di Barbara Dinaro
Introduzione
La scuola genovese
De André
Anarchia e puttane
Guccini
Dalla parola al vino
De Gregori
Il principe dei cantautori
Bibliografia minima
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Un punto dal quale sembra opportuno partire per comprendere
la poetica del cantastorie Guccini, è il titolo del suo
primo romanzo, Croniche epafaniche interpretabile sia come
cronache di Pavana (secondo una particolare etimologia suggerita
dall'autore), sia come epifaniche cioè rivelatrici di verità
ulteriori. Questo titolo, nella sua seconda accezione mostra
una importante caratteristica che ha connotato la carriera
cantautoriale dell'artista. Si evidenzia l'impegno di Guccini
a raccontare storie, che dietro un leggero velo metaforico,
sono cronache di vita quotidiana. Cronache gucciniane, il
cui senso è quello di far apparire dietro la quotidianità
la presenza della verità, relativa e precaria ma capace
di modificare il senso delle cose e del nostro stare al
mondo. Questa verità può essere però raggiunta solo con
delle intuizioni e può essere difficilmente afferrata. Spesso
si ha l'intuizione attraverso la riscoperta di un percorso
naturale, altre volte mediante l'incontro con persone diverse
rispetto alla consueta vita quotidiana. Importanti in tal
senso, il Frate e Amerigo, protagonisti di due canzoni a
loro intitolate. L'uno singolare personaggio di Pavana,
l'altro un prozio di Guccini emigrante in America. Dice
Guccini di fare canzoni "sul vivere" e che "c'è sempre stata
pudica, sottile, nelle mie canzoni una domanda sull'infinito,sul
senso ultimo delle cose […]". Un ruolo particolare lo svolgono
le donne, angeli e specchi della ricerca esistenziale. Il
confronto esistenziale è forte in Eskimo,
racconto autobiografico della sconfitta di una generazione,
cresciuta nella speranza del '68 e che ha creduto alla nascita
di una società più a misura d'uomo. Il modesto indumento
sessantottesco ("portavo allora un eskimo innocente / dettato
solo dalla povertà") diventa il simbolo di una coerenza
personale e non condivisa: "ed io ho sempre un eskimo addosso
/ uguale a quello che ricorderai / … / ed io ti canterò
questa canzone / … / ignorala come hai ignorato le altre
/ e poi saran la ultime oramai". Al fondo di molte canzoni
gucciniane vi è l'affermazione della complessità delle scelte
esistenziali, politiche e di parte ma anche ciò che Gramsci
ha definito la "medesimezza umana" ovvero una comune ed
insopprimibile identità esistenziale, che l'artista in Canzone
quasi d'amore ha sintetizzato con queste parole: "siam tutti
uguali / e moriamo ogni giorno dei medesimi mali / perché
siam tutti soli / ed è nostro destino / … / siam tutti uguali
/ siam cattivi e buoni / e abbiam gli stessi mali / siam
vigliacchi e fieri / …". Questa convivenza è possibile poiché
nella realtà esistono davvero "perbenismo e verità fatte
di formule vuote", "far carriera e odi di partito" esiste,
insomma, chi veramente uccide Dio annientando in sé e negli
altri l'essere uomini. Realtà espressa nella celebre Dio
è morto, canzone che parlando apertamente di corruzione
e meschinità, scatenò la collera dei benpensanti. Il testo
passa in rassegna i mali che affliggono l'individuo e la
società: "mi han detto / che questa mia generazione ormai
non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede
/ nei miti eterni della patria e dell'eroe / perché è venuto
ormai il momento / di negare tutto ciò che è falsità / …/"
per poi compendiarli nella formula "Dio è morto" ripetuta
nel ritornello: "è un Dio che è morto / nei campi di sterminio
Dio è morto / coi miti della razza Dio è morto". La strofa
conclusiva: "in ciò che noi crediamo Dio è risorto / in
ciò che noi vogliamo Dio è risorto / nel mondo che faremo
Dio è risorto / Dio è risorto", sembra un po' troppo legata
alle speranze coltivate dai giovani degli anni '70, purtroppo
in gran parte disilluse dall'evolversi delle vicende storiche,
italiane e mondiali. Questo discorso sulla relatività della
verità e sulla conseguente responsabilità delle proprie
scelte, potrebbe accostare Guccini a quella letteratura
che Bachtin ha chiamato "carnevalesca", cioè capace di mostrare
una visione del mondo libera da ogni dogma, da ogni morale
precostituita, da ogni imposizione gerarchica e di ricreare
un'atmosfera di spregiudicatezza e libertà che caratterizza
il carnevale e le feste popolari. In Guccini si trova una
visione complessa del mondo, sempre ironica e spesso comica,
