Dal
Settimo al Decimo secolo
Dal Settimo al Decimo secolo
Impero bizantino
L'Impero bizantino conosce in questo periodo una fase di decadenza,
a partire dalla morte dell'imperatore Eraclio.
In campo culturale domina la figura di Giovanni
Damasceno, ultimo grande teologo della chiesa orientale. Interessanti
per la storia della cultura più che per le qualità
raggiunte, una serie di minori (come Theodòsios
Diakonos, il grammatico Theògnostos,
il monaco omonimo Theògnostos
che ebbe un ruolo nelle vicende interne della chiesa cristiana
ecc.).
Più interessante, composto al di fuori della produzione ufficiale,
è il Romanzo di Barlaam e Iosafat,
adattamento greco di una leggenda popolare, risalente forse alla
prima metà dell'VIII secolo. Questo romanzo edificante
si diffuse in europa a partire dal X secolo.
All'inizio del secolo VII la chiesa georgiana, che fino ad allora
aveva convissuto insieme a quella armena, si stacca da quella
armena; le prime opere scritte in georgiano (lingua caucasica)
furono teologiche liturgiche religiose, tradotte dall'armeno dal
siriaco e dal greco, ma a partire dal distacco iniziò una
letteratura più spiccatamente nazionale. I maggiori centri di
produzione furono il monastero di San Saba presso Gerusalemme,
e il monastero di Santa Caterina nella penisola del Sinai, dunque
piuttosto lontani dalla patria.
Tra le opere di maggior rilievo, il Martirio di Santa Shushanik
di Giacomo di Tsurtav (sec. VI).
Europa occidentale cristiana
In occidente l'Italia è dissanguata dalle invasioni di
ostrogoti e vandali, mentre rimane poco della produzione longobarda.
In Africa settentrionale, già uno dei centri culturali
della latinità , l'invasione dei vandali ne stronca i centri
economici e culturali. La stessa Gallia (la Francia) non vive
nel VII secolo una situazione culturale meno che mediocre. Si
veda la volenterosa ma rozza opera di Teodefridus
da Corbie ecc..
Ciò che rimane in occidente è l'Irlanda. Qui l'evangelizzazione
operata da Patrizio (nel V secolo) si estende all'Inghilterra.
Dall'Irlanda e dall'Inghilterra si irradia verso l'Europa continentale
(soprattutto verso Gallia e Italia) un'opera di rievangelizzazione
o riorganizzazione culturale e religiosa. Tra i missionari che
operano nel continente, Colombanus fondatore a Bobbio di un centro
che si specializzerà nella trascrizione dei testi classici.
Nel VII secolo è la confluenza di tre grossi contributi
culturali: l'incontro tra influsso romano e monachesimo irlandese
si realizza grazie a Aldelmus da Malmesbury [Aldelmus],
Eusebius da Jarrow, Beda con il suo discepolo
Egbertus che insegnò a Alcuinus. L'espansione araba produrrà
un'ondata di profughi dal mediterraneo sud-orientale (Grecia,
Palestina, Siria, Egitto, Cartagine) portatori di tradizioni che
si erano perse o con cui non si era più stati in contatto in europa
occidentale. Mentre nel 711 l'invasione araba della Spagna porta
all'espulsione da questa regione, che aveva mantenuto una buona
attività culturale, di intellettuali (Isidorus
da Sevilla, Braulio, Eugenio) che rivitalizzano il "circolo
delle idee" euroccidentale. Questi tre contributi saranno
focalizzati e daranno i loro frutti nel laboratorio culturale
carolingio.
La corte di Karolus
Karolus "il grande" procede a una riorganizzazione
amministrativa ma soprattutto culturale di ampio respiro. Con
la capitolare Le scuole (De scholis, 789) si ha una ripresa
dell'insegnamento, e si procede a un recupero dei testi antichi.
L'impero franco si pone potenzialmente in alternativa e contrapposizione
all'Impero bizantino e al mondo culturale arabo: siamo naturalmente
ben lontani dal raggiungimento dei livelli culturali e sociali
di quelle realtà imperiali, ma rispetto alla crisi dei
secoli precedenti si tratta di una ripresa non indifferente.
