A volte il lettore può disorientarsi di fronte a un reale
"aggredito" e "divorato" in tutte le sue
forme, apparentemente senza parametri di scelta o moventi
consapevoli.
Bologna. Su questa piazza, la grande Piazza
Maggiore, la piazza cantata dai nostri migliori cantautori
degli anni settanta, la piazza di Francesco Guccini, di Lucio
Dalla, di Claudio Lolli, la piazza del grande cuore emiliano
celebrato da Dino Sarti, la piazza che ha visto le contestazioni
del 1977, le cerimonie incredule e stupite, e rabbiosamente
sgomente dopo le stragi dell'Italicus, l'esplosione della
stazione, dopo il massacro sul rapido 904, la piazza dei raduni
e delle sagre di paese, la piazza delle sfilate di moda organizzate
da Vittoria Cappelli, la piazza dei saltatori d'asta e dei
meeting sportivi, la grande piazza bolognese che, in certi
momenti di strazio o di gioia, è diventata la piazza dell'Italia
intera; bene, su questa piazza, oggi non sembra succedere
alcunché
[1] .207
La descrizione di Piazza Maggiore può essere assunta come
simbolo del patrimonio letterario e ideologico di Tondelli;
l'aspetto più evidente è, senza dubbio, lo stridente accostamento
di vicende ed esperienze così diverse tra loro; le stragi
dell'Italicus accanto alle sagre di paese; le sfilate di moda
vicino al massacro del rapido 909. Una realtà che appare caotica
e contraddittoria, arbitrariamente ordinata da un soggetto
(l'autore) curioso, intraprendente, impegnato, non meno che
irriverente e dissacrante
[2] ; è lecito omologare, banalizzare in virtù
di un gusto letterario spregiudicato e vorace, esperienze
tanto profonde di gioia e di dolore? Certamente una lettura
superficiale, o addirittura "benpensante" ci restituisce
solo un cocktail mondano, perfino fastidioso, una congerie
di fatti senza una precisa chiave interpretativa.
È bene invece soffermarsi e chiedersi che cosa spinga Tondelli
ad assemblare un dissimile così estremo, e quale sia il filo
conduttore che sottende a una tale visione del reale. E si
vedrà come lo scrittore comunichi una prepotente "voglia
di esserci": un'inesauribile, "estremo" desiderio
di vita; un entusiasmo sentimentale e fanciullesco; un ottimismo
che stride, ma dilaga nelle pieghe di una realtà spesso anche
dura e abietta; la curiosità, lo stupore per il variopinto
mondo giovanile.
Il tratto caratteristico del 'postmoderno di
mezzo' risiede dunque nel vorticoso missaggio di tutti i look
preesistenti e nel trovare proprio nelle sovrapposizioni nuovi
stimoli estetici.
[3]
E ancora:
Tutto ormai coesiste: dall'esuberanza estetizzante
del new romantic, anch'esso già citazione di se stesso, all'ossessione
paranoica degli skin, passando attraverso tutte le irrequietezze
dei ragazzi di colore di Brixton, dei rasta, dei mod, dei
blouson noir, degli ska, dei gay e dei freak che loro sì non
sono ancora morti.
[4]
È impossibile non affrontare l'argomento del "postmoderno",
in una narrativa talmente compromessa con la contemporaneità
e così desiderosa di testimoniare l'esistenza delle diverse
realtà giovanili.
Quei "reportage" che in Un weekend postmoderno
ricevono un autonomo spazio e un'accurata trattazione, costituiscono
infatti il materiale principale su cui si fondano i romanzi
stessi, dove l'io dell'autore pone continuamente in relazione
con l'esterno discorsi individuali, riuscendo nello stesso
tempo a cogliere con libertà e chiarezza alcune delle caratteristiche
linee di tendenza degli anni Ottanta.
L'autore stesso, nella conversazione con Fulvio Panzeri,
più volte citata, si dilunga essenzialmente sull'effervescenza
di quel periodo, in contrapposizione alla pesantezza e all'opprimente
collettivismo degli anni Settanta, in cui la voglia di autodistruzione
come mito alternativo
[5] finiva con il bruciare, anziché valorizzare,
le giovani individualità creative. Con il venir meno, infatti,
di rigidi parametri politici, ideologici e artistici cui uniformarsi,
è avvenuta quella che l'autore stesso definisce la grande
liberazione [6] , che ha messo in luce alcuni caratteri del "postmoderno":
una corrente che si potrebbe definire anche
estetica, che ha fatto della citazione e della riproposizione
degli stili del passato la sua forza [7] . Ma è tutto citato,
e se manca l'ironico viene a perdersi la sua prerogativa.
