3. I caratteri del neutro
E' importante chiarire subito la nozione di neutro per
la rilevanza che essa riveste nell'intera riflessione sullo
spazio letterario.
L'idea di neutro appare singolarmente opaca e, come afferma
W. Tommasi, "difficile da definire in se stessa"
(8). Premessa indispensabile da considerare è la
concezione blanchotiana del linguaggio come annientamento
degli oggetti e parola che ne pronuncia la sparizione. Blanchot
si inserisce, dunque, in quel solco della tradizione occidentale
che, a partire da Platone, vede nella comunicazione in genere
una sorta di infedeltà all'essere. Si tenga presente,
inoltre, l'adesione alla riflessione hegeliana sul linguaggio,
frequentemente ribadita dall'autore francese. (9). In tal
senso, la morte si pone come l'evento preliminare del linguaggio.
Tuttavia, se dalla morte il linguaggio ha origine, nella
morte esso si mantiene e si ricrea incessantemente: la morte
si rivela così come impossibilità di morire
davvero.
E' fondamentale, da questo punto di vista, il riferimento
di Blanchot alla nozione lévinassiana dell' "
il y a". L'il y a indica in Lévinas l'impossibilità
del nulla totale, residuo ineliminabile di presenza che
rimane quando tutto è sparito. Nell'abisso del niente
mormora ancora qualcosa nella forma anonima e neutra, sorta
di esistenza senza esistente. Nel concetto blanchotiano
di neutro prevale invece l'impossibilità di riduzione
del neutro stesso tanto al positivo quanto al negativo.
Va altresì osservato che lo sviluppo del pensiero
di Blanchot indica la scoperta progressiva che questo fra
- due non è tanto un terzo termine, quanto piuttosto
un tutt'altro termine (10). Termine radicalmente altro sia
rispetto al positivo sia rispetto al negativo, eppure a
un tempo legato a entrambi, allusione ad una dimensione
di negatività non esaurita dal negativo. A giudizio
di Blanchot, la scrittura si muove incessantemente in questo
spazio ambiguo che riafferma l'essere nel momento in cui
vorrebbe negarlo. Nel dominio del neutro si attua il passaggio
dalla prima alla terza persona. Questo passaggio non significa
la sostituzione dell'io scrivente con un altro soggetto,
ma la completa sparizione del soggetto a vantaggio di una
voce anonima e impersonale. Oltre che alla categoria del
positivo e del negativo, il neutro si sottrae dunque anche
a quella dell'oggetto come a quella del soggetto. E' significativo
come Blanchot caratterizzi il neutro in base ai connotati
di cui esso è privo; la scrittura di Blanchot, sforzandosi
di definire il neutro, diviene essa stessa, per così
dire, neutra, viene assorbita dall'impossibilità
di dire. L'autore si trova spesso costretto a ricorrere
alla similitudine: il neutro viene paragonato al "quotidiano
senza imprese, (a) ciò che accade quando non accade
nulla, (alla) vita sommaria e monotona" (11).
Il quotidiano ha la peculiarità di sfuggire ad ogni
determinazione; esso si sottrae ad un contatto diretto e
a qualunque ripresa dialettica. Nel quotidiano nulla si
realizza completamente e nulla realmente accade. Esso designa
un livello di parola che sfugge alla determinazione del
vero e del falso, in quanto è sempre al di qua di
ciò che lo afferma e si ricostituisce senza posa
al di là di ciò che lo nega. Per questo, a
giudizio di Blanchot, il quotidiano è la cosa più
difficile da scoprire: l'uomo ne è al contempo sommerso
e privo. La scrittura condivide con la quotidianità
proprio la tendenza all'anonimato e al dissolvimento.
Un'altra caratteristica significativa del neutro consiste
in ciò che Blanchot denomina "l'assenza di tempo"
(12). Anche in questo caso si tratta di una caratterizzazione
in negativo, ossia riferita ad un connotato mancante nel
neutro. Sfuggendo ad ogni movimento dialettico di cui il
tempo è la componente fondamentale, il neutro deve
essere necessariamente estraneo al tempo umano. Blanchot
dichiara che nella parola letteraria è in gioco una
dimensione temporale differente da quella ordinaria. Nella
scrittura si attinge il punto in cui il tempo è perduto,
in cui si entra nella fascinazione e nella solitudine dell'assenza
di tempo (13).
