Area
culturale italica tra il 1790 e il 1850
Area culturale italica tra il 1790 e il 1850
Dal neoclassicismo al romanticismo
Nei primi decenni del XIX secolo domina in Italia la corrente
neoclassicista. Il più rappresentativo scrittore è
Vincenzo Monti (1754\1828). Neoclassicisti
ma anche preromantici e fiancheggiatori del romanticismo sono
rispettivamente Ugo Foscolo (1778\1827)
in cui è la lezione di Parini e Alfieri, e
Giacomo Leopardi (1798\1837) che fu tra i maggiori poeti
europei del tempo.
Nel quadro di un teatro tra classicismo e romanticismo, pieno
di spiriti politici indipendentistici si pone Giovanni
B. Niccolini . L'ambiguità di fondo della cultura italica
del tempo, tra classicismo e romanticismo è ancora più
evidente negli intellettuali minori (Tedaldi
Fòres ecc.).
Romanticismo italico
La polemica romanticista scoppiò in Italia nel 1816, quando
Madame de Staël pubblicò
sul primo numero della «Biblioteca italiana» di Milano un articolo
"Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni": Staë
l attaccava la moderna letteratura italica, considerata accademica
e sterile, e invitava gli italiani a tradurre e studiare i nuovi
scrittori delle grandi letterature europee. L'articolo suscitò
immediate reazioni. I tradizionalisti si raccolsero attorno a
Giordani, ed ebbero il loro organo ufficiale nel filo-austriaco
«Biblioteca italiana». Questo mensile era nato proprio nel gennaio
1816, con l'appoggio del governo austriaco. Fu diretta fino al
1826 da Giuseppe Acerbi . Essa accettò
la collaborazione oltre che di Monti e degli intellettuali moderati,
anche di numerosi scrittori liberali come Giordani, M. Gioia,
P. Borsieri, Ludovico Di Breme, Pellico.
Con la pubblicazione dell'articolo di Madame de Staë l si
avviò una discussione che portò all'allontanamento
dei liberali, che fondarono «il Conciliatore», e a una sempre
più decisa presa di posizione della rivista come organo
dei classicisti e dei reazionari. Essa ebbe vita fino al 1859.
I giovani romanticisti diedero vita, dal 3 settembre 1818 al 2
ottobre 1819, al «Conciliatore», rivista bisettimanale diretta
da Silvio Pellico. Manifesto della rivista può essere considerato
l'articolo, moderato, di Ermes Visconti,
"Idee elementari sulla poesia romantica". La rivista, che era
stampata su carta di colore azzurro, e per questo fu detta «foglio
azzurro», riprese alcuni ideali illuministici del «Caffè»,
sostenendo la necessità di una letteratura che avesse intenti
morali e educativi; indirettamente condusse anche una campagna
ideologica anti-austriaca, "conciliando" (il motto era: «rerum
concordia di- scors») idee e programmi estetici e politici di
vari circoli liberali milanesi. La rivista era finanziata dal
conte L. Porro Lambertenghi. Vi collaborarono oltre a Pellico,
Romagnosi, Di Breme, Pietro Borsieri,
Porro, Maroncelli, Ermes Visconti,
Confalonieri, Berchet. Di tutti questi, solo Pellico, oltre a
Berchet di cui si dirà poi, hanno una reale importanza,
relativamente al panorama culturale italico del tempo. Il resto
si tratta di intellettuali coinvolti nella vita politica e filosofica
del tempo.
L'iniziativa ebbe anche la convinta approvazione di Manzoni. Più
volte censurata, la rivista fu infine soppressa dalla polizia
austriaca.
La contrapposizione tra le due scuole non fu esasperata. Del resto
istanze moderniste e anti-mitologiste sono presenti nei testi
di Parini, e nella "Bassvilliana" di Monti (che nel 1825 con il
"Sermone sulla mitologia" prese netta posizione anti-romanticista).
Prima del «Conciliatore», tre dei suoi redattori, Di Breme, Borsieri
e Berchet, avevano pubblicato nell'anno della battaglia romanticista,
nel 1816, altrettanti manifesti della nuova scuola, rispettivamente:
"Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani"
(Di Breme), "Avventure letterarie di un giorno" (Borsieri), "Lettera
semiseria di Grisostomo" (Berchet). Sostanzialmente ispirato all'idea
illuministica del primato civile e sociale della letteratura l'accattivante
racconto-saggio di Borsieri, più interessante forse l'opuscolo
di Berchet che fa comprendere meglio direzioni e limiti del romanticismo
italico, più radicale Di Breme aderente ai princì
pi filo-tedeschi sia in senso politico- ideologico (l'unità
della nazione come premessa indispensabile dell'unità linguistica)
e in senso estetico con la consapevolezza del prevalere del patetico
e del sentimentale sul meraviglioso nell'arte romanticista. Il
tema fu poi ripreso da Leopardi nel "Discorso di un italiano intorno
alla poesia romantica", programmaticamente classicista anche se
poi di fatto partecipe delle nuove istanze. Quanto a Borsieri,
le sue "Avventure letterarie di un giorno" sono la cosa migliore
da lui scritta (e dei tre scritti, il meno interessante): insiste
sulla missione sociale della letteratura che ha il compito di
«illuminare il vero e giovare per la via del diletto», e auspica
la formazione di un vasto pubblico di «lettori giudiziosi».