Sarebbe grottesco prendere il postmoderno con un atteggiamento
di estrema serietà. [8]
La contemporaneità, che questi reportage tondelliani descrivono,
è quella di una "fauna giovanile" estremamente mondana
e multiforme, pienamente a suo agio con tutto ciò che è mischiato,
sovrapposto, confuso. Ma il mischiare, il citare e il confondere,
una volta perduta la caratteristica di rottura rispetto agli
schematismi dell'epoca precedente, si svelano essere meri
travestimenti atti a camuffare, in realtà, una grande perdita
di senso,
come se non restasse altra via di sopravvivenza
allo sgretolarsi dei linguaggi e dei discorsi che la regressione
a un gran serraglio balbuziente. [9]
L'esuberanza generazionale corre però il rischio di rivelarsi
effimera ed illusoria nel momento in cui diviene fine a se
stessa ed evita di affrontare la difficoltà del rapporto umano
e dei legami affettivi. In Tondelli, tale molteplicità di
ruoli, stimoli e proposte evita di apparire come una fredda
e alla fin fine vuota rassegna dell'espressività giovanile,
e assume le forme di un desiderio di socializzazione, un entusiasmo
di comunicare e condividere le proprie esperienze.
L'autore non sembra preoccuparsi dell'elevato rischio di
omologazione che si cela dietro il mondano disordine della
contemporaneità: sorvola con animo leggero e apparentemente
ingenuo la vacuità di alcune manifestazioni di quegli anni.
Ciò è possibile che avvenga perché forte è in lui la consapevolezza
del peso delle radici, di un legame con quella provincia emiliana
capace di innestare, sulle proprie tradizioni culturali, l'apertura
alla modernità. Tali radici contribuiscono alla strutturazione
dell'identità personale dei giovani e costituiscono di per
sé un mondo vitale, capace di salvaguardarsi dai meccanismi
accelerati di una società sempre più di massa, protesa verso
una mera consumazione di mode, linguaggi, simboli e riti.
I giovani di Modena, i ragazzi dell'Emilia,
in questo senso hanno mantenuto una loro identità, un codice
di comportamento che, pur sviluppandosi da radici contadine,
conserva le immagini della cultura dei padri innestandole
nel panorama della contemporaneità e quindi, in definitiva,
trapassa continuamente dalla provincia alla metropoli, in
un modo non conosciuto dai giovani di altre città italiane.
[10]
Contro la frammentazione degli atteggiamenti giovanili e
la conseguente costituzione di bande (dark, punk, rockabilly
ecc...), protagoniste dei carnevaleschi travestimenti degli
anni Ottanta, i giovani emiliani appaiono come una collettività
ricca di senso, di talento e, anche di forza
[11] , capace di fondare le caratteristiche delle
proprie radici nella contemporaneità e usufruendo dei cangianti
universi culturali, senza perdersi, né venirne travolti [12] . Avendo così le "spalle coperte", l'autore
può sbizzarrirsi nella celebrazione di questa società, divenuta
villaggio globale, dove ancora pare possibile però (almeno
per i giovani emiliani) conservare la propria individualità,
intrecciare relazioni, creare, esprimersi, riconoscere l'importanza
vitale dell'aggregazione: non è detto che ci si perda, quindi,
nei meandri del postmoderno.
Dunque l'interesse di Tondelli si scatena nei confronti
di quella "fauna giovanile" (come lui stesso ama
definirla) della quale elenca atteggiamenti, pose, comportamenti.
Verso i giovani degli anni Ottanta, l'atteggiamento di Tondelli
si rivela curioso e partecipato, soprattutto fiducioso nelle
capacità di una simile generazione, così cangiante e imprevedibile:
[...] saranno più new dandy, new
romantic o postmoderni?
[13]
E ancora:
Una generazione che, nell'impossibilità di offrire
a se stessa una ben precisa identità culturale (seguendo percorsi,
ponendosi obiettivi, rivalutando origini), ha preferito non
darsene alcuna, o meglio, mischiare i generi, le fonti culturali,
i padri putativi, fino ad arrivare alla compresenza degli
opposti. Una generazione, e ora lo si vede bene, in cui i
linguaggi si confondono e si sovrappongono, le citazioni si
sprecano, gli atteggiamenti e le mode si miscelano in un cocktail
gradevole e levigato che forse è il succo di questa tanto
chiacchierata postmodernità. [14]
Nel momento in cui viene a perdersi un concetto di norma
rispetto al quale deviare, e nel momento in cui manca una
consapevolezza del presente e quindi del passato, predomina
il rischio di cadere nell'impersonalità [15] e nell'omologazione o in un
prodotto culturale privo di sentimento e riproposto meccanicamente:
«La scomparsa del soggetto individuale, insieme alla conseguenza
che ne deriva sul piano della forma, la sparizione progressiva
dello stile personale, genera oggi la pratica quasi universale
di quello che si potrebbe chiamare pastiche» [16] .