Sotto Karolus operano intellettuali provenienti da tutta la cristianità
occidentale: Dungal (un irlandese), Alcuinus (un anglo-sassone),
Paulus Diaconus Varnefridus (un italo-longobardo),
Teodulfus (un ispano-visigoto), Angilbertus
(un franco). Allievo di Alcuino è l'enciclopedico Rabanus
Maurus.
Si sviluppa intanto una letteratura di intrattenimento, e si usa
il verso ritmico. Gotescalcus da Fulda
è forse autore della Ecloga
di Theodulus (Ecloga Theoduli), un contrasto tra verità
e menzogna.
In poesia ritmica si celebrano la vittoria di Pipino sugli Avari
(796), e la battaglia di Fontaneto (841). Un testo come il
Karolus il grande e papa Leo (Karolus Magnus et Leo Papa)
mostra reminiscenze virgiliane. Ermolao il Nero è
autore di un Poema in onore di Ludovico il Pio dai toni
cortigiani ed eroici.
In campo storiografico poche opere: una Vita di Karolus
(Vita Caroli) di Eginardus, e il Libro
dei pontefici (Liber pontificalis).
I successori di Karolus non sono in grado di continuarne o svilupparne
l'opera. La cultura è nuovamente dispersa e in parte trova
un nuovo punto d'appoggio nelle grandi abazie del sud della Germania:
San Gallo, Fulda, Reichenau, centri di cultura per i prossimi
due secoli.
Le cose più interessanti - oltre a opere di carattere celebrativo
e legate alle gesta dei potenti (es. le opere di Ermoldo
Nigello) -, che provengono dai successori di Karolus sono
alcuni testi, di carattere religioso, d'uso tra il propagandistico
e il monetario. Stiamo parlando ovviamente di alcuni codici miniati
risalenti a questo periodo. Forse il più bello è la "Bibbia
di Carlo il Calvo", realizzato a Reims nella seconda metà
del IX secolo, che giunse a Roma come dono forse a papa Giovanni
VIII, e che fu poi conservato nella Basilica di San-Paolo-fuori-le-
Mura. La storia di questo codice appartiene alla storia del libro
e dei preziosi, l'uso che se ne faceva, parte del lavorì
o diplomatico e politico. Nell'857 Giovanni VIII aveva incoronato
imperatore Carlo il Calvo; nell'877, Carlo compie una seconda
discesa in Italia, e rincontra il papa: a Pavia li raggiunge la
notizia della discesa di Carlomanno (figlio di Ludovico il Germanico)
alla testa di un forte esercito. Il papa torna a Roma, Carlo muore
il 6 ottobre 877 in una capanna savoiarda, tra le braccia della
regina Richilde, giunta con vari doni da portare al papa. Richilde
era la seconda moglie di Carlo (la prima moglie Ermetrude, era
morta nell'869). Forse tra quei doni era anche la Bibbia. Il libro
in dono al papa non era solo parte di un accordo diplomatico tra
impero e papato, c'erano forse anche motivazioni religiose-dinastiche
(Carlo il Calvo era rimasto senza discendenza maschile). L'imponenza
del formato, la preziosità delle pagine, l'opulenza cromatica
e figurativa della decorazione, l'intarsio raffinato delle scritture
distintive, rivelano l'intenzione di conferire a questo eccezionale
prodotto un significato preciso che va oltre quello insito nel
suo contenuto testuale, e che vuole segnalarsi come affermazione
di sovranità . Segno massimo di celebrazione e di autocelebrazione
del sovrano è già la miniatura che apre il manoscritto,
con la figura di Carlo il Calvo in trono, la regina alla sua sinistra,
gli scudieri a destra entro uno spazio circolare sul quale si
alza un prtico dominato dalle Virtù Cardinali. Si richiama l'arte
trionfale romana, rielaborata e adattata nel contesto della regalità
carolingia. Segue il prologo di Igobertus nel quale si ricorda
che Carlo «con volto sereno» offre a Cristo il libro. Ingobertus
è il nome probabilmente di colui che diresse i lavori,
nello scriptorium vicino Reims, dove la Bibbia fu composta (da
più artigiani) - una funzione simile dovette avere Godescalcus,
per l'Evangeliario di Carlo Magno -. Autore dei versi del prologo
e forse anche della altre iscrizioni- didascalie contenute nel
manoscritto, che lo mostrano come persona colta. In questi versi
vi sono squarci non banali, come quando, riferendosi al testo
della Bibbia, scrive che «qui è la voce delle cascate con
la quale l'abisso chiama l'abisso e grida a esso con batter d'ali
e con strepito». Grandiosa la concezione delle lettere iniziali.
