Giacomo
Leopardi
Giacomo Leopardi
1) Notizie biografiche
Nacque a Recanati [Macerata] nel 1798, primogenito
del conte Monaldo Leopardi e di Adelaide Antici discendente di
una famiglia di marchesi. Crebbe in un ambiente retrivo e ipercattolico.
Ricevette la prima educazione dal padre, che aveva interessi letterari
e eruditi e aveva messo sù una notevole biblioteca privata,
e da precettori ecclesiastici. Soprattutto però studiò
in proprio, servendosi della biblioteca paterna, perfezionandosi
in latino, imparando da solo il greco, l'ebraico e alcune lingue
contemporanee. L'isolamento di quegli anni acuì la sua
sen- sibilità ma anche l'impreparazione rispetto alla vita,
rendendogli più penoso il passaggio dall'adolescenza al
mondo adulto.
Nel 1816 un primo maturarsi di Leopardi, l'amicizia con Pietro
Giordani. Compie la sua prima gita da solo nel 1818, a Macerata,
in compagnia di Giordani. Si innamora segretamente della cugina,
Geltrude Cassi Lazzari. Progetta una fuga da Recanati. Il tentativo
sventato lo porta a una grave depressione, tanto più che
una malattia agli occhi gli rese penoso lo studio.
Nel 1822 ebbe dalla famiglia il permesso di recarsi a Roma, dove
co- nobbe tra l'altro il famoso filologo B.G. Niebuhr. La città
lo deluse, e lui si sentì inetto ai rapporti mondani. Tornò
a Recanati, tornando a scrivere e studiare.
Nel 1825 accettò la proposta dell'editore Stella di curare
una edizione di classici. Partì per Milano. Qui conobbe
Monti e l'abate Cesari. Si trasferì poi a Bologna, dove
conobbe il conte Carlo Pepoli; si innamorò , non corrisposto,
della contessa Teresa Carniani Malvezzi. Dopo un terzo soggiorno
a Recanati, si trasferì nel 1827 a Firenze dove fece conoscenza
con Vieusseux, Niccolini, Colletta, Tommaseo, Manzoni. Fu a Pisa.
Poi di nuovo a Recanati (1828-1830).
Nel 1830 grazie soprattutto all'aiuto di Colletta e di altri amici
toscani, Leopardi potè tornare a Firenze. ha un amorazzo
sfortunato per Fanny Targioni Tozzetti. Fa amicizia con Antonio
Ranieri, un esule napoletano. Con lui nel 1833 si trasferisce
a Napoli dove vive gli ultimi dolorosi anni. Nel giugno 1837 muore
per l'aggravarsi dei mali (idropisia, asma) di cui da tempo soffriva,
a causa di un collasso cardiaco.
2) Opere giovanili
Al periodo di formazione (1808-1816) risalgono
le sue versioni di Esiodus, degli "Idilli" di Mosco, del primo
libro dell'"Odissea", della "Batracomiomachia".
Scrisse anche rime bernesche, due tragedie, poemetti biblici,
dissertazioni filosofiche. Opere erudite come la "Storia dell'a
stronomia" (1813), e il "Saggio sopra gli errori popolari degli
antichi" (1815) curioso elenco di superstizioni. Nel 1816 compose
alcuni abili calchi della poesia antica, l'Inno a Nettuno e le
Odae adespotae.
Sono opere che rivelano la sua educazione illuministica, e la
passione profonda per le «favole antiche». Sono opere scolastiche,
ma in cui sono presenti alcuni elementi (temi, atteggiamenti)
che saranno del Leopardi maturo.
Del 1816 è la prima poesia originale,
L'appressamento della morte, piena di reminiscenze alighieriane
e petrarchesche, ma con il tema già leopardiano del rimpianto
per la giovinezza spenta. Intorno al 1816 si colloca la prima
«conversione letteraria» del giovane Leopardi, con il «passaggio
dall'erudizione al bello», cioè a un nuovo livello di apprezzamento
dei valori poetici. Non secondario nel mutamento intellettuale
di Leopardi è l'amicizia e gli incoraggiamenti avuti da
Pietro Giordani. Nel periodo di invaghimento per la cugina Geltrude
Cassi Lazzari, scrive la pateticissima lirica Il primo amore,
e un Diario d'amore in cui fa un esame attento dei sentimenti
che l'evento gli ha derivato inte riormente.
