Area
italiana: gli anni Trenta
Area italiana: gli anni Trenta
Il contesto generale
La crisi seguente alla guerra viene risolta in Italia tramite
un arroccamento conservatore. Il regno parlamentare italico modellato
su quello inglese diventa una dittatura con monarchia annessa:
riesce in Italia ciò che non era riuscito in Russia, la
permanenza della classe borghese al potere, attraverso una 'soluzione'
sul piano istituzionale e politico abbastanza inedita. La restaurazione
conservatrice si attua nelle vesti "rivoluzionarie" della destra
guidata da Mussolini che spodesta la vecchia classe liberale incapace
di affrontare i mutamenti strutturali e sociali in atto. La "rivoluzione"
fascista permette la ristrutturazione politica necessaria per
evitare il rafforzamento dei movimenti socialisti e comunisti;
il consenso della classe media e piccolo borghese permette al
nuovo regime di attraversare la crisi economica attraverso piani
di intervento statale sull'economia.
In campo culturale in Italia operano il liberalista Benedetto
Croce, l'idealista fascista Giovanni Gentile e una serie di
intellettuali legati al movimento socialista o al cattolicesimo:
sono le quattro componenti culturali e ideologiche del tempo in
Italia. Dominano influenze dannunziane e futuriste, divenuto patrimonio
delle classi piccole e medio borghesi, e ormai con esito reazionario.
Il regime in campo culturale opera un controllo delle attività,
sia attraverso la censura che attraverso il sovvenzionamento.
Ciò sul piano culturale si traduce nel rafforzamento dei
gruppi intellettuali esplicitamente fascisti o che proclamano
una non ingerenza della cultura in campo politico. Mentre i primi
fanno opera essenzialmente di propaganda, o almeno tale ci sembrano,
i maggiori risultati letterari dell'epoca sono rinvenibili tra
i secondi, in cui confluiscono sia gli appartenenti alle vecchie
classi liberali spodestate che non aderiscono al fascismo ma che
non sono neppure contro di esso, e fanno qui il loro apprendistato
i giovani intellettuali della futura rivolta antifascista. In
Italia la persecuzione della vita democratica a partire dal 1925
annulla di fatto il regime liberale a favore della dittatura appoggiata
dalla monarchia. Mussolini con la creazione dell'Accademia d'Italia,
dell'Istituto fascista di cultura, e le scuole di "mistica fascista"
cerca di legare al regime la cultura. L'opposizione è repressa
tramite il "Tribunale speciale per la difesa dello stato", che
tuttavia non commina pene di morte, ma usa l'imprigionamento e
il domicilio coatto come strumento. Con la Carta del lavoro (1927)
si sancisce che la lotta di classe e lo sciopero sono reati; con
i Patti Lateranensi (1929) l'accordo con i cattolici abbandona
le posizioni laiche dello stato liberale. La chiesa cattolica
appoggia apertamente il regime, ricevendone in cambio privilegi
e vantaggi, e dà un ulteriore giro di vite alla repressione
del "modernismo" cattolico italiano: è il caso di Ernesto
Buonaiuti. Seguirono l'avventura imperialistica della guerra
d'Abissinia, l'autarchia, l'invio dei "volontari" in Spagna, l'intervento
nella seconda guerra mondiale a rimorchio del militarismo nazista.
Non senza passare attraverso l'infamia dei provvedimenti "a favore
della razza" introdotti dal regime nel 1938 con l'approvazione
indifferente della monarchia e il silenzio-approvazione del Vaticano
e della chiesa cattolica. I provvedimenti portarono all'espulsione
dall'Università e dalle scuole di ogni ordine e grado,
di tutti gli studenti e docenti ebrei: fu un colpo durissimo per
il mondo della ricerca scientifica e della cultura accademica
italiana (che pure profittò per fare incetta dei circa
300 posti che si resero disponibili con le leggi razziste: nessuno
dei colleghi non-ebrei si rifiutò di ricoprire le cattedre
lasciate vuote, unica clamorosa eccezione fu quella di Massimo
Bontempelli, che rifiutò la cattedra di letteratura
italiana di Attilio Momigliano; mentre la «Rivista di diritto
privato» accolse nel comitato scientifico Alfredo Ascoli costretto
a lasciare la «Rivista di diritto civile»: ma si tratta delle
due uniche eccezioni!): si pensi alla fisica, o alla matematica
(i capiscuola Vito Volterra, Federigo Enriques, Guido Castelnuovo,
Guido Fubini). All'espulsione seguiranno gli esili; quando poi
dopo la guerra sarà riaperta la possibilità del
ritorno, molti non torneranno.