L'arte del libro in epoca carolingia aveva saputo usare in modo
mirabile l'iniziale ornata dei manoscritti non solo come elemento
decorativo ma anche come mezzo per distinguere e articolare le
parti del testo. Ciò era di particolare significato per
le gigantesche Bibbie in un solo volume, che come nessun altro
manoscritto hanno bisogno di articolazione e di suddivisione interna.
Vi è una gerarchia chiara e differenziata di ornato e di
scrittura tra iniziali. Le pagine decorate con grandi lettere
indicano gli inizi del testo dei diversi libri biblici; queste
pagine sono incorniciate da una decorazione colorata costituita
in prevalenza da motivi vegetali in forma di foglie, palmette
e girali e da motivi geometrici; il campo incluso nelle cornici
presenta ora il colore bianco-ocra della pergamena pura, su spiccano
iniziali in oro, ora tinta purpurea. Nella sequenza dei testi
biblici occupano un posto particolare le tavole dei Canoni dei
Vangeli che, situate all'inizio del Nuovo Testamento, fanno parte
di quelle addizioni che servono da introduzioni ai Vangeli: nella
Bibbia di San Paolo si trovano prima dell'immagine del Cristo
in Maestà , alla quale sono prossimi anche per il loro
contenuto, giacché nel linguaggio delle loro immagini e
delle loro tabelle, riducono i quattro libri sacri all'unità
di una "armonia dei Vangeli". In quattro pagine sono
presenti i Dieci Canoni di Eusebio (Eusebius da Cesarea) secondo
il modello usato dal gruppo più importante delle Bibbie carolongie,
quello di Tours; ma arricchito con le figure degli evangelisti
e dei loro simboli, e con quelle di Cristo in trono e dell'Agnello
di Dio adorato dagli Angeli.
Tra le Bibbie di Carlo il Calvo, quella di San-Paolo è
la più ricca di miniature, e la più ricca tra tutte le Bibbie
carolingie. Le altre Bibbie di Carlo il Calvo sono: la Bibbia
di Grandval [oggi alla British Library di London] con 4 miniature,
la Bibbia di Viviano [alla Bibliothè que Nationale di Paris]
con 8 miniature. La Bibbia di San Paolo contiene 24 miniature,
accompagnate da "tituli" in esametri (tre sulla stessa
pagine, per gli altri sono state usate bande purpuree su pagine
particolari decorate con cornici a colori). Le miniature rappresentano
Carlo il Calvo, il Cristo in trono, e episodi biblici. Con profusione
di oro e purpureo, simboli del potere e della pompa imperiale.
La regione inglese
Alla fine del V secolo, popolazioni anglosassoni invasero la Britannia.
Secondo Beda, che ne scrisse due secoli dopo, si trattava di sassoni,
angli e juti; di cultura leggermente diverse, avevano in comune
la lingua. Le popolazioni autoctone, chiamate welsh (gallesi)
dagli invasori, furono confinati nella regione del Galles mantenendo
intatte tradizioni e lingua.
Quanto è rimasto della letteratura anglosassone è
raccolto in 4 manoscritti (quello del poema Beowulf, il Vercelli
Book, l'Exeter Book, il Junius o Caedmon Book). L'epica, per metro
e per argomento, riflette la tradizione orale pre-cristiana, i
grandi miti, gli eroi, i temi propri dell'epica germanica. La
lingua è l'inglese antico (old-english), con vocaboli ormai
sconosciuti e desinenze cadute da tempo. Il metro si fonda su
allitterazioni, non ha rima, ogni verso - variabile per numero
di sillabe - ha 4 accenti. La maggior parte della produzione letteraria
anglosassone giuntaci è di argomento religioso: nei monasteri
si tendeva a conservare soprattutto le opere di carattere specificamente
religioso.