al cui centro sta l'esaltazione della libertà, dell'intelligenza,
della risata carnevalesca. Fondamentale in questa visione
è la gioiosa esaltazione della materialità della vita. Carnevaleschi
sono anche tanti suoi personaggi, il loro non appartenere
alla "normale" vita quotidiana, o il loro essere colti (nel
ritratto poetico di Guccini) in un momento di crisi, di
passaggio e di cambiamento esistenziale. Carnevalesco è
lo stesso "personaggio Guccini" con il suo amore per la
vita, il vino, la gioia del sesso. Ma oltre a questi vi
sono altri tratti: il presentarsi come un "vecchio giullare",
come "pecora nera" il tipo di linguaggio usato, pieno di
oscenità, la presenza costante del vino simbolo di una saggezza
socratica ("al rosso saggio chiedi i tuoi perché"); non
stupisce perciò che anche gli amici dell'artista siano presentati
con un'immagine carnevalesca: "i miei amici veri…non sono
razza padrona / non sono gente arcigna / siam volgari come
la gramigna… / non son certo parecchi / son come i denti
in bocca a certi vecchi / ma proprio perché pochi / son
buoni fino in fondo / e sempre pronti a masticare il mondo".
In questa concezione del mondo, anche la morte, non è qualcosa
di drammatico e definitivo, ma è parte della vita, "una
non voluta, ma necessaria, staffetta". Quindi la vita è
concepita come un gioco; e saper giocare a tempo e luogo,
è un modo molto serio di affrontare questa e la morte. Il
concerto è per Guccini il luogo tipico della festa e del
libero contatto familiare. Testimonianza di tutto ciò è
il suo album intitolato Opera buffa, nel quale si raccolgono
canzoni e scherzi tipici del nostro autore, con lo scopo
come egli afferma: "…di mostrare l'aspetto conviviale, a
briglie sciolte delle mie serate in pubblico". Questo atteggiamento
capace di mischiare "carnevalescamente" morte e vita, riflessione
e gioco, spregiudicatezza intellettuale e responsabilità
individuale e politica, spiega perché il seguito più forte
di Guccini sia stato tra i giovani che erano insofferenti
alle gabbie partito / chiesa, ma nello stesso tempo che
si riconoscevano nelle tradizioni più alte del cattolicesimo
e del comunismo. Guccini infatti è stato vissuto come un
guru "cattolico - comunista", anche se egli a coloro che
accusavano l'artista di un eccessivo appiattimento su posizioni
filocomuniste, Guccini, si è sempre proclamato anarchico.
Infatti, contrariamente a quanto affermava Lauzi, "sinistra"
non è tout court "comunismo". Ha invece un fondamento di
realtà l'accusa mossa dall'artista genovese alle case discografiche
secondo cui il "cantautorato" era diventato una sorta di
garanzia di vendita. Negli anni '70, infatti, le case discografiche
ricercano un prodotto in grado di adeguarsi alle nuove realtà
giovanili e di risolvere la forte crisi che si era aperta
nel settore. Così nel 1978, nella classifica annuale degli
LP più venduti, sono i cantautori a primeggiare. Dietro
l'affermazione dei "cantautori dell'impegno politico e sociale",
oltre alla realtà commerciale, vi sono complessi motivi
d'ordine politico e culturale legati alla forte politicizzazione
giovanile avvenuta in seguito alle lotte operaie e studentesche
della fine degli anni '60. questo spiega la forte attenzione
per i cantautori, da parte della direzione delle Feste dell'Unità
(le feste del Partito Comunista). Conferma tutto questo
lo stesso Guccini dicendo che: "per quanto mi riguarda gli
anni chiave furono tra il '75 e il '77. Cominciai inaspettatamente
ad avere 1000, 2000 persone a serata fino ad arrivare stabilmente
alla misura del Palasport, seguita non raramente da quella
dello stadio o del campo sportivo". Il quadro storico -
sociologico in cui si afferma Guccini è quello dei primi
anni '70 nei quali il PCI e il movimento operaio e sindacale
conoscono una forte affermazione politica. Ogni sua canzone
è capace di sopravvivere al passare delle stagioni e delle
mode e alle facili strumentalizzazioni politiche. Il valore
artistico e il suo carisma etico - politico, hanno permesso
a Guccini di proseguire senza cambiamenti significativi
non solo nella sua "poetica" ma anche nella sua formula
del suo concerto cantautorale. Da vent'anni i suoi concerti
si aprono all'insegna di un carnevalesco fiasco di vino,
proseguendo alternando canzoni a battutacce fulminanti,
per chiudersi immancabilmente con La locomotiva. Oggi, questa
è accompagnata da una nuova canzone uscita con il suo ultimo
album, Stagioni, che prende il titolo dall'opera omonima.
