Storia della letteratura europea - Torna in homepageDe André: anarchia e puttane


di Giada Pizzolo

Introduzione
La scuola genovese
De André
Anarchia e puttane
Guccini
Dalla parola al vino
De Gregori
Il principe dei cantautori
Bibliografia minima

Esponente insieme a Paoli, Bindi, Endrigo della cosiddetta "Scuola Genovese", De Andrè si propone di rinnovare il repertorio canzonettistico di quegli anni, alla maniera dei chansonniers d'oltralpe (Brassens in particolare) attraverso parole, musiche e temi nuovi. Ciò da cui scaturisce la straordinaria fantasia poetica di De Andrè è un indignazione morale, una solidarietà anche piuttosto personale, con gli ultimi, con le minoranze. E questo vale tanto per interi popoli perseguitati -dai Rom ai pellerossa d'America,dai palestinesi ai sardi- quanto per le singole persone ferite ed emarginate. Non stupisce, quindi, trovare nelle sue canzoni una schiera di morti impiccati, pensionati, ladri crocifissi o da crocifiggere, vecchi alcolizzati, gesucristi e sangiuseppi, soldati morti ammazzati; ma anche , mariemaddalene, marinelle e santissime marie:un umanità dolente che De Andrè affida alla misericordia degli uomini e di Dio, Il nostro cantautore ha narrato piccole grandi vicende della nostra storia recente, la morte di Tenco e Pasolini, il dramma delle minoranze zingare e palestinesi, la stagione ricca e tragica del maggio francese e delle bombe italiane, la squallida epopea dei vari tangentisti e mafiosi degli anni '80 e '90.Egli si è anche interessato alle piccole storie quotidiane presentando un universo pieno di prostitute, vagabondi, omicidi, che vengono colti sempre nel loro aspetto più umano e grazie a ciò resi archetipi positivi della ribellione antiborghese.De Andrè è lontano dal tipo di canzone intesa come gioco, cosi' come da quella con funzione catartica e da quella con funzione di idealizzazione, l'artista sceglie per la sua produzione la funzione di rafforzamento che spinge all'intensificazione dei problemi della vita quotidiana.Egli si concepisce quindi come un narratore di storie mosso da un presupposto etico e di solidarietà umana, la sua forte sensibilità lo porta a sentire l'altro e il diverso non come minaccia ma come ricchezza, come parte imprescindibile di se stesso; proprio questo riconoscersi nell'altro dà origine ad una forte capacità fantastica e fabulatoria.Sulla base di ciò possiamo affermare che la poetica di Fabrizio De Andrè è chiaramente etico-ideologica, di conseguenza di impianto fortemente "realistico"; tale caratteristica permane sia che egli adotti la tecnica del racconto favolistica, sia quella di un reportage di cronaca entrambe da lui spesso utilizzate. Alla volontà di identificarsi con gli ultimi si può far risalire la scelta di De Andrè di usare nei suoi ultimi dischi i dialetti e le lingue delle minoranze, questo perché i dialetti rispetto all' italiano sono le lingue della resistenza al potere, il quale usa sempre una lingua colta.Egli infatti, canta oltre che in italiano, in dialetto sardo, genovese, napoletano, ma tutto ciò non stupisce affatto essendo a conoscenza della dimensione plurilinguistica di De Andrè:l'influenza francese, dei poeti è dei grandi chansonniers; l'italiano, quello colto e quello regionale;le canzoni di Bob Dylan e Leonard Cohen; i dialetti genovese e sardo, essendo vissuto tra Genova e la Sardegna. De Andrè è stato molto influenzato anche dalle letture giovanili.La sua coscienza , le sue idee si formano a partire dall' approccio con Gerges Brassens, è a questa figura che va ricondotto il futuro artistico e politico di Fabrizio De Andrè.Ascoltando la sua musica, studiandone i testi, Fabrizio, comincerà a sentire sempre più vicina la "commedia umana" delle canzoni di Brassens, compreso il suo anarchismo. Le canzoni di Brassens entrarono a far parte del suo repertorio, prendendo il sopravvento su jazz e il country; De Andrè rivedeva il mondo cantato da Brassens nei corruggi di Genova, in quei personaggi che ritroveremo in seguito nelle sue canzoni. L'influenza dell'autore francese si sentiva anche dal punto di vista musicale infatti le tre culture che si intrecciavano:la mitteleuropea con il valzer, la francese con la giava