Secondo Beda (in: Historia ecclesiastica, libro IV, cap. XXIV),
fu Caedmon, un converso della Northumbria di umili origini,
a usare per primo il metro tradizionale per componimenti poetici
di argomento cristiano, prima della fine del VII secolo. Caedmon,
pastore della Northumbria, illuminato da una visione scrisse un
Inno sulla creazione e si fece monaco, continuando poi
a scrivere poemi su argomenti biblici. L'inno è riportato
da Beda in latino. Ne esiste una versione in dialetto northumbrico
(pubblicata nel 1705), che è forse una ritraduzione dal
latino. La tradizione comunque ha attribuito a Caedmon i poemi
raccolti nel manoscritto "Junius" (La genesi, L'esodo,
Daniele, Cristo e Satana), in realtà posteriori e riferibili
ad altri autori, ma per le affinità di stile e linguaggio,
l'uso di un tono epico e ingenuamente retorico, intricata metrica
allitterativa, predominio della perifrasi descrittiva, sono oggi
convenzionalmente assegnati a una cosiddetta "scuola di Caedmon".
Monumento d'epica è il Beowulf,
di autore ignoto.
Diverso è il sentimento nazionale presente in due poemetti
più tardi, e più rozzi: La battaglia di Brunanburh e
La battaglia di Maldon (quest'ultimo scritto dopo il 993),
ispirati alla resistenza contro gli invasori scandinavi.
"La battaglia di Maldon" è forse l'esempio migliore
di poesia allitterativa anglosassone. E' la cronaca poetica, senza
alcun intervento divino o del magico, di un preciso avvenimento
storico: l'11 agosto 993 un esercito di 3 mila danesi sbarcò
in Inghilterra. Invece di sottomettersi a pagare il tributo, Byrhtnoth,
vecchio vicerè dell'Essex, un sopravvissuto alla generazione
di Alfred, raccolse una milizia locale di alcune centinaia di
armati e affronta gli invasori. Dopo un piccolo successo iniziale,
dovuto alla sorpresa, la situazione si fa difficile e alla fine
gli inglesi muoiono tutti a Maldon. Il poema è interessante
anche perché non si riduce ai temi propri della tradizione
epica germanica, imperniata sul coraggio, la lealtà , l'onore:
il senso del fato, il pathos, il crescendo verso la tragedia finale
sono elementi più maturi.
Altri canti hanno tono lirico-elegiaco (Il navigatore, L'errante).
Gli amanuensi monastici preferirono però i poemi religiosi
(secoli VII-X), adespoti o attribuiti a Caedmon o a Cynewulf.
A Cynewulf, vissuto tra l'VIII e il IX secolo, spetta il merito
di aver introdotto temi "nuovi", biblici, mistici, didattici
nella letteratura religiosa, con poemetti come Elena, L'Ascensione,
Giuliana, I fatti degli apostoli: si tratta di testi databili
all'inizio del IX secolo, scritti in dialetto northumbrico, e
in cui appare la firma di Cynewulf in caratteri runici. In queste
opere è usato il metro allitterativo, con frequenti perifrasi
descrittive ("kenning"), basati su fonti religiose latine
ma con tracce evidenti del sostrato pagano. Si distinguono dal
resto della produzione anglosassone per la ricercatezza formale,
il fine edificante, la tensione emotiva. Alla sua "scuola"
è attribuito il maggior poema religioso anglosassone, di
grande profondità meditativa e intensità di espressione,
Il sogno della croce.
La produzione in prosa risale al periodo seguente la conversione
al cristianesimo degli anglosassoni, che vennero in contatto così
con l'europa cristiana intrisa di tradizioni provenienti dal mondo
romano e ellenico. Con il re del Wessex Alfred (nato a
Wantage [Berkshire] nel c.849, morto nel 899) si ha un grosso
rinnovamento culturale; divenuto re dei sassoni occidentali, egli
arresta la conquista danese nell'871 e sposta nel Wessex il centro
culturale dell'isola. Nel clima di propaganda cristiana e nazionalista,
Alfred "il grande" traduce egli stesso la Regola
pastorale (Cura pastoralis) di Gregorius Magnus, la Sette
libri di storie contro i pagani (Historiarum adversum paganos
libri VII) di Paulus Orosius, adatta il Consolazione della
filosofia (De consolatione philosophiae) di Boetius e i Soliloqui
(Soliloquia) di Augustinus. Sollecita traduzioni (la Storia
ecclesiastica del popolo degli Angli di Beda), cura la redazione
di un nuovo codice di leggi, e stimola l'avvio della Cronaca
anglosassone che, dall'invasione di Caesar (-54) arriverà
fino al 1154, documentando il passaggio dall'old-english al middle-
english, unica grande opera in prosa di questo periodo che non
dipenda da un originale latino.