Estranei al romanticismo italico rimasero il titanismo, il senso
del mistero tipici delle poetiche nordiche. Mentre dal punto di
vista formale si rimase sostanzialmente fedeli alle forme tradizionali.
Di fronte al classicismo di Giordani, Cattaneo e soprattutto di
Leopardi, il romanticismo risulta produttivamente inferiore. Il
romanticismo in Italia si afferma soprattutto in Lombardia, con
connotati decisamente nazionalistici, volto ad affermare un sentimento
di liberazione dal dominio esterno e di riforma nazionale, connesso
al movimento "risorgimentale" cioè nazionalistico. In letteratura
gli intenti sono quelli di una maggiore aderenza alle classi sociali
borghesi e "umili", e un allargamento del pubblico. Esiste una
linea di conti- nuità tra illuministi lombardi e romanticisti.
Ciò è evidente sia nel gruppo romanticista italiano,
che si raccoglie attorno a «Il Conciliatore», sia nel maggiore
rappresentante, Alessandro Manzoni. Sotto l'urgenza del problema
politico, fu sviluppato l'impegno patriottico-nazionalista, il
gusto della storia intesa come definizione di una tradizione civile
e culturale, la ricerca di una letteratura popolare che collaborasse
alla formazione del cittadino e al suo progresso economico sociale
e spirituale: da una parte il fervido apostolato laico di Mazzini,
dall'altro il pragmatismo cattolico-liberale di Gioberti e dei
collaboratori di «Antologia», la rivista fiorentina di Vieusseux.
*De Sanctis individua nei "Promessi sposi" di Manzoni, che con
la "Lettera a Mr Chauvet" e la lettera "Sul romanticismo" aveva
argomentato i princì pi della sua poetica romanticista,
l'accordo tra "ideale" e "reale", che avrà conseguenze
durature nell'estetica italiana.
Di fatto le cose migliori del romanticismo italiano provennero
dal realismo: da Manzoni all'autobiografismo psicologico di Nievo,
dagli storici ai memorialisti, e con il realismo dialettale di
Porta e Belli. Il resto della produzione letteraria romanticista
italica è mediocre, non va oltre il pedagogismo di
Niccolò Tommaseo, Silvio Pellico,
Luigi Settembrini,
Massimo D'Azeglio. Si tratta di personaggi sostanzialmente
di destra o moderati, che non a caso furono poi esaltati e passarono
alla storia sotto la successiva cultura monarchica unitaria. Le
cose migliori da essi scritti riguardano soprattutto memorialistica,
anche se le loro opere di fiction ebbero allora molta popolarità.
Di successo, ma non più letti oltre la loro epoca, i romanzi
storici di Tommaso Grossi,
Cesare Cantù, Francesco D.
Guerrazzi.
Alessandro Manzoni (Milano 1785\1873),
apparteneva a una agiata famiglia lombarda. Dopo un apprendistato
illuminista e neoclassicista, a Paris dove si trasferisce nel
1805 si apre a idee più europee. Frequenta il salotto di
Sophie de Condorcet - con P.J.G. Cabanis, A.L.C. Destutt de Tracy,
C. Fauriel -. Si converte al cattolicesimo e torna a Milano. Scrive
"Inni sacri", versi di fiancheggiamento e appoggio alle lotte
nazionalistiche italiane, e il romanzo storico "I promessi sposi"
che segna una tappa basilare nella storia della letteratura e
della lingua italiana. Attenzione verso gli «umili», la gente
connotata classisticamente in posizione subordinata rispetto alla
stessa classe di appartenenza degli intellettuali, e attenzione
verso la storia, e le matrici storiche dei problemi che interessano
il presente. Ciò è evidente nelle operazioni letterarie
di Manzoni, soprattutto con "I promessi sposi". L'attenzione verso
gli "umili" in lui ha una matrice cattolica e pietistica, e tuttavia
si pone certamente in contrapposizione al cattolicesimo ufficiale
e dominante in Italia in quel periodo e dopo. Mentre la sua attenzione
per la storia serve interessi propri al problema nazionalistico
italiano dell'epoca -la penisola suddivisa in una serie di stati
che esprimevano autonome classi dirigenti e gruppi di intellettuali
(per cui fino ad allora non ha molto senso parlare di "letteratura
italiana" unitaria), ma a fronte di un movimento promulgato da
élites borghesi e aristocratiche propugnanti una unificazione
contrapposta ad altre é lites borghesi e aristocratiche-.
