7. Il rapporto padronanza - fascinazione
nella caratterizzazione dello spazio letterario
La scrittura blanchotiana sfugge, si sottrae. In essa
ogni luogo è centro e periferia al contempo.
Nonostante ciò, tutta la produzione critica dell'autore
sembra attratta dai due temi della padronanza e della fascinazione.
Questo spiega anche la centralità che essi occupano
nella presente ricerca e l'attenzione che è stata
dedicata alle figure di Orfeo e Ulisse. In base alle considerazioni
svolte nei paragrafi V e VI, si può affermare che
la padronanza antepone la meta rispetto al percorso indispensabile
a conseguirla, cioè considera la ricerca una necessità
finalizzata al trovare. Ideale della padronanza è
l'assenza di percorso. L'itinerario della padronanza impone
all'immaginario gli schemi e i limiti umani, come la vicenda
di Ulisse ben evidenzia. L'eroe greco, infatti, è
costretto a farsi legare per restare libero dalla fascinazione.
Ulisse resta fedele alla legge del giorno, il cui ideale
consiste nell'impiego produttivo del tempo. La padronanza
inganna l'assenza di tempo con la pazienza; e Ulisse è
precisamente l'emblema della pazienza. Egli, tuttavia, non
vince la potenza dell'immagine, ne evita semplicemente il
contatto. Sa che rapportarsi all'immagine vuol dire aderirvi
intimamente e quindi perdere se stessi.
Ulisse ci rivela che la padronanza è la volontà
di mantenersi distaccati rispetto all'immagine; nei confronti
dell'immagine non si dà alcuna possibilità
di intervento, può variare soltanto il modo di porsi
da parte del soggetto.
La fascinazione è l'eliminazione della distanza dall'immagine.
Carattere tipico dell'affascinato è la noncuranza,
ben evidente nella vicenda di Orfeo. Padronanza come autocostrizione,
fascinazione come costrizione esterna, dunque. Orfeo si
libera dai vincoli che imbrigliano l'opera, vincoli peraltro
necessari, dato che solo ciò che delimita l'opera
la rende possibile. Il cantore si dispone ad attingere il
"dono per eccellenza" (27), ossia l'ispirazione;
egli percorre a ritroso il cammino dell'opera, dal giorno
della presenza chiara alla notte dell'assenza. Il diventare
altro dell'affascinato è proprio un ridiventare notte
gravida di indistinte presenze. Il cammino di Orfeo ha come
meta ideale il ritorno a ciò che precede e ad un
tempo garantisce l'opera. Possiamo dire che la fascinazione
si sostituisce alla coscienza: in Orfeo si manifesta una
sorta di coscienza affascinata. L'autoconsapevolezza porterebbe
immediatamente al distacco dall'immagine; di conseguenza,
adesione all'immagine significa ignoranza di questa adesione.
Se la padronanza presuppone, come detto, una pre-conoscenza,
la fascinazione implica, al contrario, una non-conoscenza.
La pre-conoscenza determina la mediazione; la non-conoscenza
comporta invece il desiderio. Orfeo, ignorando l'origine
della propria arte, non può che desiderare di raggiungerla.
Questo desiderio è già superamento del limite:
cantare equivale a seguire l'ispirazione senza desiderarla.
Ma cosa induce Orfeo ad abbandonare le certezze del giorno
e dell'opera per scendere nel profondo della notte?
Lo spinge la perdita dell'ispirazione, di cui Euridice è
metafora.
Orfeo percorre a ritroso il cammino dell'opera e, giunto
in prossimità delle sue scaturigini, viene catturato
dalla forza dell'immagine. La sovranità di Orfeo
sta esattamente nel suo movimento verso l'essenza dell'opera.
Note
27) SL, p. 151. Spiega Blanchot a p. 149 di SL: "Guardare
Euridice, senza preoccuparsi del canto, nell'impazienza
e nell'imprudenza del desiderio che dimentica la legge,
tutto questo è l'ispirazione." Blanchot configura
l'ispirazione come una sorta di uscita dal sé, un
distacco dalla propria dimensione che assume quasi i tratti
di un'esperienza mistica.
E' interessante notare che l'opera a un tempo presuppone
ed insegue l'ispirazione, ossia ne risulta paradossalmente
unita e separata. In modo simile si caratterizza in Blanchot
il rapporto esistente tra l'autore e il talento di scrivere:
l'autore, infatti, per scrivere necessita del talento, ma
non può affermare di averlo che dopo aver scritto.
Su quest'ultimo tema si veda in particolare M. BLANCHOT,
La follia del giorno. La letteratura e il diritto alla morte,
trad. it. di G. Patrizi e G. Urso, Reggio Emilia, 1982.
Contesto
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