Allo sviluppo della cultura contribuirono alcuni religiosi famosi,
che usarono soprattutto il latino: Beda, Alcuinus, Aelfric,
Dunstan (c.910\988), Wulfstan che con
il Sermone di Lupus agli Angli dà un quadro apocalittico
dell'isola invasa dai danesi.
La regione tedesca
All'VIII secolo risale il Canto d'Ildebrando. Si
tratta di un tardo e incompleto testo, di 68 versi allitterati
scritti in antico alto-tedesco e rinvenuti in un codice dell'abazia
di Fulda, che testimonia una produzione di cui non rimane altro,
risalente almeno ad alcuni secoli prima, e provenienti dalle regioni
tedesche. L'argomento (alcuni hanno ipotizzato una origine longobarda)
è il duello tra Hildebrand e il figlio Adubrando, che si
sfidano di fronte ai due eserciti, di Teodorico e di Odoacre.
Sono fonti romane e successive (Cesare, Tacito, Jordanes, Paolo
Diacono) indirette che ci dicono della produzione, presso i popoli
germani, di forme di poesia trasmesse per tradizione orale da
generazione a generazione: canti di guerra, carmi encomiastici,
preghiere, formule magiche. Il "Canto d'Ildebrando"
è un esempio dei temi (il dovere militare anteposto agli
affetti familiari), delle strutture (versi basati sull'allitterazione
e non sulla rima), e dei toni (severa epicità ) di questa
letteratura.
A partire dell'età carolingia, l'europa centro-settentrionale
è sottomessa ed entra nell'orbita della cultura e dell'organizzazione
della chiesa cattolica. Si rese necessario tradurre o parafrasare
in antico alto-tedesco i testi cristiani. Fu istituita una fitta
rete di monasteri: San Gallo, Reichenau, Fulda. A essi si devono
opere come la Preghiera di Wessbrunn, il Muspilli, la Genesi,
l'Heliand e il Libro dei vangeli di Otfried
von Weissenburg, primo componimento poetico tedesco in rima.
Il "Muspilli" (Incendio del mondo) è un poemetto
in antico alto-tedesco, redatto all'inizio del IX secolo in ambiente
ecclesiastico, pervenutoci frammentario in un manoscritto latino
di Ratisbona. Composto per lo più in versi allitterati, ha per
tema il destino umano dopo la morte: angeli e diavoli combattono
per il possesso dell'anima, Elia lotta con l'Anticristo e il mondo
è distrutto dalle fiamme. Il poemetto ha intenti teologici,
con parti descrittive di intensa drammaticità .
L'"Heliand" (Il Salvatore) è un poema in sassone
antico, risalente al IX secolo, libera narrazione in 5983 versi
allitterati, della vita di Cristo interpretata secondo una concezione
guerriera e feudale, tipica della società germanica del
tempo: Cristo è il re, "principe di tutti i popoli",
e i suoi discepoli sono i suoi eroici e fedeli guerrieri. L'autore,
ignoto, fu probabilmente un ecclesiastico che si proponeva di
consolidare la religione cristiana presso una popolazione ancora
radicata nelle consuetudini pre- cristiane.
Lingue post-latine e post-greche
A partire almeno dal IX secolo, fino al XII, le iscrizioni runiche
documentano, nell'estremo nord europeo, la fase di sviluppo culturale
più antica. Purtroppo non è possibile valutazioni letterarie
della cultura di quei popoli. Solo con il progressivo, e susseguente
contatto con le popolazioni di civiltà latina, nei secoli
seguenti, qualcosa di quell'antica cultura è riuscita a
trapassare fino a noi.
Resta comunque un fatto centrale che l'europa attraversata dalla
crisi seguita alla dissoluzione dell'impero romano mentre da una
parte tenta in vario modo di ricompattare una unità spirituale
e/o politica (la funzione della chiesa cattolica, l'impero carolingio
ecc.) dall'altra quegli stessi tentativi producono nuove lacerazioni
(la spaccatura tra la chiesa occidentale e quella orientale, le
rivalità tra i signori locali). Il tessuto sociale e culturale
è profondamente scosso. Le stesse autorità centrali
debbono alla fine venire a patti con le nuove realtà .
