Silvio
Pellico
Silvio Pellico
Silvio Pellico nacque a Saluzzo nel 1789 (morì
a Torino nel 1854). Completò i suoi studi a Lione, presso
un ricco paren- te, acquistando una buona cultura francese. Si
stabilì poi a Milano, dove fu amico di Foscolo, Monti e
di altri letterati italiani, entrando in contatto anche con gli
intellettuali europei di passaggio: Madame de Staë l, Stendhal,
Byron, August Schlegel, Hobhouse. ottenne un trionfo con la Francesca
da Rimini, rappresentata nel 1815 da Carlotta Marchionni. Inseritosi
nei circoli ro manticisti, precettore in casa del conte Porro
Lambertenghi, fu uno dei più assidui collaboratori de «Il
Conciliatore» (1818-1819). Intro- dotto nella carboneria da Maroncelli,
il 13 ottobre 1820 fu arrestato e poi condannato a morte. La pena
gli fu commu tata in 15 anni di carcere duro, da scontare nella
fortezza dello Spielberg [Moravia]. Nel 1830 fu graziato e tornò
a Torino. Qui visse come bibliotecario dei marchesi di Barolo,
adeguandosi alla mentalità reazionaria e bigotta dell'ambiente.
Riprese l'attività letteraria, scrisse tragedie come
Ester d'Engaddi (1830), Gismonda da Mendrisio (1834),
Leoniero da Dertona (1834) ecc., oltre a cantiche di argomento
medioevale, liriche religiose e il trattato morale "I doveri degli
uomini" (1834).
Nella canonizzazione successiva, il suo nome resta legato a "Le
mie prigioni" (1832), libro di memorie in cui rievoca le esperienze
in carce- re. Ebbe un enorme successo, spiacque sia agli austriaci
che lo conside- ravano testo di propaganda nazionalista italica,
sia ai liberali che vi ve- devano un eccesso di spirito rinunciatario.
L'intento di Pellico non era quello di fare opera di propaganda.
La sua ispirazione era intimista e religiosa (si vedano anche
le sue "Lettere milanesi" del 1815-1821, pubblicate solo nel 1963).
Il libro possiede vivaci spunti narrativi, me- ditazioni religiose,
ritratti gentili e patetici sullo sfondo di una lotta interiore
che si conclude con il perdono cristiano (cattolico).
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