Globalizzati
o localizzati?
Globalizzati o localizzati? L'orizzonte letterario
dopo il 1989
Per chi fa storia, è piuttosto difficile tentare
una analisi della contemporaneità. Naturalmente occorre
tentare, e tutti i tentativi sono sempre onorevoli. Chi
scrive ci prova sempre, ma nel proprio fondo sa che si tratta
di un tentativo destinato al fallimento. Siamo troppo dentro
alle cose che accadono per vederle veramente. Ciò
che possiamo fare è segnalare ciò che la cronaca
sembra suggerirci, rendere il grado emozionale della cronaca.
Lasciamo documenti per storici futuri.
Cosa ci consegna la contemporaneità? Dopo il 1989
si avverte la consapevolezza (sbagliata o giusta che sia)
che un'epoca della storia - quella della "guerra fredda"
e dei movimenti collettivi degli anni Sessanta e Settanta
- è chiusa. Il dominio imperfetto di un'unica potenza,
quella degli Stati Uniti d'America, sembra aver lasciato
un mondo più frammentato, in cui i conflitti regionali
riesplodono. Le guerre etniche e di religione tornano con
nuova enfasi sui mass media. L'Europa tenta il cammino dell'unione
economica e politica, mentre la guerra civile in Jugoslavia
fa riapparire l'incubo delle guerre di religione e della
"pulizia etnica". Conquiste civili che sembravano
date "una volta per tutte" nella parte che si
riteneva "più civile" dell'Europa tronano
a essere messi in discussione.
Negli anni Novanta appare un nuovo termine, quello di
"globalizzazione" contrapposto a movimenti e moventi
"localistici". Le vecchie categorie di destra
e di sinistra, progressista e regressista sono rimessi in
discussione. "Globalizzazione" sembra equivalere
a "americanizzazione", e corrisponde alle linee
ideologiche - di stampo "liberista" - che punta
al mercato quale unico spazio possibile delle forze sociali.
Contro la "globalizzazione" tentano la resistenza
i più diversi spiriti "localistici" che
puntano ai valori della diversità, e del "luogo",
dell'identità e di forme della "tradizione"
per contrastare il livellamento operato dai nuovi padroni
del mondo - politici ed economici. Un movimento "no-global"
prende corpo alla fine degli anni Novanta, ereditando spiriti
libertari presenti nei movimenti extra-comunisti degli anni
Sessanta. Quanta durata e quale evoluzione prenderà
questa storia, è troppo presto per dirlo.
In campo letterario, l'Europa sembra subire il predominio
dell'immaginario e produttivo degli Stati Uniti. Ciò
è evidente soprattutto in campo cinematografico ma
non solo. Le "scuole nazionali" - come quella
francese, inglese, italiana
ecc. -, non sembrano capaci di andare oltre qualche singolo
caso: singole opere che non cambiano quella dominanza, testimoniano
di qualcosa che vive come recessivo. La "cultura internazionale",
quella che decreta il valore di un autore o di un'opera
al di là delle frontiere editoriali nazionali, ha
i suoi centri negli Stati Uniti e a London: le altre capitali
europee (compresa Paris - che aveva avuto questo ruolo tra
la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento - e Berlin)
vivono piuttosto di riflesso.
L'attualità alimenta le tematiche dei nuovi autori:
l'insorgenza dei nazionalismi e degli scontri etnici, la
questione dell'identità in città pluri-etniche
e che tentano la difficile convivenza di nuovi emigrati
e vecchi tribalismi; le tematiche sessuali e legate al gender;
le nuove tecnologie e il mutamento "genetico"
che sembrano apportare (cyberpunk);
le sofferenze dei mutamenti sociali e dello smantellamento
dello Stato sociale ecc.
In Francia la belga Amélie
Nothomb dà un gusto umoristico alla disappartenenza
cosmopolita; Daniel Pennac
vive una Francia multietnica non ancora toccata dal fondamentalismo.
Al noir di humus marsigliese si dedica Jean
Claude Izzo. Successo teatrale ha Eric-Emmanuel
Schmitt.
Il Belgio conosce da una parte il prestigio di essere
sede di alcune delle istituzioni della nuova Unione Europea.
Dall'altro vive la divisione tra le etnie francofile e fiamminghe.
Tra gli autori belghi che hanno fatto sentire la loro voce
in Europa: Eric de Kuyper.
Nella penisola iberica accanto a una certa rinascita della
cultura di lingua spagnola, è il fiorire delle letterature
regionali e soprattutto di quelle che vantano una tradizione
linguistica e culturale autonome: la Catalogna (si pensi
a un autore come Manuel
Vásquez Montalbán, o a Alicia
Giménez-Bartlett), i Paesi Baschi (Joseba
Sarrionandia Uribelarrea, Edorta
J. Ormaetxea) ecc.
In Svezia i romanzi di ambiente marinaro di Björn
Larsson, e quelli che uniscono scienza bibbia e leggende
popolari di Peter Nilson.
Un certo successo ha Mikael Niemi,
interessante Ulf Peter Hallberg.
Negli anni Ottanta raggiunge la notorietà Torgny
Lindgren.
In Olanda è interessante il caso di Kader
Abdolah, iraniano ch immigrato per ragioni politiche
in Olanda, sceglie l'olandese come sua lingua d'espressione.
La distruzione della Jugoslavia, ha separato - sembra
definitivamente - le letterature di questa regione. Dalle
macerie della guerra, emergono poche figure di scrittori:
si segnala il croato Dubravko
Pusek.
Anche le letterature nazionali dei paesi prima facenti
parti dell'URSS, si avviano verso la definizione di una
propria strada autonoma, avendo ora come mercato di riferimento
- oltre a quello regionale -, l'Unione Europea.
Tra le letterature dei paesi baltici: in Estonia si segnala
Emile Tode.
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