Sono sintomatici da questo punto di vista due avvenimenti accaduti
nel IX secolo: il concilio di Tours e il giuramento di Strasburgo.
Essi rappresentano due tappe dello sviluppo delle lingue post-
latine all'interno dell'ufficialità delle istituzioni.
Nell'813 il concilio di Tours individua l'esistenza di due «vulgari»,
cioè di due lingue diverse da quella ufficiale (il latino)
ma largamente diffuse e parlate dalle comunità : il tedesco
e la «rustica romana lingua» cioè il linguaggio ormai parlato
diffusamente nell'europa ex-romana e diffusa tra i vari ceti.
L'importanza di questo documento deriva dalla sede ufficiale da
cui proviene. La chiesa cristiana occidentale ufficializzava la
necessità d'uso di una lingua non tradizionale per la predicazione,
cioè per la diffusione del messaggio cristiano. In altre
parole, la realtà del mutamento linguistico (e dunque anche
culturale) avvenuto, non era più ignorabile dalle istituzioni.
Alla metà del IX secolo è il secondo documento che
testimonia lo spazio ormai conquistatosi dalle lingue post-latine.
Il documento proviene dagli ambienti politici: sono i
"giuramenti" di Strasburgo dell'842: i due condottieri,
Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico sottoscrivono un patto
di alleanza scritto davanti ai rispettivi eserciti che debbono
approvarlo per acclamazione: i testi del giuramento sono pronunciati
in due lingue diverse dal latino, al fine di essere comprese da
tutti giacché il latino non è più comprensibile.
Scheda: origini delle lingue post-latine:
primi documenti in volgare italiano
Ma non è solo l'occidente a essere interessato dal fenomeno
delle lingue post-latine. Anche in oriente si verifica lo stesso
fenomeno, con le lingue slave la cui area di penetrazione soppianta
quella greco-bizantina. Al IX secolo risale la "missione"
di Cirillo (Kürillos pseudonimo di Kostantinos, 827\869)
e Metodio (Methodios, c.815\885): la loro opera presso
le popolazioni slave (soprattutto nella Moravia) fu operazione
religiosa che ebbe una grossa ripercussione culturale.
I due erano nobili greci, figli del magistrato Leone, legato alla
corte di Bisanzio; alla morte del padre, protetti dal cancelliere
imperiale Teoctisto, Metodio divenne amministratore di una delle
province della Macedonia mentre Costantino, educato insieme al
minorenne imperatore Michele III, divenne sacerdote e bibliotecario
patriarcale. Nell'855 Barda, zio di Michele, ucciso Teoctisto,
fece rinchiudere in convento l'imperatrice madre Teodora; i due
fratelli si ritirarono in un monastero a Olimpo di Bitinia. Nell'860
furono inviati dall'imperatore presso i pagani Cazari, dislocati
tra il Caucaso e il Don, per convertirli; essi riuscirono nell'operazione
politica-religiosa di avvicinarli a Bisanzio. Nell'863 furono
inviati a predicare in Moravia. Qui Cirillo (il nome preso da
Costantino monaco) iniziò la traduzione della Sacra Scrittura,
continuata poi da Metodio.
Accusati d'eresia, passarono a Roma latori delle reliquie di san
Clemente; Adriano II, allora papa, nell'867 approvò l'uso,
da essi sostenuto, del paleoslavo nella liturgia. Cirillo morì
a Roma. Metodio, nominato vescovo di Sirmio, continuò l'opera
in Moravia organizzandovi una gerarchia ecclesiastica semi-autonoma,
che finì con l'affermarsi nonostante l'opposizione del
clero tedesco.
La loro opera incise sulla cultura dei popoli slavi, che da allora
entrarono nell'orbita religiosa cristiana; l'uso del paleoslavo
(basato su parlate bulgaro- macedoni) nella liturgia facilitò
la penetrazione ecclesiastica, e diede alle popolazioni slave
la possibilità di un modello linguistico e culturale più
vicino a essi, rispetto al latino o al greco. Ai due operatori
religiosi greci si deve poi l'introduzione dell'alfabeto cirillico
presso gli slavi, base dell'alfabetizzazione nei secoli seguenti
di quelle popolazioni.
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