Riperdimenti, di Salvo Basso


Riperdimenti

di salvo basso

(da "Nella Città, organo ufficiale del Comune di Scordia", bimestrale, anno IV, N.ri 23 e 24 - 5° e 6° / 1992) [ultimo numero, in cui si annuncia la chiusura del giornale]
La citazione iniziale è tratta da Pisarev [Dmitrij Ivanovic (1840-1868) critico russo, prestigioso esponente dell'intellighenzia radicale e nichilista. Contro "l'arte per l'arte" chiamava a un ideale di arte utile e soprattutto a una più ampia diffusione di una cultura su basi scientifiche, l'unica in grado di eliminare i dislivelli sociali]

"Il vero poeta, il poeta utile, deve conoscere e comprendere tutto ciò che, in un dato momento, interessa i rappresentanti migliori, i più intelligenti e i più istruiti del suo secolo e del suo popolo."
"…essere poeta senza essere nello stesso tempo un realista profondo e cosciente, è assolutamente impossibile. Chi non è realista, non è poeta, ma semplicemente uno sprovveduto o un abile ciarlatano o ancora un minuto moscerino intriso di amor proprio."

(ultima letteruccia)

Frolovo, 1974.
Si dice: patti chiari ed amicizia lunghissima. Ma tu non ci sei stato ai patti e quindi dovrei abbreviare la nostra amicizia. E' che amo discutere in privato delle nostre cose. Gli altri non devono, non possono sapere. Riguardo poi l'infondatezza totale di quella cosa che ha sparato (nessun testimone oculare, manca la prova, ed anche se c'era il testimone…beh, vagli a credere - come disse quel tizio che voleva dire: vai a credergli; e si confuse e mandò un vaglia postale, mi pare, per abbonarsi a quella rivista di fede "Credere", che non stampavano più da chissà quanti anni…), taccio, signorilmente. Mi accuserai della mia solita sconclusionatezza, occhei. Io perdo il filo, ma tu hai perso il senso della misura. Mi hanno proposto di candidarmi a sindaco. Ho sorriso, ma tu cosa ne pensi? (dico: in generale…). In mente non mi sviene più niente. Mi occucco e spero in un sogno d'oro. Il resto - come ha scritto qualcuno più a corto d'idee di me - è storia. Come dire: spiccioli, caramelline, francobollucci. Ma naturalmente lui voleva dire tutta un'altra cosa…

(segno dei tempi)

Mi sono occupato, per ragioni passional-lavorative, di riviste e giornali italiani della prima metà del '900. Il pezzo che sto per trascrivere l'ho trovato in un ritaglietto di non so quale giornale di non so quale anno (ma, suppongo, i primi 20 anni del XX secolo). Il fatto ed il commento sono strettamente uniti, e si prestano a moltissime considerazioni. La più importante delle quali mi sembra comunque essere quella relativa all'ironia che deve necessariamente ricoprire i (nostri) discorsi nei quali - spesso - si fanno (mal) osservazioni del tipo: "che tempi (stiamo attraversando)", etc…etc…In realtà nessun tempo - è evidente - ha alcun segno preciso. I segni, tutti imprecisissimi, sono gli stessi, per tutti i tempi - e lo saranno, per sempre (dico per l'eternità - se l'espressione ha un senso per qualcuno dei miei lettori).
e i segni (tutti i segni, ugualissimi, di tutti i tempi) non hanno bisogno, pur essendo ontologicamente imprecisi, di nessuna chiave ermeneutica speciale, che non sia il loro stesso manifestarsi.
Non sono - è evidente - per un rifiuto del tempo, semmai per una glorificazione (non adorante, semmai fatalisticamente e scetticheggiantemente rassegnata) di esso.
La trasformazione delle forme delle manifestazioni non ne altera la più intima essenza (l'essere loro stessi, e non altro). Per capirlo meglio, o per cominciare a capirlo, questa notizia che non è una semplice notizia, un fatterello che non è un semplice fatterello. dedicato naturalmente e idealmente da me a Jean Granelet, vittima sì della stupidità di tutti i tempi, la [sic!] non solo, com'è naturale, di chi materialmente l'ha ucciso, ma anche di chi, scrivendo questo 'pezzaccio' lo ha ri-ucciso, e di chi, ancora lo ri-uccide (davvero un quasi eterno e infernale castigo divino), ogni volta che dice l'immonda ed impronunciabile espressione "segno dei tempi". Amen.