Nel 1925 è un manifesto degli intellettuali fascisti, redatto
da Giovanni Gentile, cui risponde Croce. Il dibattito letterario
è caratterizzato dal richiamo all'ordine e alla tradizione:
«La Ronda» teorizza la lezione dei classici, la pulizia formale,
la prosa d'arte, l'esclusione del letterato da interessi extra-
letterari. Papini convertito al cattolicesimo nel 1919, pubblica
una Storia di cristo, dedica il primo volume della sua
Storia della letteratura italiana "al Duce, amico della poesia
e dei poeti", entra nell'Accademia d'Italia, nel 1939 è
Italia mia in cui la retorica nazionalistico-patriottica tocca
punte estreme. Più composta la posizione di altri intellettuali
(un minore come Tecchi). Diversa la
posizione di Gramsci («Ordine nuovo», dal 1919) e Gobetti («La
rivoluzione liberale»; poi su «Il Baretti», in cui si batte per
la sprovincializzazione culturale. Scriverà con lucidità:
"tutti politici, tutti combattenti. O nella corte dei padroni
o all'opposizione. Chi sta nel mezzo non è indipendente
né disinteressato. Gli scettici sono grati al regime...".
Gobetti morì a soli 25 anni, nel 1926 a Paris, per i postumi
delle bastonature dei fascisti, la sua rivista fu chiusa dal regime
nel dicembre 1928). «Solaria» riprende la dimensione europea de
«Il Baretti»; Pirandello e Svevo hanno dimensioni europee. Mentre
in europa sono i fermenti anti liberal-borghesi di dada- surrealisti
espressionisti ecc. ma, anche, la poetica e poesia di estremo
rigore di Paul Valéry, e l'itinerario dalla disperazione
alla fede di Eliot, in «Solaria» ci si limita alla rarefatta evocazione
memoriale, astratta dalla contem- poranea vicenda italiana; o
si descrivono le dolorose realtà sociali ma trasferite
in un clima remoto e arcano, senza mordente d'opposizione: Alvaro
(Gente in Aspromonte), Vittorini (Conversazione in Sicilia).
Si sceglie comunque una forma d'arte che non si compromette con
il regime, ignora la realtà contemporanea: vagheggiamento
memoriale, trasfigurazione del dato reale in una dimensione arcana
e simbolica; rifugio nell'io, solitudine esistenziale, ascetica
ricerca della parola essenziale e dei rapporti analogici (Montale,
Ungaretti). Solo Saba ripudia ogni ricercatezza, canta con profonda
umanità tutti gli aspetti del quotidiano, trova chiari
accenti di opposizione al regime. Inclemente affresco della decomposizione
borghese opposto alle mitologie ufficiali è in Moravia
(Gli indifferenti), Silone, Bernari (Tre operai). Negli anni '30
(grazie a Vittorini e Pavese) l'interesse per i narratori americani,
con il mito dell'america giovane sanguigna e libera. La prosa
così ha una maggiore diffusione, rispetto all'ermetica
poesia. Estremo tentativo di legare regime a intellettuali è
la rivista «Primato», di Bottai, a partire dal 1940.