3) Il pessimismo: la colpa è del progresso
Gli anni 1817-1818 sono intensi, Leopardi
tenta varie strade. Si volge alla poesia patriottica, scrivendo
con spiriti liberali le canzoni All'Italia e Sopra il
monumento di Dante. Soprattutto soffre l'ambiente del paese
come una prigione: lucido esame di coscienza della sua situazione
è la lettera al padre con cui ri vela i motivi della (tentata)
fuga.
Sono gli anni in cui elabora una concezione
dolorosamente pes simistica del reale, che si farà sempre
più realistica e coscien te, che Leopardi affidò
soprattutto allo Zibaldone, ampia raccolta di ragionamenti
e note filosofiche, psicologiche, letterarie, scritti nel 1817-1832,
e soprattutto nel periodo 1820-1826. Leo pardi contrappone l'innocente
e sereno stato di natura alla ci viltà, condizione che
ha reso l'uomo raziocinante ma anche infe lice.
Sul piano della poetica questo si traduce in un antiaccademico
recupero del classicismo, mirante a attingere una remota antichi
tà non ancora contaminata dal progresso e dal filosofeggiare
del l'uomo. Intorno al 1820 Leopardi giungerà alla constatazione
che è impossibile realizzare in tempi moderni una poesia
basata sulla creazione di immagini («poesia immaginativa»), restando
possibile solo una «poesia sentimentale» volta alla riflessione
e all'ana lisi degli stati d'animo. Rousseaunismo e alfierismo
convergono in questa concezione, che Leopardi esemplificò
in due articoli di polemica anti-romanticista che scrisse nel
1816-1818 e che rima sero inediti: "Lettera ai Sigg. compilatori
della 'Biblioteca italiana'", e "Discorso di un italiano intorno
alla poesia roman tica".
Intorno al 1824 è il "Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl'Italiani", pamphlet morale-civile su una nazione
senza Stato, su un popolo che possiede «piuttosto usanze e abitudini
che costumi».
A questa riflessione teorica corrispondono
le realizzazioni poetiche di quegli anni. Nel 1819-1821 Leopardi
compose i primi idilli: L'infinito, La sera del dì
di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria.
E' un gruppo di liriche in cui gli oggetti e i paesaggi assumono
una ampia riso- nanza sentimentale. Dominano i toni della evocazione
e della memoria. Il dolore per il cadere delle dolci speranze
e per l'inesorabile trascorrere del tempo si sublima nella composta
contemplazione di una immensa natura onnicomprensiva.
Parallelamente, nel 1820-1822 sono alcune canzoni: Ad Angelo
Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore
nel pallone, Bruto minore, Alla primavera o delle
favole antiche, Ultimo canto di Saffo. Nota saliente
è un eroismo antagonistico, volto soprattutto contro la
tirannia del destino, contro oppressive e disumane leggi uni-
versali.
Al ritorno da Roma scrisse, oltre a un gran
numero di pagine dello "Zibaldone", l'Inno ai patriarchi
e la canzone Alla sua donna, in cui la figura femminile
oggetto del canto appare come sogno evanescente, irraggiungibile
ideale. A questo periodo risa le anche la maggior parte delle
Operette morali.
4) Le "Operette morali"
Le Operette morali sono dialoghi e
prose filosofiche. leopardi attribuisce ancora in parte l'infelicità
umana al distacco dalla natura. Ma, adottando posizioni sensistiche,
la considera soprat tutto conseguenza della costituzionale fugacità
del piacere. Il discorso è lento, distaccato, stilizzatissimo.
Affronta con tono iro- nico-fantastico i miti del suo pensiero:
la natura e la morte, il piacere e il dolore, la felicità
e la noia ecc.
Il Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, il Dialogo
di un folletto e di uno gnomo, il Dialogo della Natura e di un'anima,
il Dialogo della Natura e di un islandese, il Dialogo di Federico
Ruysch e delle sue mummie, il Dialogo di Cristoforo Colombo e
di Pietro Gutierrez, sono tra le cose migliori della prosa leopardiana:
biz- zarra come nella tradizione dei dialoghi morali, ma anche
cadenzata con lirica intensità.