e la napoletana con la tarantella confluiranno anche nello stile di Fabrizio naturalmente filtrate da una interpretazione personale e inconfondibile quale quella del cantautore genovese.Definiti i confini ideologici dell'universo poetico di De Andrè mi sembra opportuno soffermarci sulle sue scelte musicali .Il "supporto " musicale scelto da Fabrizio ai suoi esordi era un misto di Brassens, folk e musica classica , questa scelta nel panorama della musica leggera di quegli anni era piuttosto insolita e soprattutto grazie all'assenza della batteria e di enfasi ritmica metteva in risalto i testi. L'eccentricità delle musiche utilizzate sottolineava la diversità del mondo poetico di De Andrè nel contesto della canzone italiana dell'epoca .L'effetto anacronistico prodotto dalle musiche e dagli arrangiamenti dei primi quarantacinque giri si rivela un elemento capace di creare una sensazione di lontananza , di sospensione del tempo in cui si muovono personaggi come Michè, come Piero o come le figure femminili di Via del Campo. Anche quando le storie di De Andrè si riferiscono alla cronaca contemporanea galleggiano in un'epoca dai contorni incerti .Naturalmente nel corso della sua carriera è andato alla ricerca di nuovi paesaggi musicali nei quali collocare i suoi testi anche senza che il suo cambiamento fosse motivato da un rinnovamento della sua scrittura. L'ambientazione sonora semplice e retrò a un certo punto comincia a lasciare il posto a violini, oboi e trombe che sottolineano la qualità superiore del prodotto.Nel corso degli anni De Andrè ricerca un tipo di musica al passo coi tempi ed portato a sinfonizzare la sua musica, ad "americanizzarla" o a "mediterraneizzarla". Riascoltando la produzione di tutti questi anni si ha l'impressione che il suo rapporto con la musica sia caratterizzato dalla volontà di liberare per quanto possibile il testo dagli schemi obbligati che l'arte dei suoni tende a imporre ;in fondo il suo ideale sembra essere quello di un testo cantato che si muova secondo l'impulso della melodia, sopra un accompagnamento più armonico che ritmico . In effetti De Andrè considera la melodia non come uno schema obbligato ma come una sorta di "traccia" alla quale il testo si adatta senza lasciarsi condizionare.Proprio questa voglia di conoscere diversi generi musicali lo porta a collaborare spesso con diversi artisti. Ai suoi esordi già da molti anni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna avvenivano collaborazioni tra artisti importanti . Spesso si trattava di progetti in comune, con relative grandi turnèe, e molte volte artisti famosi rivestivano il semplice ruolo di strumentisti nei dischi di qualcun altro proprio per il gusto di fare musica e confrontarsi. L'Italia era piuttosto penalizzata dal provincialismo dei nostri musicisti.De Andrè, invece, aveva sempre cercato un alter ego che gli permettesse un confronto continuo, egli ha sempre preferito artisti che hanno sposato come lui stesso la musica tradizionale-popolare, una canzone di "vibrante protesta". Negli anni nomi più o meno conosciuti si erano alternati in questo ruolo; possiamo ascoltare la voce di De Andrè assieme a quella di Ivano Fossati, Francesco De Gregori, col quale realizza nel 1975 l'album "Volume 8", Mauro Pagani, co-autore di "Creuza de ma".Il suo fiuto lo portò spesso a scegliere giovani artisti sconosciuti, dimostrando di saper intuire le potenzialità che si celavano in alcuni di loro, è il caso dei New Trolls che De Andrè ebbe modo di ascoltare dal vivo aGenova rimanendo colpito dalle loro sonorità e dalla loro energia ;dalla loro collaborazione nasce il concept album "Senza orario senza bandiera" . Altra importante collaborazione è quella tra De Andrè e la PFM (Premiata Forneria Marconi).Quest'incontro destò un grande interesse tra pubblico e appassionati, tant'è che venne deciso di registrare un album dal vivo.Si trattava della prima collaborazione tra grandi della musica italiana che ben presto sarebbe diventata di moda.De Andrè e la PFM colpirono nel segno; fu un unione perfetta sia dal punto di vista artistico sia da quello commerciale. Avendo prima parlato in generale dei temi scelti da De Andrè mi sembra opportuno