del "Manuale" di Epitteto (1479), delle "Storie" di Erodiano (1487). Si dimostra dotto e raffinato poeta nelle quattro Selve (Sylvae), prolusioni accademiche in esametri latini: "Manto" (1482), "Rusticus" (1483), "Ambra" (1485), "Nutricia" (1486). Negli ultimi anni si dedicò agli studi sulle "Pandette". Letterato sensibile e squisito, fu maestro riconosciuto e acclamato di filologia. A lui va il merito di aver posto le basi metodologiche degli sviluppi successivi: il valore delle sue letture dei classici, sia quelle pubblicate sia quelle rimaste a lungo sepolte in codici sconosciuti o in note marginali o in appunti di studenti, ha trovato nel tempo puntuale conferma.


Poliziano non influì solo sulla produzione latina del suo tempo, ma anche su quella in volgare successiva. Suo capolavoro in questo campo furono le Stanze per la giostra, stampate per la prima volta nel 1494. La scelta del volgare ha un preciso significato poetico e culturale come momento di accettazione della nuova tradizione letteraria: cortese, stilnovistica, ma soprattutto della linea dell'"Amorosa visione" di Boccaccio e dei "Trionfi" di Petrarca. Si ha indirettamente una unificazione con la tradizione classico- latina. Il poemetto era destinato a celebrare la vittoria di Giuliano Medici in un torneo. Si ricordi come questa di celebrare i vincitori di gare e tornei era un'usanza tipica dei latini e dei greci: non si tratta dunque solo di un'operazione panegirista, ma di restauro di un'uso. Il poemetto fu interrotto al secondo libro (ottava 46), a causa della morte del giovane Giuliano. L'opera è complessa dal punto di vista stilistico e tematico, si svincola dai canoni della narrativa cavalleresca. E' un iter allegorico verso la bellezza, fondato sulla favola mitologica, un tipo di figurazione meglio congeniale a un umanista. Il tema delle armi non è neppure accennato: dopo la descrizione di una movimentata scena di caccia, si chiude con la breve favola amorosa di Julio (= Giuliano Medici) e Simonetta, e con la descrizione del regno di Venere. Vena idillica, levità favolosa di un'atmosfera mitica che irradia una luce ferma e irreale su coloriti paesaggi primaverili. E' un mondo idealizzato, ma con un acuto senso della fugacità del tempo che anima di un lirismo intenso e talvolta inquieto. La stessa fantasia pittrice e trasfiguratrice, perennemente affascinata dai toni della primavera e della giovinezza è nelle parti migliori delle Rime. Esse furono composte in tempi diversi, su festosi ritmi popolari ma in un linguaggio sempre controllato. Vi si disegnano quadretti nitidi e coloriti come quelli delle ballate I' mi trovai, fanciulle e Ben venga maggio. La Favola di Orfeo (Fabula di Orfeo) sviluppa la tematica virgiliana delle "Georgiche" e ovidiana delle "Metamorfosi", del mito orfico. Le forme sono quelle stilizzate dell'egloga pastorale. La tecnica è quella scenografica della sacra rappresentazione fiorentina, ma ha punti di contatto anche con le favole mitologiche in uso a Venezia, le "momarie". E' forse la prima opera di contenuto profano del teatro italico. Della "Favola" fu fatto un rifacimento, di incerta attribuzione, in cinque atti: nella "Tragedia di Orfeo" (Orphei tragedia) scoperta nel XVIII secolo, le motivazioni misogine e omosessuali che scatenano l'orgia bacchica e la decollazione di Orfeo sono censurate.


Italia nel XV secolo

[1997]

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