E del problema "nazionale" è evidente in Manzoni soprattutto
sul piano del problema linguistico, con la sua scelta di uso non
della lingua milanese o lombarda, ma del toscano quale modello
cui riferirsi "per tutti". Quello di Manzoni è un romanzo,
genere romanticista per eccellenza, così variamente coraggioso,
scritto da un intellettuale cresciuto in ambiente illuministico
e da questo distaccatosi. Certamente, Manzoni poteva permettersi
il lusso di scrivere un romanzo come "I promessi sposi", non era
uno spiantato che vivesse di quello che riusciva a fare con la
scrittura. Ma è anche vero che altri intellettuali, appartenenti
alla stessa classe sociale cui apparteneva Manzoni non hanno tentato
ciò che Manzoni ha tentato.
Il maggiore esito dopo il romanzo storico di Manzoni, si ha con
l'opera di Ippolito Nievo. Mentre il
romanzo a sfondo sociale di Paolo Emiliani
Giudici rimane opera eccentrica anche nell'ambito della produzione
dello scrittore siciliano.
Produzione lirica romanticista
Al romanticismo appartiene la poesia di
Giovanni Berchet, oggi pressocché illeggibile, che
ebbe una sua funzione nel clima dell'indipendentismo nazionalistico
italico. In campo poetico le cose migliori sono scritte nelle
lingue regionali: il milanese di Carlo
Porta e soprattutto il romano Giuseppe
Gioachino Belli (1791\1863) che ha scritto tra le cose più
vive della letteratura di tutti i tempi.
Saggistica italiana
Forse le cose più durevoli del neoclassicismo si ebbero
con la nuova polemica sulla questione della lingua. I neoclassicisti
sono contro il liberismo linguistico del secolo precedente (Monti,
e il genero Antonio Perticari), giungendo
a posizioni anche dogmatiche e rigidamente puriste (Antonio
Cesari): sono posizioni che portano al nazionalismo linguistico.
La polemica non era oziosa, se si pensa che da una parte era un
movimento eterogeneo che puntava a riorganizzare la cultura e
la letteratura italiche secondo una prospettiva nazionalista unitaria,
e che quindi avvertiva l'esigenza anche di una lingua più
unitaria e comune degli italiani; mentre dall'altra la diffusione
dell'illuminismo aveva portato a modificazioni fonetiche morfologiche
e sintattiche oltre che lessicali, della lingua letteraria tradizionale
ad opera della lingua francese. La polemica nasceva da un problema
sentito come reale, ma al problema si davano risposte e si proponevano
soluzioni diverse, sulla base di una certa eterogenità
di posizioni e di ambiti culturali. Nella polemica così
si inserì anche il milanese Carlo Porta in difesa della
lingua lombardo-milanese e in genere delle lingue regionali; mentre
Pietro Giordani pose il problema della necessità di una
lingua di comunicazione che facesse superare le frammentazioni
regionali. Almeno per il primo trentennio del secolo il panorama
culturale italico vive il confronto tra le posizioni diverse e
opposte di classicisti e romanticisti, con una certa preminenza
dei primi, che da una parte nelle frange più conservatrici
e di destra mantengono il potere nei centri culturali (accademie,
università, istituti sovvenzionati dai governi); mentre
frange classiciste cercano di rinnovarsi adeguandosi a discorsi
nuovi, persino politici e cautamente democratici, e continuando
il discorso degli intellettuali illuministi. Da queste frange
di sinistra provengono quelli che oggi sono considerati gli intellettuali
migliori, capaci di influire con i loro scritti anche sulle successive
generazioni - specie quando il romanticismo troverà la
sua sistemazione nell'ufficialità del nuovo regno unitario
italico, nella seconda metà del secolo. Tra gli intellettuali
classicisti ma 'eretici' rispetto al conservazionismo reazionario
tipico delle classi dominanti, è
Pietro Giordani. Con Carlo Botta ,
e con Pietro Colletta siamo già
in clima e uso romanticista. Intorno alla metà del secolo
cominciano a affermarsi correnti storiciste più mature,
superando le idee estetiche ancora settecentesche: è il
caso di un Paolo Emiliani-Giudici.
Strettamente intrecciati ai problemi politici nazionalistici sono
Giuseppe Mazzini,
Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo,
che indirizzano la ricerca culturale, in campo storico e della
critica, verso i temi dell'identità nazionale unitaria.
Essi indicano con la loro vita e con la loro azione politica tre
diverse strade, proprie di tre culture possibili nell'eterogenità(e
ricchezza) del laboratorio italico del tempo: tre possibili vie
che la lotta politica del tempo pose tra gli scarti.
Ottocento
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