L'arte per l'arte, l'impressionismo
Una rivista come «La Voce» pubblicata a Firenze, sotto la nuova
direzione di Giuseppe De Robertis, tra il 1914 e il 1916, accentua
il suo carattere letterario; i vociani privilegiano una critica
autobiografica, e il frammentismo lirico. Rispetto all'attivismo
del suo fondatore Prezzolini, si cerca
di espungere qualsiasi "intrusione" etica sociale o politica,
e a promuovere una poetica fondata sul culto della parola e dello
stile. A tale indirizzo fanno riferimento alcuni dei maggiori
poeti del secolo. Giuseppe Ungaretti, Camillo
Sbarbaro, Clemente Rebora, Arturo
Onofri; mentre in Dino Campana agisce anche la lezione visionaria
di Rimbaud. Nella rivista sono pubblicati gli interventi critici
di De Robertis, R. Serra, Emilio Cecchi ecc., e scritti anche
di Cardarelli, Bacchelli ecc. Tra il 1919 e il 1923 è il
gruppo degli scrittori de «La Ronda» mensile pubblicato a Roma:
Antonio Baldini, Lorenzo
Montano, Bruno Barilli, Vincenzo
Cardarelli, Riccardo Bacchelli che si indirizzò verso una
narrativa storica, Emilio Cecchi. Dal
1920 il comitato editoriale si ridusse a Cardarelli e Saffi. Vi
collaborarono: G. Raimondi, Pareto, A. Gargiulo, Savinio, G. De
Chirico, C. Carrà, A. Spadini (che disegnò per la
copertina il tamburino giacobino), Soffici,
A. Tilgher, G. Sorel, J. Rivière, G.K. Chesterton. Essi
giudicano superate le esperienze delle riviste «Lacerba» e «La
Ronda», concordano con il programma di Cardarelli che enunciava
la volontà di restaurare la tradizione classica della letteratura
italiana impersonata in Petrarca Manzoni Leopardi, esigeva per
lo scrittore piena autonomia da ogni compromissione politica e
sociale, considerando l'atto letterario come supremo esercizio
di stile. Con i saggi di Pareto e le cronache di Montano, sono
posizioni monarchiche, antisocialiste, filogiolittiane, dichiarazioni
di disimpegno. Sul piano letterario è il rifiuto di ogni
forma irrazionalista, dalla poesia simbolista di Pascoli alle
mitografie di D'Annunzio, alle teorie iconoclaste dei futuristi.
Di Leopardi non viene riproposta la validità di poeta o
di pensatore, ma di prosatore: l'eleganza delle "Operette morali".
Ciò accanto al recupero di una concezione dell'arte intesa
come diletto, mestiere raffinato di letterati che si professano
estra nei a ogni finalizzazione dei contenuti. Per raggiungere
il "simulacro di castità formale" (Cardarelli), i rondisti
operarono una strenua difesa del linguaggio, ottenendo risultati
di perfezione calligrafica nella 'prosa d'arte'. La rivista intervenne
anche su scottanti problemi d'attualità, come la relatività
e la psicoanalisi, assumendo posizioni spesso superficiali, date
dal rifiuto pregiudiziale di ogni novità che sembrasse
sconfinare nell'avventura irrazionalista. I rondisti sono teorici
di una scrittura d'arte, senza impegni etici né politici,
esercizio disinteressato: sono gli scrittori di un'epoca che vede
le fanfare degli "impegnati" nella propaganda della dittatura
di cui essi sono silenziosi fiancheggiatori. Ad essi, almeno,
si deve il recupero critico di Leopardi. Di formazione rondista
fu un critico come Enrico Falqui, che
collaborò con Vittorini per l'antologia Scrittori nuovi
(1930).
Tra il 1926 e il 1936 attorno alla rivista fiorentina «Solaria»,
si raccolgono alcuni tra i migliori scrittori del periodo, e che
avranno grossa influenza nel dopoguerra. Tra essi Eugenio Montale,
e Carlo-Emilio Gadda. La rivista era stata fondata e diretta a
Firenze da A. Carocci, ebbe come condirettori G. Ferrata (1929-30)
e A. Bonsanti (1930-33). Una rivista eclettica, oscillante tra
il rigore formale de «La Ronda» e il moralismo del gobettiano
«Baretti». In contrasto con l'autarchia culturale predicata dal
fascismo, vi fu una grossa apertura verso le esperienze europee:
si recensirono tempestivamente i libri di P. Valéry, E.
Hemingway, A. Gide, A. Malraux; si stamparono traduzioni di T.S.
Eliot, J. Joyce, R.M. Rilke. Si cercò di valorizzare autori
del novecento italiano dedicando numeri unici a Saba, Svevo, Tozzi.
Dal 1930 ci fu una maggiore attenzione verso i giovani scrittori,
come Vittorini. Gli interventi di N. Chiaromonte, U. Morra e G.
Noventa sulla responsabilità storica del letterato allarmarono
la censura che sequestrò alcuni numeri della rivista, tra
cui quello del marzo-aprile 1934 contenente testi giudicati contrari
alla morale, come "Il garofano rosso" di Vittorini. Furono collaboratori
della rivista G. Contini, G. Debenedetti, C.E. Gadda, Montale,
R. Franchi, G. Raimondi, S. Solmi, Bacchelli, Antonio Baldini,
A. Consiglio. Nelle Edizioni Solaria furono pubblicati testi di
Saba, Gadda, Vittorini, A. Loria, Quasimodo, Pavese. Di tutti
gli autori che si mossero variamente in questi anni, gli unici
che "rimasero" (ri-letti dalle generazioni successive di lettori)
rimasero Dino Campana, Vincenzo
Cardarelli, Riccardo Bacchelli.