"E' un curioso esempio di brano scritto nell'arco di oltre
30 anni" - dice Guccini - "Il giorno in cui morì Che Guevara,
nel 1967, mi vennero di getto alcuni versi che poi misi
in un cassetto". L'anno scorso, poi l'artista, un po' per
gioco, durante un concerto a Monza, notò dei ragazzi con
le magliette del Che, così fece sentire la strofa che aveva
scritto su di lui: "in un giorno d'ottobre / in terra boliviana
/ con cento colpi è morto / Ernesto Che Guevara". Era uno
scherzo, ma il boato della gente entusiasmò i discografici
che spinsero Guccini a rimetterci mano. La canzone non parla
solo del Che, ma anche della perdita dei valori di una generazione
oggi alla ricerca, come afferma Nanni Moretti, di qualcuno
che dica una cosa di sinistra e lo stesso Guccini afferma:
"diranno che è una nuova locomotiva, e non mi dispiacerà".
Il mito del "compagno Guccini", nasce anche dalla formazione
dell'artista che ha abbandonato certi schemi e cliché per
avvicinarsi alle nuove realtà giovanili degli anni '70.
le prime canzoni di Guccini risentono dell'influsso della
canzone francese portata in Italia dalla "scuola di Genova"
e da Cantacronache. A questa esperienza si aggiunge quella
della beat - generation e l'influsso etico - artistico di
Dylan. Grazie a questo formazione, infatti, Guccini è riuscito
a superare l'impasse in cui era caduta la "scuola di Genova",
che già dalla fine degli anni '60 aveva consumato la sua
carica innovatrice e fu incapace di inserirsi nel nuovo
contesto degli anni '70. Guccini fece del "concerto di massa"
lo strumento principe della propria affermazione artistica
e commerciale. È da notare la sua piena disponibilità a
suonare nelle situazioni più diverse e a prezzi spesso simbolici,
o come si diceva allora "politici". Ma Guccini è anche colui
che è entrato nella storia della musica italiana per il
suo modo di raccontare - cantando. La sua sapienza nell'uso
del verso, della rima, della parola ha conquistato critici
e poeti quali Francesco Fortini, Roberto Roversi e Umberto
Eco, che afferma: "Guccini è forse il più colto dei cantautori
in circolazione, la sua è una poesia dotta. […] Guccini
è omerico, procede per agglomerazioni, ha una gran sfacciataggine
nell'osare una metafora dopo l'altra". Guccini stesso conferma
l'importanza che rivestono rima, metrica e metafore, sia
sul piano della costruzione letteraria, sia su quello della
fluibilità musicale quando, interrogato sul suo modo di
far canzoni, risponde: "in realtà non si può parlare di
una vera e propria tecnica. […] c'è un nucleo, una idea
generale attorno alla quale comincio ad aggiungere altre
idee, frasi, pensieri. […] la metrica, la rima sono per
me elementi molto importanti. È un modo per amplificare
la parola, per precisarne il significato. […]". La sua musica
è semplice, ripetibile e svolge la funzione di accompagnamento,
e in proposito il cantautore afferma: "a me, in effetti,
interessa molto più quello che dico e con che parole lo
dico, di quanto mi interessi il supporto musicale; quindi
molto spesso mi accontento che il pezzo non sia banalissimo,
e che possa andare bene e sia piacevole musicalmente; un
po' come facevano i cantastorie. […] e quindi sono convinto
che con le canzoni non si possa fare della musica […] e
non si può nemmeno fare della poesia, le canzoni hanno cioè,
una loro specificità artistica e una loro precisa dignità.
Sono quindi un mezzo espressivo autonomo".
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