La 
              "Commedia" di Dante Alighieri 
            
             
             
               
                
                   La "Commedia" di Dante 
                    Alighieri 
                
                La  Commedia (Comedia) deriva il suo 
                titolo dall'uso di una categoria specifica, adottata all'epoca 
                nell'europa post-latina. Alighieri stesso ne spiega il titolo 
                nell'epistola a Cangrande della Scala: lo hanno portato a questo 
                titolo l'uso di uno stile "medio", consono al genere comico, e 
                il fatto che l'opera inizia con una visione cupa e amara, e termina 
                felicemente. Il titolo "Divina commedia" deriva dall'influenza 
                di un passo della biografia alighieriana di Boccaccio sul "Cesano" 
                di C. Tolomei: si trova compiutamente questo titolo in Ludovico 
                Dolce (1555), direttamente influenzato da Tolomei.  
                Il poema ha finalità pratiche e oratorie, di insegnamento 
                dottrinale e morale: Alighieri nell'epistola a Cangrande della 
                Scala dice di aver voluto usare l'italiano e un metro popolare 
                come la terzina di sirventese, proprio per raggiungere un pubblico 
                più vasto possibile. La rappresentazione fantastica del 
                viaggio e la visione dell'oltretomba va intesa come autentica 
                esperienza di liberazione dal peccato, costantemente sottomessa 
                alla sua funzione etica, alla verità che l'uso dell'allegoria 
                lascia trasparire. 
                 
                 Si tratta in tutto di 14.233 versi endecasillabi, 
                suddivisi in 100 canti, raggruppati in tre cantiche: Inferno possiede 
                34 canti (uno fa da proemio all'intero poema), mentre 33 canti 
                hanno rispettivamente Purgatorio e Paradiso. 
                 
                 Riguardo alla datazione, si pensa che Alighieri 
                iniziò l'Inferno nel 1306-7. Questa cantica fu diffusa 
                prima del 1314. Il Purgatorio fu compiuto prima del 1316, mentre 
                il Paradiso fu scritto nel 1316-1321. 
                 
                 Attraverso i tre regni Dante, accompagnato 
                dall'ombra di Virgilio per i primi due (Stazio si aggiunge nella 
                seconda parte del Purgatorio), e poi da Beatrice (alla fine del 
                Paradiso cede la funzione di guida a san Bernardo), compie il 
                viaggio che lo porta alla conoscenza del male e delle sue conseguenze, 
                e all'acquisizione del "bene sommo" che è la visione di 
                dio. 
                 
                 Il gusto e gli intellettualismi propri alla 
                retorica del tempo sono presenti in molti aspetti espressivi del 
                poema: il gioco dei parallelismi, le simmetrie, le allegorie che 
                lo chiudono in una struttura rigorosa, ritmata dai numeri- simbolo, 
                il tre e il dieci con i loro multipli: il primo simbolo della 
                "trinità divina" secondo la teologia cattolica, mentre 
                il dieci simbolo della perfezione. E' una struttura estremamente 
                controllata che sorregge l'immaginazione di Alighieri nella varietà 
                di pene e dei paesaggi, nelle continue e mutevoli apparizioni 
                di personaggi umanissimi, come Francesca, Farinata, Pier delle 
                Vigne, Brunetto Latini, il conte Ugolino e centinaia di altri, 
                comprese le folli di peccatori e di demoni che si stagliano nell'Inferno 
                a dialogare con Dante, continuamente implicato nelle loro passioni. 
                Le colpe sono distribuite nei nove cerchi, al cui culmine è 
                Lucifero, proporzionalmente alla loro gravità. Ogni colpa 
                è punita secondo la legge "del contrappasso", in modo cioè 
                da ricordare in eterno, per analogia o per contrasto, la colpa 
                commessa. L'Inferno è la cantica più drammatica, 
                rutilante, movimentata del poema. 
                Purgatorio è l'unico regno oltremondano non eterno. In 
                esso predominano i toni elegiaci, i colori tenui della mestizia 
                e del dolore che redime. I peccatori sono disposti su sette balze 
                ("cornici") di una montagna, corrispondenti ciascuna a uno dei 
                vizi capitali. Al culmine della montagna è il paradiso 
                terrestre. Si trovano personaggi rassegnati, quasi velati: Casella, 
                Manfredi, Belacqua, Sordello, Matelda. 
                Immateriale l'atmosfera del Paradiso. Tra visioni ineffabili e 
                rapimenti estatici, gli effetti sono tonali, suggestivi. La cantica 
                di Beatrice beatificata, guida amorosa e sollecita dei misteri 
                di dio. Vi si trovano i santi cristiano- cattolici: Domenico e 
                Francesco; ma anche personaggi posti da Alighieri come beati (non 
                dalla teologia cattolica), come Cacciaguida e Romeo da Villanova 
                in cui vibra la nostalgia della patria e il rammarico per l'esilio 
                immeritato. E' la cantica del riscatto del poeta: la sorte personale 
                di Dante dialetticamente contrapposta nei tre regni alle innumerevoli 
                vicende altrui, raggiunge la catarsi. A lui, vittima dell'ingiustizia 
                e dei disordini degli uomini, spetta il compito di rivelare le 
                verità divine e il futuro avvento di un mondo giusto. Le 
                invettive, le polemiche, i giudizi, le dure condanne di un uomo 
                e di un intellettuale, di un politico e di un moralista sempre 
                impegnato e attento alla realtà del proprio tempo, si placano 
                nell'ardore (fuga, evasione) profetico, nella consapevolezza di 
                una nuova missione. 
                 
                 Al complesso intrecciarsi dei temi, alla 
                polivalenza dei significati, trova corrispondenza la prodigiosa 
                varietà dei mezzi espressivi impiegati. Alighieri ricorre 
                a tutte le esperienze tecniche e stilistiche in suo possesso, 
                piegando il linguaggio a esprimere le sfumature più sottili 
                e i concetti più ardui. Nell'inflessibile intelaiatura 
                della terzina a rima incatenata, la poesia di Alighieri elabora 
                continue soluzioni: neologismi audacissimi, forme dialettali, 
                latinismi, mimesi della lingua parlata, tutte le risorse dell'arte 
                retorica. Il suo è puro sperimentalismo poetico (e non 
                solo linguistico).  
                 
                
              
              
             
            
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