Poetiche espressioniste surrealiste
magicorealiste
Sulla linea pirandelliana sono Pier Maria Rosso-di-San- Secondo,
e in parte Massimo Bontempelli fautore del "realismo magico".
Giuseppe Antonio Borgese con il romanzo
Rubè tenta di opporsi al frammentismo vociano come
all'isolazionismo rondista. Un surrealista minimale è Alberto
Savinio. A un certo espressionismo appartengono Giovanni Comisso
e Enrico Pea.
Il dibattito culturale delle riviste
Opera di sprovincializzazione fece la rivista «900», fondata da
Curzio Malaparte e Massimo Bontempelli,
e che fu pubblicata a Roma nel 1926-1929 come trimestrale (solo
l'ultimo anno fu mensile), in francese (primi due anni) e in italiano
(due anni successivi). Obiettivo della rivista, che ebbe un comitato
di redazione internazionale, era l'apertura alle esperienze letterarie
dell'epoca, al surrealismo, all'espressionismo ecc. Bontempelli
vi trasfuse il suo gusto per il fantastico e l'avventuroso (il
suo "realismo magico"). Vi collaborarono tra gli altri, Moravia,
Corrado Alvaro, M. Jakob, Virginia Woolf, D.H. Lawrence. «900»
di Bontempelli, non è una rivista antifascista, ma fiancheggia
il regime. Al gruppo fu molto vicina Margherita
Sarfatti. Per Bontempelli "'la tradizione' è la cosa
più strana che esista. Anzi non esiste affatto: è
una formula a posteriori, è una finzione giuridica con
la quale la storia letteraria accomoda tutto". Di qui l'europeismo,
ma da un punto di vista nazionalistico: "nel momento stesso che
ci sforziamo di essere europei, ci sentiamo perdutamente romani"
(settembre 1926), oltre che antidemocratico: "oggi abbiamo in
Europa due tombe della democrazia ottocentesca. Una è a
Roma, l'altra a Mosca".
Nel 1927 Malaparte abbandonò la rivista per fondare il
movimento di strapaese che raccoglieva invece le istanze della
tradizione contadina italiana. Il movimento di strapaese si sviluppò
in italia nel 1926-1932. Diffuso dalle riviste «Il Selvaggio»
di Mino Maccari, da «L'Italiano» di Leo Longanesi. Si oppose a
«900» di Bontempelli, fiancheggiando e appoggiando la politica
fascista. La sua principale proposta era la continuazione, sia
pure stravolta e beffarda, delle tradizioni paesane assunte come
genuinamente "nazionali" in contrasto con le "mode" cosmopolite.
«Il Selvaggio» lo si iniziò a pubblicare da Mino
Maccari a Colle-Val-d'Elsa nel 1924, proseguì fino
al 1943, trasportata da una città all'altra a seconda delle
sue peregrinazioni. Estrosità grafica, collaborazione di
artisti come Morandi, De Pisis, Bartolini, Soffici, Rosai, fanno
di questa rivista un avvenimento di primo piano nel panorama della
pubblicistica del ventennio fascista italico. La rivista divenne
l'organo della corrente di "strapaese". Sulla scia di suggestioni
provenienti da scrittori toscani contemporanei, come Papini esaltatore
della campagna, il ruralismo di Soffici, il gusto della "salvatichezza"
del Dizionario dell'Omo salvatico (1923) di Papini e Giuliotti,
motivi di fondo di strapaese sono: il richiamo alla sanità
della vita di provincia, l'esaltazione populistica (che tornerà
anche nel neorealismo del dopoguerra) di un tipo umano spontaneo
e genuino, l'idoleggiamento del popolano toscano bestemmiatore,
beffardo, manesco, l'esaltazione della razza e della ruralità,
la polemica contro la civiltà borghese. Sul piano politico
è la valorizzazione dello squadrismo pro vinciale, concepito
come riserva di spontaneità rivoluzionaria che deve alimentare
la carica rinnovatrice del fascismo. E' una posizione che in parte
va inserita nello scontro politico interno al fascismo tra tutori
dell'ordine (Mussolini) e rivoluzionari (Farinacci). Significativa
la raccolta di "cantate" L'Arcitaliano (1928) di Curzio Malaparte
in cui sono versi come questi: "o Italiani ammazzavivi | il bel
tempo torna già: | tutti i giorni son festivi | se vendetta
si farà | son finiti i tempi cattivi | chi ha tradito pagherà.
