Salvo
Basso : Il poeta che guardava con le mani, di giuseppe marziano
Salvo Basso / Il poeta che guardava con
le mani
di giuseppe marziano - Girodivite all'indomani della
morte di Salvo ha pubblicato un breve editoriale. Salvo
faceva parte integrante della storia di Girodivite. Ringraziamo
Giuseppe Marziano per questo articolo. [Articolo pubblicato
su Girodivite 89/2002]
È difficile scrivere e trovare le parole in questo
momento in cui il necrologio sarebbe errato. È difficile
scrivere senza dover, per necessità rievocare, ricordare,
esprimere, sognare. È difficile scrivere in questo
momento che necessita soltanto di conforto fisico, per la
famiglia, psichico per noi che lo abbiamo conosciuto.
È difficile in questo momento trovare le parole
che non ti trasportino, sui tasti impazziti, verso quella
verità che è la morte, quella fisica, quella
che egli stesso sembrava non temere; che in poche righe
scritte durante i lunghi viaggi, scherniva con “menzu,
menzu” riferendosi alle sue membra.
Difficile parlare d’altro se non delle volte che
ci siamo visti e incontrati, delle volte che abbiamo colloquiato
in poche sillabe, delle volte che si leggeva sui giornali.
Ricordo che quando mi dissero che avremmo presentato “Quattro
sbrizzi” di Salvo Basso a Carlentini, fui subito contento;
non lo conoscevo ancora di persona, ma n’avevo sentito
parlare per quella Fiera del Libro che portò successo
a Scordia. In quell’occasione cercai subito il libro
lo lessi con molta attenzione, con l’affanno letterario
di chi vuol sapere, mi affascinò il modo di scrivere,
non avevo ancora letto nulla su di lui, quello era il momento
per conoscerlo più profondamente di quanto avessi
potuto fare parlandogli.
Quei versi significavano molto e quello che mi colpì
più d’ogni altra cosa fu la parola, le parole,
la lingua, che faceva di quel libro la sintesi della grande
coscienza dell’uomo, della grande cultura tramandata
dagli avi. Salvo utilizzava il siciliano parlato, quello
d’oggi, non quello dei nostri nonni, questo mi rincuorava,
un motivo in più per continuare sulla mia strada.
Lessi tutto il libro prima che cominciasse la serata, mi
colpirono particolarmente poche righe che Salvo aveva inserito
in quella raccolta: <<…ti talìu cche
manu>>, poche parole ma forti di significato, quella
frase che ancora oggi, con molta tristezza, ricordo. Di
una forza evocativa che poche parole hanno, racchiusa in
quella amarezza che oggi esplode severa e cosciente in rabbia.
Questo non è un necrologio per Salvo, come già
detto in precedenza, sarebbe errato, e non vuole essere
soltanto un rimpianto, è un modo di ricordarsi dell’immortalità
che questo poeta scordiense ci ha regalato con i suoi versi.
Quell’immortalità che ricerchiamo nella carta
stampata, quell’immortalità che Salvo conserva
anche per le vie di Lentini, sotto quell’albero enorme
di Ficus che ombreggia il muro di cinta. Poche parole ricolme
di quelle semplicità che Salvo lascia trasparire,
ma cariche dei significati culturali che la nostra terra
ha saputo generare. Oggi preferiamo ricordare Salvo, l’uomo,
l’amico, per gli altri “Salvo”; il poeta,
l’uomo di cultura, quelli, sono rimasti oramai immortali.
Preferiamo non scrivere parole di morte, quella fisica,
preferiamo scrivere parole di vita che aiutano nel ricordo
la scomparsa immatura. Parole che come esprime in una dedica
debbono essere sincere e in quanto tali semplici, corpose,
evocatrici, sognanti, e tanto più forti quanto più
forte e reale è la vita stessa.
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