5) Il pessimismo: la colpa è di Natura
Per l'editore Stella, Leopardi cura una edizione
commentata del "Canzoniere" di Petrarca. Scrive l'epistola Al
conte Carlo Pepoli. Soprattutto, nel periodo 1825-1827, appro-
fondisce la sua concezione materialistica del mondo. Rovescia
alcune delle premesse iniziali, identifica nella natura, intesa
come materia in perenne inesorabile trasformazione che garantisce
il perpetuarsi della specie solo attraverso il sacrificio dei
singoli individui, la causa prima dell'infelicità dell'uomo.
Interrompendo il silenzio poetico, al periodo pisano appartengono
i canti Il risorgimento e A Silvia (1828). Al ritorno
recanatino risalgono gli idilli: Le ricordanze, Il passero
solitario, La quiete dopo la tempesta, Il sabato
del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante
dell'Asia. In queste liriche agli accenti prometeici si sono
sosti- tuiti il senso di un universale dolore e una pietà
verso tutti i viventi, sia eroi che umili, tutti ugualmente illusi
dalla Natura matrigna nei loro giovanili sogni di felicità,
e da essa tutti egualmente ingannati e tra- volti.
6) Ultime opere
L'amore fiorentino per Fanny Targioni Tozzetti
gli ispira intorno al 1830- 1833 cinque poesie: Il pensiero
dominante, Amore e morte, Consalvo, A sè
stesso, Aspasia (scritta quando ormai era già
a Napoli).
Nel 1831 Leopardi cura la prima edizione dei propri Canti
(la seconda edizione uscirà nel 1835).
Al periodo napoletano risalgono oltre al "Dialogo di Tristano
e di un amico", il poemetto eroicomico in ottave Paralipomeni
della Ba- tracomiomachia, e le ultime liriche: oltre a "Aspasia",
Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, Sopra il ritratto
di una bella donna, Palinodia al marchese Gino Capponi,
I nuovi credenti, La ginestra, Il tramonto della
luna.
L'estrema produzione poetica di Leopardi alterna al motivo del
rimpianto per le speranze troppo presto distrutte, quello della
polemica ideologica contro il facile ottimismo dei liberali mode
rati legati a una idea semplicistica del progresso. Egli sottoli
nea la necessità che tutti gli uomini ripudino ogni superficiale
mito consolatorio, e si uniscano invece fraternamente e coraggio
samente per meglio fronteggiare il cieco dispotismo di Natura.
7) la solitudine anti-reazionaria
L'indagine critica su Leopardi ha sofferto
a lungo della sepa razione fatta tra il pensatore e il lirico,
tra il pessimismo ma terialistico e l'altissima pacata poesia.
E' una separazione pre sente anche nel fondamentale studio di
*De Sanctis, ma soprattutto nel saggio di *Croce. Con il saggio
dedicato a Leopardi nel 1937 da *De Robertis si ebbe, oltre che
una attenta e suggestiva rilettura delle componenti linguistico-musicali,
una rivalutazione delle "Operette morali". A partire dal 1947
si è avuta una rivalutazione anche del pensiero leopardiano,
grazie a *Luporini.
L'originalità della poetica del Leopardi
maggiore nasce dalla coloritura romanticista che dà a una
materialistica, e tutta illuministica, cer- tezza: il divenire,
moto inesausto delle cose che cancella infanzia, gio- vinezza,
affetti, bellezza, gloria, virtù , poesia, ogni più
alto valore. L'uomo scopre questo acerbo vero grazie alla ragione,
ma chiude gli occhi per viltà , e si adatta per convenienza
alla tranquilla mediocrità del quotidiano. L'uomo autentico
e «di genio» guarda fisso il desolato nulla che gli si apre davanti
e vive fino in fondo, senza religiose consolazioni, la propria
infelicità.
Questo romantico, antiprosaico, antimetafisico «stare nella disperazione»
non è condizione immobile e monocorde: comporta un complesso
processo psicologico. Da una parte significa resuscita re e auscultare
le ragioni del cuore, la letizia dell'adolescen za, l'amore, le
fantasie più vaghe. Dall'altra significa ricono scere la
loro caducità e infondatezza, che dilatano il senso e il
fascino di quelle chimere.
