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Il cinema neorealista italiano


Il cinema neorealista italiano


Filmografia minima

Tra il 1945 e il 1953 è in Italia l'importante fenomeno del neorealismo. La guerra e la sconfitta avevano posto grossi limiti materiali e ideologici alla produzione cinematografica italiana: gran parte degli studi erano distrutti e non si potevano girare scene ricostruite, mancavano fondi per realizzare film così come si faceva negli anni precedenti la guerra; d'altra parte mancavano persino gli attori: non si potevano impiegare gli attori usati dal cinema fascista che impersonavano eroi di propaganda. I giovani registi usciti dalla guerra partecipavano al movimento di rinnovamento della società italiana di quegli anni. Loro impegno era il contatto diretto, quasi documentario, con la realtà: il bisogno della verità dopo le mistificazioni e la retorica del regime. I film del neorealismo italiano si contraddistinguono per una forte carica realista, l'uso di attori non professionisti, la presa diretta del paesaggio esterno delle città e delle campagne. Si guarda non più alle storie individuali e medio-borghesi, ma a vicende collettive (così come la Resistenza aveva riguardato una vicenda di tutto un popolo): di abitanti di Roma occupata e di partigiani, di donne del dopoguerra, di povera gente costretta a rubare una bicicletta per trovare lavoro, di pensionati, di emigranti. Si filma tutto quel mondo di cui il fascismo non ammetteva l'esistenza: la povera gente, la prostituzione, i suicidi, il mondo reale del lavoro duro.
Anche dal punto di vista linguistico, riappaiono insieme alla realtà , i dialetti che il nazionalismo fascista aveva bollato come deteriori. Nei maggiori films del neorealismo italico, appare il plurilinguismo: si pensi al tedesco, italiano, inglese, e dialetti locali presenti nei capolavori di Rossellini ("Roma città aperta", "Paisà"), De Sica & Zavattini ("Sciuscià", "Ladri di biciclette"), Visconti ("La terra trema"). Il dialetto per la prima volta nella storia del cinema italiano veniva assunto allo stesso livello dell'italiano e delle altre lingue, non in posizione di subalternità(addirittura, con "Sciuscià" e "Paisà", la presenza del dialetto anche nel titolo). La soluzione anche linguistica del neorealismo non resse a lungo, si infranse sullo scoglio della standardizzazione seriale del cinema industriale.
C'era stata in Italia negli anni precedenti alla guerra una certa pulsione realistica. Nelle commedie di Mario Camerini (interpretate da De Sica; ad alcune di esse collaborò anche Cesare Zavattini: Darò un milione, 1935) c'era attenzione per la cronaca minuta, la vita degli umili opposta a quella borghese; vennero poi Avanti c'è posto (1942) di M. Bonnard, Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, I bambini ci guardano (1942-1943) e La porta del cielo (1944-1945) di Vittorio De Sica dove Zavattini è presente come soggettista e scenografo; film drammatici erano stati La peccatrice (1940) di A. Palermi, Desiderio (1943) di Roberto Rossellini, Ossessione (1942) di Luchino Visconti; alcune commedie popolaresche scritte da Federico Fellini, P. Tellini, S. Amidei (interpretate da Aldo Fabrizi e Anna Magnani) danno il via a un film dialettale; mentre interessantissimi ci paiono oggi i film di guerra di F. De Robertis: Uomini sul fondo (1941) e Alfa tau (1942) sono incredibilmente privi di retorica.
I maggiori autori del neorealismo sono Roberto Rossellini , Vittorio De Sica , Luchino Visconti , attorniati da una serie di altri registi di buon livello, affiancati da alcuni interpreti di primo piano e da sceneggiatori come Cesare Zavattini (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D, Il tetto, L'oro di Napoli) e S. Amidei (Roma città aperta, Paisà, Viva l'Italia!).
Oltre agli autori maggiori, vi sono tutta una serie di autori minori, registi che contribuiscono al successo del filone in quegli anni, spesso anche solo con un unico film, per poi magari avere una evoluzione verso altre direzioni. Si ricordano tra questi registi minori Aldo Vergano, Luigi Zampa, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis, G. Puccini [ha diretto Il carro armato dell'8 settembre (1960) e I sette fratelli Cervi (1968)], Gillo Pontecorvo, Antonio Lattuada, Pietro Germi; Renato Castellani, Michelangelo Antonioni, F. Maselli, Curzio Malaparte, Francesco Rosi. Alessandro Blasetti affronta la tematica partigiana in Un giorno nella vita (1946).


La fine del neorealismo

Il filone neorealista italiano ha le caratteristiche di un breve sprazzo di luce, che dura lo spazio di un lampo. Circoscritto nel tempo, il neorealismo è sostanzialmente finito all'inizio degli anni '60. Nato per il convergere di eventi storici e pratici del tutto particolari - le speranze e il contatto con la realtà derivate dalla guerra civile e dalla lotta anti-fascista, la penuria di studi cinematografici (da cui l'uso delle riprese in strada e in presa diretta) e di mezzi e capitali per pagare attori professionisti ecc. -, il cinema neorealista italiano fu poco apprezzato in quegli anni in Italia, decisamente osteggiato da una classe politica che si avviava alla restaurazione. "I panni sporchi si lavano in famiglia" fu il commento indicativo di un giovane politico destinato a rappresentare la classe politica democristiana nei quarant'anni successivi (Giulio Andreotti). Il successo del neorealismo si ha grazie alla lettura dei teorici e dei registi francesi. Un successo all'estero che serve tra l'altro a mutare l'immagine degli italiani (l'Italia passata da un'alleanza con i nazisti a una alleanza subordinata con gli anglo-americani nella sconfitta ecc.).
Già alla fine degli anni '50 il neorealismo intanto vira verso la commedia (di cui sarà regista tipico Mario Monicelli). Le rinate case di produzione italiane non finanziano più il cinema 'impegnato', si avvia la produzione consumistica. La commedia 'all'italiana' (la definizione è in quegli anni spregiativa) riuscirà tuttavia a trasmettere attraverso l'ironia e la buffoneria aspetti della società italiana degli anni '50 e '60 di derivazione 'realista'. Molti degli autori della commedia all'italiana erano stati infatti autori del neorealismo, riadattati per esigenze di mercato ma senza perdere il 'tocco' particolare e caratteristico.




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