L'assenza di tempo è un tempo senza presente, senza
negazione, senza decisione. In esso non sussistono principio
o compimento, ma tutto vi ricomincia all'infinito, poiché
ogni inizio è in realtà un ricominciamento.
L'assenza di tempo non coincide con l'immobilità
dell'eterno, ma indica una mobilità per così
dire statica, nel senso che non conduce ad uno svolgimento
effettivo. Né fisso né mobile, condannato
ad un perpetuo errare, il tempo dell'opera è intrappolato
nel dominio del neutro. Esperienza tipica di questo tempo
neutro è, per Blanchot, la veglia notturna, durante
la quale nessuno veglia, ma è la notte stessa a vegliare,
sempre e incessantemente (14).
Si impone, a questo punto, una considerazione generale sul
percorso fin qui compiuto nella definizione e caratterizzazione
dello spazio letterario. Quanto più Blanchot si avvicina
ad esso sforzandosi di penetrarlo, tanto più sembra
che esso si allontani, si sottragga alla chiarificazione.
E a testimonianza di ciò, basti una semplice osservazione:
non appena Blanchot perviene ai punti più importanti
della sua riflessione, il suo dire si arresta, si frantuma,
pare avvolgersi su di sé. Ecco che l'autore allora
si rifugia nella metafora, nella similitudine, nel linguaggio
disteso e colloquiale. Si vedano, come esempio, i misteriosi
dialoghi che costellano L'infinito intrattenimento e fungono
spesso da cerniera tra un capitolo di analisi teorica e
l'altro. Questo tipo di procedimento non può non
ricordare i molti dialoghi platonici nei quali il mito viene
evocato a soccorso laddove il discorso filosofico - razionale
si estenua, impotente, nell'afasia. Non è dato intendere
se si tratti di riferimento volontario o di semplice suggestione
platonica; Blanchot è abile, d'altra parte, a sviare
il lettore che voglia individuarne con precisione maestri
o modelli. Basti qui sottolineare l'analogia con Platone
nella constatazione dei limiti inevitabili di un procedimento
puramente dialettico e razionale. Va poi notato che come
in Platone, anche in Blanchot il silenzio del logos non
significa scacco del logos, ma è piuttosto un altro
modo di dirsi del logos stesso. E se è vero che per
l'autore francese l'essenza della scrittura consiste proprio
nel vuoto, nel silenzio (come si vedrà più
avanti), allora col suo silenzio Blanchot consegna il lettore
precisamente all'essenza dello spazio letterario.
Note
[8] Cfr. W. TOMMASI, Maurice Blanchot: la parola errante,
Verona, 1984, p. 105. Il tema del neutro viene indagato
in modo particolare in II, nella terza ed ultima parte (pp.
380 - 576).
[9] Basti leggere II, p. 47: "…il linguaggio
è di natura divina non perché nominando renda
eterno, ma perché, come scrive Hegel, rovescia immediatamente
ciò che nomina per trasformarlo in qualcosa d'altro."
[10] Cfr. II, p. 406: "Il neutro non si pone né
come positivo né come negativo, ma si afferma quasi
al di fuori di ogni affermazione e negazione."
[11] II, p. 506.
[12] Sul tema dell'assenza di tempo, si consideri soprattutto
M. BLANCHOT, Il fascino dell'assenza di tempo, in SL, pp.
15 - 17.
[13] Cfr. SL, p. 44. Si vedano anche, a questo riguardo,
le utili precisazioni contenute alle pp. 106 - 107 di SL.
[14] Cfr. SD, p. 65: "La veglia non ha né
inizio né fine. Vegliare è al neutro. Io non
veglio: si veglia, la notte veglia, scavando la notte sino
all'altra notte dove non è più questione di
dormire."
Contesto
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