Giovanni Cristofano
Amaduzzi e la scuola di Iano Planco, di Antonio Montanari
1. La formazione
di Giovanni Amaduzzi: fanciullezza
«Glingegni superiori», osservò Giacomo Leopardi,
«non si servivano della istruzione che prendevano in diverse
scuole, se non per iscegliere il meglio, o quello che credessero
tale» [1]
. La massima, così efficace nel riassumere il senso
di ogni eccellente apprendistato intellettuale, può applicarsi
anche alla formazione ricevuta da Giovanni Cristofano Amaduzzi
(1740-1792) a Rimini, prima nel Seminario vescovile e poi
alla scuola privata del medico, scienziato e poligrafo Giovanni
Bianchi (Iano Planco, 1693-1775).
Nel comportamento di Amaduzzi sin da fanciullo, la famiglia
aveva avvertito che si trattava di uno di quegli «ingegni
superiori» dei quali parla Leopardi, e di cui i parenti debbono
avere il massimo rispetto, istradandoli verso un cammino che
raccolga i frutti naturali della mente, e la sappia coltivare
con uneducazione acconcia. Per raggiungere lo scopo,
occorre perfezionare le conoscenze mediante un tirocinio che
non devessere sofferenza, ma lo spontaneo realizzarsi
duna vocazione culturale. Questa, come nel nostro caso,
nonostante lavvio al Seminario, non coincide con quella
religiosa che ben altre motivazioni dinteressi materiali
imponevano a quellambiente provinciale e non ricco a
cui Amaduzzi appartenne. La sua era infatti una famiglia di
«possidenti molto impoveriti» [2] , che sognava per
lui una carriera ecclesiastica capace di fornire pane e companatico
ad un giovane degno di non dedicarsi ad umili mestieri.
Egli venne alla luce la sera del 9 agosto 1740, nella
parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Fiumicino. Molti
biografi gli accorceranno la già breve vita, spostando in
avanti di due anni la data di nascita, sulla scia del primo
scritto in sua memoria, composto da Isidoro Bianchi
[3] . Figlio di Michele e di Catterina Gasperoni,
è tenuto a battesimo il giorno dopo nella chiesa di Santa
Lucia di Savignano dal parroco don Giovanni Battista Mancini
che funge pure da padrino, mentre la madrina è la moglie di
Bartolomeo Borghesi, Silvia Antonia [4] . Non sfugge il significato simbolico
della scelta delle due figure che accompagnano il neonato
al sacramento. Il nobil huomo parroco Mancini, originario
di Rimini, è una persona colta, dottore e Protonotario Apostolico,
dal 1732 Pievano di San Giovanni in Compito e Savignano di
Romagna, nonché presidente dellAccademia degli Incolti
[5] , che precorre i Filopatridi. Segretario degli
Incolti fu Pietro Borghesi
[6] (1722-1794), figlio di Bartolomeo e della
ricordata Silvia Antonia. Bartolomeo e Pietro Borghesi rappresentano
la cultura antiquaria romagnola che acquista fama oltre gli
àmbiti locali, e che caratterizza molta parte degli studi
amaduzziani.
Tanta dottrina che circonda linfante
non è soltanto convenzionale ostentazione dun privilegio
sociale. In quella cerimonia, sembra di assistere ad una specie
di consacrazione culturale. A Giovanni Battista Mancini nel
1759, Giovanni Cristofano Amaduzzi vorrà dedicare i Componimenti
poetici in lode del Santissimo Nome di Maria, la cui festa
solennemente si celebra nella Chiesa della B. Vergine delle
Grazie di Fiumicino, situata sulle sponde del Rubicone... [7] . Rettore della medesima chiesa
di Santa Maria delle Grazie a Fiumicino, è un altro sacerdote
che svolge un ruolo importante nei primi anni di vita del
Nostro: lo zio paterno Giovanni Francesco Antonio Amaduzzi.
Alla sua scomparsa, nel 1771, Giovanni Cristofano scriverà
parole commosse al proprio fratello don Francesco Maria [8] , arciprete del Capitolo di Savignano, dichiarando
di aver sempre professato verso lo zio «tanta gratitudine» [9] .
