Urss
1945-1989
Urss 1945-1989
Lo stalinismo
In URSS (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche), dopo
la vittoria del 1945 e con l'inizio della guerra fredda, si ha
un nuovo irrigidimento culturale. Negli anni 1946-1952 l'accusa
di "cosmopolitismo" colpisce gli artisti che si interessano di
più dei problemi della forma, della morale, della psicologia
e dell'estetica; l'unico territorio ammesso è quello dell'attualità
socialista.
Il post-stalinismo
Nel maggio 1954, un anno dopo la morte di Stalin, è pubblicata
su una rivista la prima parte de Il disgelo di Il'ja
Erenburg: il titolo del romanzo diventa l'emblema del graduale
processo di liberalizzazione che caratterizzerà il periodo
successivo. Nel 1955 vengono riabilitati gran parte degli scrittori
coinvolti nelle purghe staliniane. Dopo il XX congresso del PCUS
appaiono numerose opere centrate sulla critica al burocraticismo
e agli "errori" atroci del passato recente. Tra i prosatori si
segnalano S.P. Zalygin, Vasilij
P. Aksjonov, E.G. Kazakevic, Jurij
P. Kazakov, Bulat S. Okudzava, Cingiz
Ajtmatov, Anatolij Rybakov, e soprattutto
Jurij V. Trifonov che in una serie
di racconti e romanzi ha messo a fuoco i problemi delle generazioni
post-staliniste.
Tra i poeti sono Evgenij Evtusenko,
Andrej Voznesenskij, Bella
Achmadulina.
Le maglie si restringono
Nel 1962 la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic
di Aleksandr Solzenicyn rompe clamorosamente
il silenzio sulla realtà dei lager staliniani. La mancata
pubblicazione in URSS dei romanzi successivi di Solzenicyn, il
processo ai narratori Andrej Sinjavskij
e Julij Daniel e al poeta leningradese
Josif Brodskij, l'esilio o la circolazione
clandestina, attraverso il sistema del samizdat, di molti altri
scrittori, indicano il ritorno della repressione del regime, sotto
Leonida Brezniev. L'autore che forse maggiormente riesce a esprimere
il malessere di quest'epoca è il cantautore Vladimir
Vysotskij. Una repressione della parte spesso migliore dell'intellettualità
russa e sovietica, che si inquadra nel clima di repressione sociale
da parte del regime, nei confronti di tutta la popolazione. Una
repressione che negli anni brezneviani è poliziesca, e
porta i dissidenti nei manicomi o all'espatrio, ma non tocca più
i vertici di violenza disumana e genocida dell'epoca staliniana.
La repressione porta al formarsi di due culture: da una parte
quella ufficiale degli intellettuali di regime; dall'altra quella
dei dissidenti. I secondi (ma non sempre) ricevono udienza e amplificazione
interessata presso i mercati occidentali. Avviene così
che in occidente si leggono i dissidenti come i migliori autori
della produzione sovietica, ma non si leggono gli intellettuali
di regime considerati poco interessanti e ripetitivi. Questi ultimi,
osannati dal regime all'interno, sono pressocché ignorati
all'estero. Tra i dissidenti perseguitati in URSS e poco o per
niente conosciuti dagli occidentali, è il caso di Varlam
Shalamov, oggetto di una delle solite riabilitazioni postume
(quando cioè si è già morti e sepolti), che
tanto comodo fanno sia all'est che all'ovest in quest'epoca.
Al gruppo degli espatriati appartiene un eterogeneo panorama di
scrittori, che tra Europa e Stati Uniti trovano una nuova patria.
Alcuni anche una nuova lingua e un volontario abbandono (è
il caso di Nabokov), altri tornano
alla propria esperienza russa come scrigno della propria scrittura.
Così il divertente Sergej Dovlatov.
© Antenati - 1994-1997
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