***
"Un delitto selvaggio e atroce registra la cronaca parigina. Un giovane operaio tipografo che a tempo perso faceva anche l'aviatore è stato assassinato da una banda di ragazzacci sfaccendati, l'altra notte, così, per burla! Per burla! sembra una fantasia macabra e sinistra ed è invece la tragica realtà. Il giovane, tale Jean Granelet, ritornava a casa poco dopo la mezzanotte quando ebbe la sventura di imbattersi in una comitiva di giovinastri - il maggiore di essi conta appena 17 anni! - che si divertivano a lanciare proiettili di ogni sorta contro le insegne dei negozi, contro i cani randagi, contro i fanali del gas, contro le persiane chiuse delle finestre. I più piccoli lanciavano sassi: i grandi - quattordici, sedici, diciassette anni! - anche qualche colpo autentico di rivoltella. Perché erano armati di rivoltella, costoro, sicuro! A un tratto, il Granelet venne a passare e qualcuno cominciò a dire per burla: Che bel bersaglio, guarda!
Si rise, intorno, ma qualcuno prese la cosa sul serio e un colpo partì colpendo in pieno petto il povero giovane che cadeva a terra morto!
Una vita umana, una bella e buona e forte giovinezza umana era stata spenta così…per sparare un colpo in un bersaglio!…
Ma che atroce segno dei tempi!"

(tappetini)

