Editori di regime e non. L'editoria italiana tra il 1917
e il 1945
Tra gli anni Ottanta e la fine dell'Ottocento iniziò
a determinarsi un allargamento consistente dei fruitori
del libro in Italia, con un aumento di titoli e tirature
(tanto di libri, quanto di periodici), che avrebbe riguardato
soprattutto l'editoria rivolta a un pubblico popolare e
fatto emergere, come "vero editore nazionale",
Emilio Treves. Con l'inizio del nuovo secolo e lo sviluppo
del sistema informativo - che si manifestò in un
notevole aumento di testate periodiche e un rilevante incremento
di copie vendute per alcuni grandi quotidiani - il libro,
nonostante il crescente aumento di titoli e di lettori,
vide invece ridurre le proprie potenzialità rispetto
a questi ultimi. L'editoria cosiddetta colta continuava
ad avere spazio con la nascita, nei primissimi anni del
Novecento, di editori come Laterza, Vallecchi, La Voce.
Da un punto di vista quantitativo rimase una caratteristica
costante nella storia editoriale del paese la disparità
tra Italia settentrionale e centrale e quella meridionale,
tra città e campagna, per quanto riguardava sia la
vendita dei prodotti, sia, d'altro canto, i luoghi di accessibilità
a essi, vale a dire i punti di vendita, gli istituti culturali,
le biblioteche. Gli editori stessi si concentrarono sempre
di più al Nord, togliendo tra gli anni venti e trenta
il monopolio che era appartenuto a Firenze, mentre al Sud,
ad eccezione di Napoli e di Palermo, il numero di case editrici
si mantenne sempre notevolmente esiguo.
Il processo di industrializzazione dell'editoria italica
cominciò ad avviarsi proprio negli anni del regime
fascista. Sono case editrici come Mondadori e Rizzoli a
espandersi e ad avviarsi su una strada di sempre maggiore
egemonia sul mercato, grazie tra l'altro al contemporaneo
uso tanto del prodotto librario quanto di quello periodico,
e, nel caso di Mondadori, di quello scolastico.
Dotato di grosse capacità nel trattare e imporsi,
Arnoldo Mondadori non era dotato di molta cultura. Aveva
sposato Andreina Monicelli, e solo dopo l'incontro con il
fratello di lei, il letterato e socialista Tommaso Monicelli,
aveva cominciato a interessarsi alla cultura. Fu con la
sua tenacia e con un certo fiuto commerciale che riuscì
a mettere insieme quella che divenne presto la maggiore
casa editrice italiana. Riuscì a agganciare Giuseppe
A. Borgese, Enrico Piceni (e poi dopo il 1945 Elio Vittorini,
Giansiro Ferrata, Vittorio Sereni, grazie a cui diede vita
a alcune importanti collane di poesia e letteratura). La
Mondadori è stata la casa editrice che maggiormente
si è aperta al sistema industriale e commerciale
del libro-oggetto. All'editoria popolare si dedicò
la Sonzogno, mentre nel settore enciclopedico la casa editrice
Pomba.
A fianco di questo processo di ristrutturazione, si verificavano
in quegli anni altri fenomeni di egemonia e di espansione:
da una parte con una figura come Giovanni Gentile, che,
oltre a intervenire all'interno di diverse case editrici,
divenne proprietario della Sansoni, dall'altra con il nascere
e il crescere di un settore importante come quello dell'editoria
cattolica.
Tutto questo avvenne in un contesto di fascistizzazione
delle strutture culturali, degli organi di stampa e delle
associazioni degli editori, di censura e di controllo preventivo
della produzione libraria da parte del regime, con la creazione
di appositi strumenti e organismi ministeriali, fino alla
Commissione per la bonifica libraria creata nel 1938, che
eliminò dal mercato buona parte degli autori ebrei
italiani e stranieri. Un contesto che vide, comunque, anche
l'emanazione di leggi importanti per la tutela dei prodotti
dell'ingegno, quali furono quelle sul diritto d'autore del
1925 e del 1941.
Durante il ventennio fascista, l'adesione alla cultura
fascista da parte delle varie case editrici fu (analizzando
le cose a-posteriori) disomogenea. Vi furono case orientate
sul nuovo modello industriale, i cui interessi portavano
di necessità a compromessi con il regime, o a un
sostegno esplicito per poter accedere a finanziamenti e
sovvenzioni: ma un caso era quello di Mondadori (per il
quale al tempo stesso occorre tener conto non solo della
presenza di autori e collaboratori che saranno antifascisti,
ma anche della sua opera di introduzione in Italia della
giovane letteratura americana, che certo non corrispondeva
agli obiettivi politico-culturali del fascismo) e un altro,
ad esempio, quello della neonata Bompiani o di altre editrici
orientate verso i linguaggi più autonomi del consumo,
dell'immaginario di massa. Ci furono poi, oltre alle case
editrici "militanti", quelle apertamente schierate
con il regime: Vallecchi, Cappelli, lo sfortunato Gian Daùli,
e, particolarmente per quanto riguardava lo scolastico,
Bemporad. Ma, anche qui, occorre tener presente che Vallecchi
fu anche l'editore dei giovani scrittori italiani e dei
poeti ermetici. E che Bemporad fu poi travolto dalle leggi
razziali. Ci furono ancora le case editrici apertamente
non fasciste, come la Laterza di Bari che riuscì
a mantenere l'indipendenza culturale grazie alla vicinanza
con Benedetto Croce, o Bocca di Torino, che, dopo gli anni
gloriosi del positivismo, di cui fu il principale editore,
vide nel corso del ventennio un rapido e inesorabile declino,
o ancora Angelo Fortunato Formiggini, che concluse tragicamente
la propria esistenza nel vano tentativo di protesta contro
le leggi antiebraiche.
Un quadro destinato a mutare notevolmente con la guerra,
e già prima, nel '38, con le leggi razziali e il
controllo centralizzato della produzione editoriale.
Contesto
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