Storia della letteratura europea - Torna in homepageVladimir Vysotskij


Vladimir Vysotskij

Nato nel 1932. Ebbe una vita intensa, sul filo dell'autodistruzione. Pupillo del regista Jurij Ljubimov, primo attore del Teatro Taganka. Nel 1968 sposò l'attrice Marina Vlady. E' morto nel 1980, distrutto dalla droga e dall'alcool.
Istrionico, dotato di grande presenza scenica, rabbioso, antidemagogico, sofferto e disincantato, capace di grande delicatezza e tormentata psicologia, Vysotskij "Volodja" è stato il più grande dei poety-pesenniki, gli chansonniers russi. Amatissimo in Russia nell'era asfittica e ingessata del regime sovietico di Breznev, ha dato voce ai sentimenti e alle idee di un'intera nazione, dai detenuti nei gulag ai poliziotti, ai teppisti, senza distinzioni di classe o di funzione all'interno del regime. Grazie al blat, lo slang metropolitano, conquistò i russi sradicati, approdati a Mosca dopo la morte di Stalin, cresciuti con gli antichi valori della tradizione contadina, spezzata da una politica di industrializzazione forzata. Il regime è quello del ristagno, una oligarchia che dopo il bagliore di permissivismo avutosi con Chruscev si era chiusa a riccio in difesa dello status quo, con la mania di sostenere che tutto va bene anche quando si sta male, come si diceva allora.
Erede, come tutti i cantautori russi, di Aleksander Vertinskij, il cantautore della "nostalgija" degli anni '20, allievo di Bulat Okudzava il cantautore particolarista nel dipingere la Mosca dei piccoli quartieri e poi accusato di pacifismo, Volodja fu osteggiato dal regime che considerava la chitarra uno strumento borghese e decadente (disfattista).
Riuscì a far circolare le proprie canzoni grazie al samdzat, le edizioni clandestine autoprodotte e autoriprodotte dalla gente. Partecipò a 26 films, lavorò assiduamente per il teatro, scrisse drammi, sceneggiature, e oltre 300 canzoni: solo quelle più edulcorate furono edite in pochi 45 giri.
Nella vita come nell'arte ricercò situazioni estreme. Nelle sue canzoni, un po' brasseniane, diede voce a un'ansia di libertà collettiva. Instancabile nei concerti, costantemente boicottati dal regime, riuscì a cantare anche in europa e in america. Non divenne mai un dissidente. Scrisse in una delle sue più famose canzoni: «tutto è diventato un nuovo mondo, ma ovunque tu stia vagabondando non puoi essere che in Bol'soj Karetnyj».


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