Si siede, accende la per scrivere, riflette, sorseggia l'amaretto quasi ghiacciato. L'estate è alle spalle, ma porta ancora la camicia dalle maniche corte. Giocano a tennis, sulla sua pancia, sulle braccia, la palla pingponcheggia. Il futuro è prontissimo. A portata di secondi. sperimenterà una nuova dieta. Lei arriva, lo interrompe dopo qualche riguccia. Non è l'inizio del nuovo romanzo. Non è un racconto. Lei arriva, suona, sale le scale. Ecco, ricomincerà proprio da qui. Da quello che le dirà, fra qualche secondo, fra qualche secondo.
ricomincia a scrivere, dopo qualche ora, hanno parlato, hanno mangiato, pollo e pesce. Lui ha sognato ancora una volta la pubblicazione del suo primo libro. lei gli ha detto che prima o poi succederà. Lui vorrebbe avere una qualche sclusiva letteraria, ma in testa e nel cuore non c'è posto per le novità. Continua a scrivere, si ferma. La nerissima forza delle parole, amen. così scrive, così prega.
Vive. Non si parla altro che di tangenti. Ancora l'ossessione matematica, il giochetto verboso. C'è ancora un problema da risolvere, prima di partire, un altro, o sempre quello. Lo stesso, identicissimo. C'era una circonferenza, di centro 0, la corda AB era il lato del quadrato iscritto; si conduceva da B la semiretta, tangente alla circonferenza, che giaceva rispetto alla retta AB nel semipiano che…Non imposta il problema, ha la mente comatosa. Guarda il foglio, riguarda. tutto è pronto, ancora, per continuare così, senza fare niente. Ewiwa.
Pensa di rintanarsi qualche giorno in campagna, a contatto con quella che dovrebbe essere ancora la natura, che lui volutamente non ama né rispetta. Gli secca tutto ciò che è esterno a sé stesso. Chiude gli occhi. Così, forse, va meglio. Ma per quanto, ancora?
Per quanto continuare, scontinuare così, senza idee né ragioni? E' stufo di questa nerezza. Guarda il foglio, la finestra, il foglio. E' settembre, ancora.
L'indomani, domenica, ritorna a scrivere, lascia aperta la porta, alza la persiana. Non è più solo, forse. C'è l'aria. Pensa al suo amico che scrive da dio. C'è il sole. La festa è completa, manca l'invitato. Si potrebbe fare ancora un po’ di mare, invece…Lo prende, riprende il desiderio bruciante di scrivere, per difendersi da questa luce fuori stagione. E ha paura. Il dramma, come sempre, scherza, è nell'inchiostro.
Non sa più cosa scrivere, la somma di tutti i suoi sbagli, dalla nascita, primo involontarissimo errore, in poi. Ma, qui, non ci sono somme matematiche, addendazioni…Forse solo un continuo sottrarsi. Un mancamento che, dice qualcuno, è già vincita, già dono. Buono per tenere e commosse preghierine notturne e mattutine di ringraziamento. E poi? La conquista dell'eternità, come un titolo d'un film già visto e, ancora, ancora, da rivedere. Cosa devo fare? Basta la preghiera? La parola? O non perdere tutte le elemosinanti occasioni per un'azione che sia finalmente buona?
Io se vedo una zingara mi ci fermo a parlare ma lei non mi capisce e allora io lascio perdere, appunto. oppure…mi faccio e rifaccio lavare il vetro anche quattro volte di seguito e pago e dico grazie, lo dicono anche loro, nessuno dice prego, è già rosso, via, via, non senti che suonano, dietro? non senti la fretta? gli acceleratori? le sigarette? i sorpassi? subito, subito, me ne vado, avrei dovuto andarmene, da tempo, invece…
Ma a casa si sente forte, se non ci sono terremoti. Ma, a volte, terremotini sono il citofono, il telefono. Squilli, intermittenze, turbamenti del silenzio delle pareti, o di questo ticchettio, che è tic, appunto, e solo e semplicemente e principalmente questo. Poi, come scrisse una volta, tic sposa tac, ed è il figlio perfettissimo del tempo, che non ne sbaglia una, che cresce, alto, bello, nero, luminoso, praticamente inimitabile. Ecco: l'unico vero stile è quello, freddo, caldo, del tempo. Gli scrittori, in fondo, ci provano, qualcuno ci riesce, s'accoppia, penetra, ma, ma, il tempo è mantidoso.
Qui, nella casa, forte, forte lui, forte la casa, forse antisismica, pieno di graffi, di sangue, sogna il capolavoro, ci tenta, si alza, cammina per la stanza, sereno di non concludere nulla, di non finire. Cammina, tocca le pareti, guarda i quadri, cammina, pensa, torna indietro. la per scrivere accesa.
Così passa e spassa il tempo, nella domenica che s'inscurisce, con i sacri progetti di una volta definitivamente incasciulati. Riscrivere ancora ciò che ha scritto e riscritto, potrebbe essere un'ideuzza, buona per una domenica, per un fare niente che è sempre meno dolce, anzi aspramente amarognolo.
Ha fame, si massaggia la pancia, pensa a qualcosa di particolarmente disgustoso. vecchio trucchetto per ricominciare a dimagrire. La sua mente, la sua bocca, affondano in uno schifo melmoso, ma si sente più leggero, già qualche grammino in meno. Va a letto, dovrebbe fare un po’ di ginnastica. Finge, si dice che gli manca il tempo, o veramente confonde il tempo con la volontà. Si alza, improvvisa un passo di danza, non ricorda il titolo del motivo che gli è venuto in mente. Si versa del profumo, sui polsi, sulla faccia. respira profondissimamente. Chiude gli occhi. Si immagina bello. Apre gli occhi, va allo specchio. Pensa che è là, qui, la verissima verità. E' qui che l'apparenza della verità diventa esattissima e sostanziale. Lo specchio dovrebbe essere lo strumento di ogni vero filosofo, non il pensiero. Il filosofo dovrebbe dire all'allievo: guardati. E questo dovrebbe, potrebbe essere tutto. Lo specchio per il filosofo dovrebbe essere un poco come il bisturi per il chirurgo.
E con lo specchio, analizzare, sezionare, operare, forse salvare impossibilmente qualche vituzza umana. Allo specchio misurare i propri confini, le proprie impossibilità. Diffondere, raddoppiare la propria immagine per negarla. Guardarsi per dimenticarsi. Chiudere gli occhi, riaprirli e pensare che non c'è nessunissima differenza. E' solo questione di attimi. Specchio e pazienza, strumenti e virù dei forti, dei filosofi seri. Si, l'aspetto è tutto, come l'aspettare. E' nello specchio che lo spazio diventa tempo e il tempo, per una volta identico a sé, si prende una frettolosissima vacanza. Poi dimagrire, scarnificarsi, avvicinarsi alla terra. Curare il proprio corpo, e dunque la propria anima, che se c'è in esso si trova e non altrove, è deperirlo.
Pazientemente, accuratamente. Avvicinarsi alla propria mancanza di corporeità, pensare che gli accessori siano solo accessori. Come, chessò, il cambio automatico, un telefonino, un accendino.