In coerenza con questa intima disposizione, Leopardi si allontanò
dagli esempi arcadici e montiani che avevano concorso alla sua
prima formazione letteraria. Abbandonò le poetiche di Gravina
e di Cesarotti. Si accostò alle teorizzazioni di Schiller,
degli Schlegel, e di Staë l. Leopardi volle ela- borare una
poesia che non fosse mera rappresentazione, puramente e innocentemente
descrittiva, ma una poesia patetica che muovesse dalla consapevolezza
filosofica della squallida realtà della vita e si ali-
mentasse sia di sentimenti che di pensieri. Accolse del romanticismo
la proposta lirica e mirò non a «imitare» ma a «cantare»:
a esprimere non belle forme ma i tristi e cari moti del cuore.
In tale contesto la componente concettuale non si perde ma fa
da controcanto al gentile immaginare, al configurarsi dei ricordi,
all'accendersi degli affetti che si dispiega spesso nei vocativi.
Nella mente del poeta appaiono sempre insieme, e necessari a livello
espressivo, il bello e il vero, i miti dell'esistenza e il loro
inevitabile negarsi.
Esistono così due tensioni diverse: il momento della meditazione
e quello della illusione o della rimembranza, e l'accento cade
ora più sull'una ora più sull'altra, ma non si tratta
di due poli lontani. Sono in- trecciati sintatticamente, e mediati
dal poeta attraverso la sua voce libe- ramente commossa, ora distesa,
ora spezzata, ora inarcantesi in interro- gativi senza risposta.
Ma sempre lontana dalle intemperanze fantasti- che o emotive,
o da troppo analitiche e pesanti definizioni razionali.
Significativo il distacco progressivo di
Leopardi dalle forme metriche chiuse: ricorre all'endecasillabo
sciolto o usa lo schema della can- zone petrarchesca con grande
libertà, fino a trasformarlo in un reci- tativo di endecasillabi
e settenari che si alternano, ora rimati ora no, e riuniti in
strofe di diversa lunghezza. Anche per il continuo muta- re del
rapporto tra unità sintattiche e unità metriche,
ne deriva una scrittura poetica originalissima, fondata sulla
modifica, violazione della tradizione, dall'interno.
Anche la lingua poetica di Leopardi poggia
in buona parte su vocaboli logorati da un lungo impiego letterario,
ma trasfigurati dalla specifica cadenza del canto o dalla contiguità
di altre parole, più dimesse e quotidiane. In ogni caso
sempre carichi di echi, di sensi non detti. Es- sendo soprattutto
moto interiore e confessione, la lirica leopardiana degli idilli
appare povera di particolari, si fonda su un vocabolario ri- stretto,
evita ogni immagine troppo corposa e precisa che fisserebbe in
modo icastico e quindi tradirebbe l'infinito e/o indefinibile
errare dell'anima. In alcune canzoni, e soprattutto nelle composizioni
degli ultimi anni, la poesia si manifesta in forma anche diversa:
attraverso uno stile teso e eloquente, energico e senza tenerezze,
con aper ture satiriche, esortatorie, 'profetiche' di notevole
intensità.
Bibliografia: Giacomo Leopardi
Storia dell'astronomia (1813)
Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815)
Inno a Nettuno (1816)
Odae adespotae (1816)
L'appressamento della morte (1816)
Il primo amore
Diario d'amore
All'Italia (1816)
Sopra il monumento di Dante (1817)
Lettera ai Sigg. compilatori della 'Biblioteca italiana'
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica
Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani
L'infinito
La sera del dì di festa
Alla luna
Il sogno
La vita solitaria
Ad Angelo Mai
Nelle nozze della sorella Paolina
A un vincitore nel pallone
Bruto minore
Alla primavera o delle favole antiche
Ultimo canto di Saffo
Inno ai patriarchi
Alla sua donna
Operette morali
Al conte Carlo Pepoli
Il risorgimento (1828)
A Silvia (1828)
Le ricordanze
Il passero solitario
La quiete dopo la tempesta
Il sabato del villaggio
Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia
Il pensiero dominante
Amore e morte
Consalvo
A sé stesso
Aspasia
Canti (1831, 1 ediz.)
Canti (1835, 2 ediz.)
Paralipomeni della Batracomiomachia Sopra un bassorilievo antico
sepolcrale
Sopra il ritratto di una bella donna
Palinodia al marchese Gino Capponi
I nuovi credenti
La ginestra
Il tramonto della luna
Zibaldone
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