Il postmoderno, con questo pastiche o patchwork o concitato
assemblaggio delle più disparate dominanti culturali, ha finito
per cancellare il confine tra cultura alta e commerciale di
massa: «Il postmoderno ha infatti subito tutto il fascino
di questo paesaggio 'degradato' di kitsch e scarti, di serial
televisivi e cultura da Reader's Digest, di pubblicità e motel,
di show televisivi, film hollywoodiani di serie B e della
cosiddetta paraletteratura con i suoi paperback da aeroporto,
divisi nelle categorie del gotico o del romanzo rosa, della
biografia romanzata e del giallo, della fantascienza e della
fantasy: materiali che nei prodotti postmoderni non vengono
semplicemente 'citati', come sarebbe potuto accadere in Joyce
o in Mahler, ma incorporati in tutta la loro sostanza» [17] .
Anche nella narrativa di Tondelli si assiste a una continua
commistione di "basso e alto" e a un incessante
avvicinamento, operato dal suo onnivoro immaginario culturale,
tra piani profondamente diversi tra loro. La realtà appartiene
così ad un "già visto", ad un mondo rassicurante
in quanto conosciuto, affascinante perché eroico. E così ai
giovani in osteria, sembra di essere davanti al focolare di
un film o di una luce di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio [18] , circondati da
tutta una luce alla Vittorio Storaro
[19] ; se un compagno di camerata sembra uscito
dalla penna di un caricaturista di freaks
[20] , un altro, malato e stanco, è scanzonatamente
descritto come
[...] bellissimo e sublime, tutto
un trip preraffaellita e parnassiano, tutta una bohème e un
preromantico, un look funereo e cimiteriale e sepolcrale. [21]
Rotundo, ragazzo povero e orfano, diviene
[...] personaggio così tipicamente
deamicisiano da risultare addirittura una macchietta caratteriale,
una psicologia burattina, un doppio letterario dell'inconscio
collettivo, quindi senza nemmeno la possibilità di essere
considerato individuo, ma solamente un déjà vu
[22] .
Questo continuo e divertente gioco della citazione, che
esprime la convivenza tipicamente postmoderna di elementi
distanti tra loro (quali Rotundo e lo scrostato inconscio
collettivo), permette di esulare da una consapevole presa
di coscienza della realtà. Questa, infatti, spesso dura e
deludente, risulta come "gonfiata" da un immaginario
grandioso che, in maniera spontanea e irridente, manipola
la realtà, ma in fondo, tramite il continuo gioco di rimandi,
finisce con il sottrarre senso e consistenza agli individui
e al loro stesso vissuto, mai soddisfacente e appagante di
per sé.
In mancanza di un'identità salda è necessario ancorarsi
ad un modello esterno, che risulti ovviamente il più soddisfacente
possibile, ma da cui alla fine il soggetto viene soffocato,
anziché rafforzato nella sua individualità; rimane inoltre
difficile affermare nuovi sentimenti e sensazioni, per il
rimando ad un fatale déjà vu, per l'insistente richiamo alla
categoria del "già conosciuto". Rodolfo, amico di
Leo, tenta di decifrare le caratteristiche di Thomas:
Un Chez Maxim's? No, no...
Spero non sia un wrong blond, ce lo auguriamo tutti dopo Hermann.
[...] Voglio sperare Leo che non si tratti di un Whitman.
Sei a Parigi per riciclarti un poco e non trovi niente di
meglio che cadere su un Whitman.
[23]
La figura di Thomas deve quindi lottare per coincidere con
se stessa e imporsi come entità individuale, sfuggendo a questo
"metodo" di rimandi, che, in nome di una forte e
subitanea definizione del suo oggetto, rischia di divenire
asfissiante e coercitivo.