analizzare più dà vicino qualcuno fra i suoi testi più significativi. Tra i tanti testi ascoltati mi ha colpito "La guerra di Piero", incisa a Roma nel 1964 agli studi Dirmaphon, diventata proprio in quegli anni manifesto dell'antimilitarismo. Il testo ritorna sul tema della guerra;punto di riferimento stilistico è Georges Brassens, ma l'ispirazione viene dalla figura dello zio Francesco, di ritorno dal campo di concentramento.La guerra di Piero sarebbe entrata col '68 nel repertorio militante degli studenti di sinistra e in quello dei cattolici, impegnati a ridefinire il proprio ruolo nel sociale.Protagonista di questa ballata è un soldato, Piero che in una giornata di primavera, dopo un lungo cammino iniziato nel cuore dell'inverno, varca il confine che divide due nazioni in conflitto.Mentre riflette sull'inutile ferocia della guerra, vede in fondo alla valle un soldato nemico che certamente prova le sue stesse paure ed è tormentato dai dubbi.Pur consapevole che soltanto uccidendolo potrà salvarsi, Piero sembra indeciso sul da farsi, quell'incertezza frutto di un atto di umana solidarietà gli sarà fatale perché l'avversario accortosi del pericolo non esiterà a sparargli.La struttura di questa ballata è molto complessa: alla voce anonime del cantastorie, che si rivolge a Piero con la seconda persona, si alterna quella di Piero che parla in prima persona ("dritto all'inferno / avrei preferito andarci d'inverno") anche quando parla con Ninetta, la sua ragazza alla quale va all'ultimo pensiero ("Ninetta mia crepare di maggio / ci vuole tanto troppo coraggio").Il riferimento ai papaveri dell'ultimo verso della ballata non è casuale.Le cronache della prima guerra mondiale rivelano che il papavero è il simbolo positivo della natura violata dalla guerra, attraverso il quale i caduti divengono parte del ciclo naturale di morte e rinascita. Analizzando un altro testo di De Andrè "La domenica delle salme" scritta in collaborazione con Mauro Pagani ci si rende conto di come anche il mondo della musica possa esprimere forti motivazioni di tipo morale e politico.In questo testo contenuto nell'album "Le nuvole" del 1990 che la critica considera un capolavoro della moderna canzone d'autore, De Andrè polemizza contro lo sfascio dell'Italia contemporanea. Leggendo il testo si capisce che esso possiede una sua valenza specifica, che è possibile cogliere anche indipendentemente dall'accompagnamento strumentale."La domenica delle salme" esprime in termini iperrealistici e grotteschi la vittoria capitalistica, il crollo del Muro di Berlin. L'autore immagina che dopo la caduta dei regimi comunisti nell'est europeo alla fine degli anni '80, molti polacchi siano venuti all'ovest attratti dal mito del benessere, ma che si siano ridotti a vivere in maniera squallida e moralmente degradante. A loro volta i trafficanti delle società industriali, si sono gettati verso i clienti dell' est europeo; un mercato povero ma assetato di novità e quindi disposto ad accogliere merci scadenti, purché dotate di marchi occidentali. I riferimenti sono evidenti, la caduta del muro di Berlin ha esteso il dominio capitalistico a tutto il mondo, imponendo il proprio credo fatto di saponette, di un televisivo "gas esilarante" e di una "pace terrificante" , all'ombra della quale accadono i crimini di sempre. La strumentazione di questo pezzo si limita ad alcuni elementi essenziali: chitarra, violino e kazoo .L' eruzione musicale, vibrante e quasi angosciosa (ad un certo punto si avverte anche il sibilo di una sirena), si chiude con un canto di cicale, che possiamo interpretare in due modi: o come elemento di polemica dell' autore nei confronti di un 'umanità che vuole continuare a divertirsi, o come allusione al fatto che ogni forma di protesta contro i pericoli che ci sovrastano è ormai ridotta ad un inutile canto, un fastidioso cicaleccio in sottofondo, del quale nessuno più si accorge. "Adesso non c'è nessun tipo di risposta unitaria da parte di chi subisce il potere, nessuna protesta come accadeva anni addietro.Il popolo non si esprime più in maniera collettiva e la sua protesta è come un coro di cicale" (F.D.A.).

 

 


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