| Pace ai morti e botte ai vivi: | cosa fatta capo ha. | Spunta
il sole e canta il gallo, | o Mussolini, monta a cavallo". In
Maccari si tratta di autarchismo culturale nazionalista: "Strapaese
è stato fatto apposta per difendere a spada tratta il carattere
rurale e paesano della gente italiana; vale a dire, ol tre che
l'espressione più genuina e schietta della razza, l'ambiente,
il clima e la mentalità ove son custodite, per istinto
e per amore, le più pure tradizioni nostre. Strapaese si
è eretto baluardo contro l'invasione delle mode, del pensiero
straniero e delle civiltà moderniste, in quanto tali mode,
pensiero e civiltà minacciano di reprimere, avvelenare,
distruggere le qualità caratteristiche degli italiani".
Sono posizioni culturali che il regime fascista manterrà
co stantemente. Basti pensare alle "note di servizio" che il Mincul
pop (Ministero della Cultura Popolare) comunicava alla stampa:
"18 giugno 1936: Per la morte di Gorkij nessun articolo, nessun
commento, nessun cenno biografico. Pubblicare la notizia senza
alcun rilievo"; "26 dicembre 1936: Non interessarsi mai di Einstein";
"13 giugno 1939: Continuare a ignorare la Francia. Non interessarsi
di quanto scrivono e fanno in Francia". Malaparte si piccò
di un certo atteggiamento di fronda nei riguardi delle gerarchie
fasciste, da cui sostanzialmente fu sempre protetto come un simpatico
'enfant gaté' del regime. Maccari era sinceramente convinto
della "rivoluzione" fascista, denunciò equivoci, corruzione
del regime, favoritismi: «la tessera non dà l'ingegno come
non lo toglie. Spregevole sarà quel mediocre artista che
volesse valersi delle sua qualità di iscritto al fascio
[cioè al PNF] per combattere un buon artista. La tessera
non dà l'ingegno come non lo toglie». Su «Il Selvaggio»
pubblicò disegni e incisioni di rara forza satirica, pubblica
caustici mottetti e 'couplets' («L'ha detto anche il senatore
Agnelli | che siamo tutti fratelli»; «Il grido del capitalista:
Armiamoci e partite; | Il grido del collettivista: Amiamoci e
patite»).
Al movimento di strapaese si oppose quello di stracittà,
che riprese con maggior tenacia i programmi di «900». Essi pugnavano
per la sprovincializzazione, l'apertura a un'arte che fosse trascrizione
delle conquiste del secolo (dinamismo, progresso scientifico,
tecnologia). Simpatizzarono con il movimento anche le riviste
«L'Interplanetario», «Duemila»; dopo il 1933 anche «Quadrivio»
di T. Interlandi.
La produzione regionale
La politica culturale del fascismo cercò di promuovere
un tipo di cultura nazionalista e unitaria, decisamente "italiano-fila",
con una accentuazione dalla metà degli anni Trenta. Le
culture che si esprimevano nelle lingue regionali furono osteggiate,
anche se non mancarono in quegli anni autori e testi che usarono
le lingue regionali per esprimersi. Si pensi al milanese Delio
Tessa, al bolognese Alfredo Testoni (attivo già dalla
fine del secolo precedente, ma seguitissimo anche negli anni Trenta)
ecc.
Letteratura italiana di consumo tra le
due guerre
L'emergere della piccola borghesia tra le due guerre in Italia
incrementa una produzione letteraria di consumo. A parte i generi
settoriali, la gran parte della produzione di consumo si collega
ai romanzi d'appendice ottocenteschi; volgarizzamento della let
teratura colta per i ceti medio-borghesi: Luciano Zuccoli (La
freccia nel fianco, 1913), Guido da Verona volgarizzatore
del dannunzianesimo, in fondo la stessa Grazia Deledda che nel
dopoguerra scrive Incendio nell'uliveto (1918), e Cosima
(1937), e riceve un nobel nel 1926. Sibilla
Aleramo, una scrittrice come Térésah,
Antonio Beltramelli.
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