[1] Cfr. G. Leopardi, Tutte le opere, a cura di W. Binni,
II, Firenze 1969, Zibaldone, n. 265, 6 ottobre 1820,
p. 112. Il nome di Amaduzzi appare nellEpistolario
leopardiano (a cura di F. Brioschi e P. Landi,
Torino 1998, ad indicem), per i suoi Anedocta
litteraria (voll. I-IV, Roma 1773-80), per i quali il
recanatese nel 1824 chiede notizie, su richiesta di B. G.
Niebhur di Bonn, a Giuseppe Melchiorri, figlio di Ferdinanda
Leopardi, sorella del conte Monaldo.
[2] Cfr. C. Colaiacono, Dalluomo di lettere al letterato borghese,
«Letteratura italiana, II, Produzione e consumo», Torino
1983, pp. 381-382: alla stessa categoria di «possidenti
molto impoveriti» appartenevano anche le famiglie di GioseffAntonio
Aldini (1729-98) e di Pasquale Amati (1726-96), entrambi
allievi di Bianchi (cfr. A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche
su Giovanni Bianchi, «Quaderni degli Studi Romagnoli»,
n. 6, Faenza 1972, p. 10, nota 19).
[3] Cfr. Elogio dellabate Gio. Cristofano Amaduzzi
[...] scritto dallabate don Isidoro Bianchi, p.
5. Il testo fu dapprima recitato dallautore a Mantova
il 29 novembre 1793, e poi stampato a Pavia lanno
successivo. Il camaldolese I. Bianchi (1731-1808) dovette
avvertire una certa sintonia con il pensiero filosofico
amaduzziano, se pubblicò una dissertazione (Delle scienze
e belle arti, Palermo 1771), «in cui dietro lapparente
critica a Rousseau, trovava modo di presentare le moderne
teorie illuministe»: cfr. C. Costa,
ad vocem, «Letteratura italiana. Dizionario bio-bibliografico
e indici, I, A-G», Torino 1990. Sui rapporti fra I. Bianchi
ed Amaduzzi, cfr. F. Venturi,
Settecento riformatore, 5. 1. LItalia dei Lumi
(1764-1790), Torino 1987, pp. 682-689.
[4] Debbo alla cortesia di Carla Mazzotti, già appassionata
vice-bibliotecaria presso lAccademia dei Filopatridi,
queste notizie reperite in anni lontani presso larchivio
parrocchiale di Santa Lucia, Registro dei Battezzati,
IX, c. 89.
[5] Cfr. A. Montanari, Antonio Bianchi scrittore in A. Bianchi,
Storia di Rimino dalle origini al 1832, Rimini 1997,
p. LVII; e D. Mazzotti,
Rubiconia Accademia dei Filopatridi. Note storiche e
biografiche, Santarcangelo di R. 1975, p. 34.
[6] Pasquale Amati, in un suo scritto, ricorderà assieme P.
Borghesi e G. C. Amaduzzi come uomini famosi e suoi amici:
cfr. nel cit. Antonio Bianchi scrittore, p. LVI,
nota 73.
[7] Cfr. il cit. Elogio dellabate G. C. Amaduzzi,
p. 51, nota 9.
[8] Su queste lettere cfr. A. Montanari, Lumi di Romagna, II
ed., Rimini 19932, cap. 11. «Monsieur lAbbé,
carissimo Fratello», pp. 103-106.
[9] Lettera del 6 febbraio 1771. Ora essa è riprodotta a p.
209 di G. C. Amaduzzi,
Lettere familiari, a cura di G. Donati, «Collana del Centro Studi Amaduzziani,
Rubiconia Accademia dei Filopatridi, II», Viserba di Rimini
2001. Questa lettera è scritta poco prima del decesso di
Giovanni Francesco Antonio, della cui morte si parla nella
successiva missiva (ibid.) del 9 febbraio 1771, ove
pure leggiamo (p. 211): «[...] vi prego a voler strappare
tutte le mie lettere scritte al Zio medesimo qualora vincontrerete
in esse, giacché in alcune di queste vi sarà qualche mia
stramberia scritta in tempo delle maggiori mie angustie,
le quali cose non è bene che esistino».
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Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Iano Planco,
di Antonio Montanari
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