(nella città)
In occasione della chiusura di questo giornale mi è stato amichevolmente, ancora una volta, chiesto, di scrivere qualcosa…Ed ho accettato, per l'ultima volta…Avevo intenzione, ma poi m'è venuta meno la volontà, di tentare di fare una sorta di minicronistoria delle attività 'giornalistiche' negli ultimi 10 anni a Scordia; ma ritrovare, nel disordine del mio archivietto, le collezioni scollezionate…sarebbe stata un'impresa…
Ho desistito…Avevo poi cominciato a fare una specie di "Spoon River" di Scordia, con tanto di lapidi, nomi e cognomi. Ho desistito…Avevo poi tentato una cosa alla Michele serra (vedi "44 Falsi", Feltrinelli), con un falso Gambera, un falso Avveduto, un falso Amore, un falso Agnello…Ma ho desistito…
In realtà non ho niente di nuovo o di particolare da dire in merito alla questione-giornale, e andrò, forse ripetitivamente, a braccio (o a gamba, o a collo). Questo giornale - storia, contenuti, obiettivi, etc…- è stato e continua ad essere, pur, qui, in fin di vita, esattamente quello che è stato ed è. Nel sogno di qualche animuccia bella e pia il prodotto di una società, cioè un suo specchio, per dire, può essere notevolmente diverso (cioè migliore) della stessa società che lo produce. Questo giornale invece ha rappresentato giustamente ed esattamente lo stato delle cose di questo paeser, per qualche anno. Lo ha fatto con deficiente fedeltà.
Paradossalmente le accuse di tutti i suoi critici erano i migliori complimenti possibili, perché erano vere, ma dovevano essere interpretate al contrario. Schopenhauer diceva della filosofia di hegel che "il suo contenuto" si riduceva "alla chiacchera più vuota e più priva di senso di cui mai si siano pasciuti gli imbecilkli" e che la sua filosofia era "il più disgustoso e più assurdo dei guazzabugli, tale da ricordare anzi il delirio dei pazzi". Cose, pressappoco, anche meno affettuosamente sentite a proposito di "Nella Città" ( e di altri giornali editi a Scordia negli anni scorsi). E cose, si badi bene, verissime, più vere del fatto che questo è vivaddìo l'ultimo numero del giornale (di questa gloriosa esperienza giornalistico-intellettuale-socio-economico-politico-storica, direbbe, biscardianamente, qualcuno…).
Il problema è quello dello specchio: non ci piaciamo, sappiamo di non piacerci, ma guai se qualcuno ce lo ricorda, guai se qualcuno, con aria innocente, o con la sensazione (falsa) di farci un favore, ci porge uno specchio: "taliati"…Ecco…"Nella Città" è stato questo specchio.

(il nuovo sindaco)