Se Italo Calvino «interpreta il postmodernismo come la tendenza
a fare un uso ironico dell'immaginario dei mass media, oppure
a immettere il gusto del meraviglioso ereditato dalla tradizione
letteraria in meccanismi che ne accentuino l'estraneazione» [24] , in Tondelli,
più simile in questo a Spallanzani, la letteratura, il cinema,
la musica rappresentano gli elementi costitutivi di tale "realtà
multipla", indicando, per quel che riguarda i contenuti,
un rimando a un bagaglio non massificato, ma tipico di una
cultura giovanile medio-alta, riconducibile sia all'ambiente
bolognese che all'esperienza personale dell'autore
[25] . Lo stesso valga per lo stile: «Tondelli
non è uno scrittore 'selvaggio' e l'interesse del libro non
è solo documentario. Basta vedere la cura da castoro con cui
manipola e ricicla materiali lessicali attinti un po' dovunque:
pubblicità e fumetti, canzoni e radio, gerghi giovanili e
detriti del più 'cassato' parlar quotidiano. La virulenza
delle storie e il cromatismo linguistico non devono insomma
trarre in inganno: quella di Tondelli resta un'operazione
letteraria in cui il 'privato' è ben filtrato da una scaltra
attrezzeria» [26] . Se il linguaggio si presenta come un patchwork
pullulante di elementi dialettali, gergali e colloquiali o
contaminato dai media (dal cinema, dal fumetto, dal rock),
emerge comunque la figura ordinatrice di Tondelli, capace
di organizzare un materiale che potrebbe altrimenti essere
scambiato per una mera accozzaglia di diversi linguaggi e
orizzonti culturali. L'autore, quindi, attraversando trasversalmente
le caratteristiche della "postmodernità", riesce
a creare un linguaggio personale, idoneo a esprimere il suo
interiore cammino esistenziale (che culminerà nei tormentati
interrogativi di Camere Separate) innestato nella pulsante
dimensione della contemporaneità e del collettivo.
[1] Fauna d'arte, in Un weekend postmoderno,
cit., p. 223.
[2] Riemerge il desiderio di trovare un sentiero nel
labirinto dellesistenza (sulle orme del Calvino di
Il mare dell'oggettività del 1958 e La sfida al
labirinto del 1962, editi entrambi ; «Il menabò»), o
meglio di combinare gli elementi narrativi per costruire
un nuovo ordine, un labirinto si ma più umano (tema presente
in tutte le opere di Spallanzani).
[5] Fulvio Panzeri - Generoso Picone, Tondelli.
Il mestiere di scrittore, cit., p. 67.
[7] La citazione postmoderna che crea tensioni espressive
(diversamente dal gesto concettuale a-significante) trova
unanticipazione nella Libellula (69)
di Amelia Rosselli, che mira a dissolvere la categoria del
nuovo, dissoluzione propria del postmoderno (dove il nuovo
è ridotto a routine).
[9] Postmoderno di mezzo, in Un weekend postmoderno,
cit., p. 200.
[10] Modena, in Un weekend postmoderno,
cit., p. 77.
[12] Un orgoglio della provincia
è già presente nella narrativa poetica di ascendenza "lombarda di Maurizio
Cucchi.
[13] Underground, in Un weekend postmoderno, cit., p. 198.
[15] Come avviene nel metaromanzo
Puri spiriti di Franco Cordelli, che proprio tramite
la confusione dei tempi rappresenta la dissoluzione dellio
e della personalità, in un gioco che non è puramente intellettualistico,
ma espressione di una mancata ricomposizione dellessere.
[16] Frederic Jameson, Il postmoderno
o la logica culturale del tardo capitalismo, Milano,
Garzanti, 1989, p. 35.
[18] Altri Libertini, in Altri libertini,
cit., p. 146.
[20] Pao Pao, cit., p. 146.
[23] Camere separate, cit., p.
15.
[24] Ezio Raimondi, Le poetiche della
modernità in Italia, Milano, Garzanti, 1990, p. 8.
[25] Precisa Silvia Ballestra: «Per
Tondelli non c'era contraddizione, almeno credo, tra le
varie forme d'espressione: dalla letteratura, alla musica,
alla moda, al modo di vivere, tutto era riconducibile a
un inestricabile groviglio di riferimenti, tutti gli stimoli
culturali (e fra questi il rock merita forse un posto di
primo piano) potevano, con uguale importanza attraversare
la sua scrittura»: cfr. Silvia Ballestra, Intrappolato
in questo rock, in "Panta", cit., p. 33.
[26] Ernesto Ferrero, Belli e dannati
nella Bassa emiliana, in "La Stampa", 28 marzo
1980. Come Spallanzani, Tondelli utilizza insomma un doppio
registro. Con le pratiche intertestuali appena analizzate
(citazione, parodia ecc.), svolge la scrittura su due piani
e per due scopi differenti: da un lato per la lettura umorale
e vitalista, dallaltro per un'interpretazione più
pensosa e matura.
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La generazione invisibile: letteratura
dimenticata degli anni Settanta, di Imola Giannini
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