Il nuovo sindaco, accettando l'incarico, ringraziò i consiglieri che lo avevano votato e quelli che non lo avevano votato, dicendo a quest'ultimi che avrebbe dimostrato loro con i fatti che avevano sbagliato non votandolo; ringraziò i due cittadini presenti nella sala consiliare e cominciò il discorso vero e proprio: Scordia è un paese dalle grandi potenzialità. La mia amministrazione vorrà caratterizzarsi per il ribaltamento di quelle pratiche che illogicamente hanno blocctao il progresso del nostro paese. Bisogna innanzitutto agire nell'interesse primario, secondario, terziario, quartiario della popolazione, facendo in modo che, nel più breve tempo possibile ed impossibile, ci sia la più assoluta trasparenzialità di ogni atto politico-amministrativo. Basta con le vecchie logiche illogiche! Bisogna privilegiare i bisogni emergenti e anche quelli immergenti della cittadinanza; superare gli ostacoli, le resistenze attive e passive che incontreremo, se sono certo, ed è giusto e naturale che sia così, nel nostro lavoro. bisogna migliorare l'attuale livello delle prestazioni burocratiche, evitar code e favoreggiamenti cangureschi. Il quadro nel quale ci muoveremo prevede un collegamento organico interassessoriale ed una prassi lavorativa d'equipe, al di sopra, ripeto, al di sopra degli interessi e delle pressioni di parte. L'ipotesi, l'idea, la voglia che ci muove e muoverà ancora di più in futuro è quella di far fare a Scordia, al suo territorio, ai suoi abitanti, un salto di qualità che oggi più che mai appare improcrastinabile. Il valore del nostro lavoro che sarà essenzialmente socio-politico verrà certo misurato in base alla puntuale o ritardataria corrispondenza tra i nostri obiettivi e le risorse di cui oggettivamente disponiamo, secondo moduli interpretativi ci auguriamo non pregiudiziali, mai cioè assumendo posizione implicite e aprioristiche senza rispetto delle situazioni contingenti e senza, soprattutto, una giusta flessibilità strutturale-mentale. Il paese è ormai maturo, è pieno di soggetti sociali nuovi che vogliono una politica nuova, soggetti che vogliono a ragione, una maggiore e più continua verifica critica degli obiettivi istituzionali, soggetti che vogliono una chiara individuazione dei fini qualificanti la vita, soggetti che vogliono una visione unitario-organica delle cose e, infine, una concretizzazione fattualizzata delle esigenze, nell'utopia realizzabile di un sistema ben integrato nelle sue varie e necessarie componenti, nel totale annullamento cioè di qualsiazi tentativo di neoghettizzazione. Non nasciamo dal nulla e quindi il nostro approccio programmatico ai problemi del paese terrà conto delle positive linee di tendenza in atto; tenteremo anche di riorientare le linee negative con criteri solari, puntualizzando e stimolando di volta in volta l'indispensabile e, per noi, condizionante coinvolgimento partecipativo dei cittadini. L'assetto politico-istituzionale che speriamo di dare a Scordia, pur consci delle molte difficoltà iniziali e magari tra qualche contraddizione, significherà soprattutto:
a)potenziamento, potenziamento, potenziamento a tutti i costi delle strutture produttive;
b) incremento lavorativo, sociale, culturale, turistico. Naturalmente questo è il nostro augurio, il nostro impegno nella misura in cui lo sperato è fattibile. Cercheremo, inguaribili sognatori del moderno e dell'antico nell'epoca del cosiddetto post-moderno, di appianare le discrepanze e le discrasie esistenti. Concludendo, una parola riassuntiva sui nostri criteri metodologici. Punto primo: ricognizione censitoria dei bisogni reali e delle domande finora insoddisfatte, ricognizione che va fatta in maniera articolata e totalizzante, senza dar nulla per scontato, e con le dovute e imprenscindibili sottolineature dei bisogni più scottanti.
Il modello di sviluppo che abbiamo in mente prevede una riarticolazione periferica dei servizi pubblici, per aumentare il tasso di partecipazione politico-sociale dei cittadini, e adottando delle linee comportamentali che tengano conto delle differenziazioni zonali, là dove esse esistono. Auspico, e finisco e ringrazio della cortese calorosa attenta attenzione, un più corretto e sincero, leale rapporto tra uomini politici, io in prima persona, e cittadini; un rapporto più significativo tra strutture e sovrastrutture senza dare la preferenza all'une o all'altre. Auspico ancora una più equa ripartizione son solo dei benefici, ma anche dei sacrifici che dovremo tutti quanti affrontare, se vogliamo veramente fare di Scordia una cittadina ridente e fiorita, una capitale del Sud. Grazie, grazie.


(N.B. Ho scritto questo pezzo non meno di 8 anni fa, senza pensare a nessuno in particolare. Che io ricordi, è rimasto finora ineditissimo…
Questa, suppongo, era davvero l'ultima occasione per pubblicarlo…)
Salvo Basso


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Salvo Basso

 


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