La poesia come gioco
di renato pennisi (pubblicato sul n. 93/2002 di Girodivite)
Salvo
Basso ha rappresentato un momento, troppo troppo breve,
di vitalità, di esuberanza creativa. La sua poesia
vivacissima ha affondato, con il suo autobiografismo, nella
vita di ciascuno di noi, ha toccato corde segrete e profonde,
e per questo Basso è un grande poeta, e anche perché
il suo dialetto siciliano è il mezzo espressivo dei
nostri giorni, che nulla ha a vedere con il passato, con
l’arcadia, con le civiltà contadine morenti.
Il siciliano di Basso raccoglie umori e materiali spuri
e televisivi, diviene un unicum particolarissimo e riconoscibile,
diviene la voce della nostra epoca, dei nostri raffronti.
E lo fa con naturalezza, con impeto, con dolcezza, con amarezza.
Cinque anni appena tra il suo primo libro Quattru sbrizzi
(Nadir 1997) e il suo ultimo Ccamaffari (Prova d’Autore
2002), passando attraverso Dui (Prova d’Autore 1999)
e qo (L’Obliquo 1999), e con la commovente appendice
delle poesie composte durante la malattia A cuccata (nell’antologia
Chiana e biveri, Prova d’Autore 2002).
E nel contempo la sua poesia riceveva consensi unanimi,
crescenti: da Maria Attanasio, da Giuseppe Cavarra, da Franca
Grisoni, da Sebastiano Leotta, da Franco Loi.
Ma Basso in realtà ha sempre scritto, sin da giovanissimo,
sin da bambino, iniziando a pubblicare alla fine degli anni
ottanta su riviste, su fogli di provincia, dapprima in lingua
e poi sempre più insistentemente sul suo amato dialetto.
E poi Basso per me era una presenza cordiale e sincera nel
mondo dei poeti siciliani, perché provava gioia a
coinvolgere, a proporre nuove voci, a lavorare con gli altri,
a portare la poesia nelle scuole, a coinvolgere docenti
e presidi, attivando nella sua Scordia un laboratorio di
cultura e di letteratura.
Ci siamo conosciuti alla fine degli anni ottanta, a Catania,
collaborando entrambi a una rivista che si chiamava Via
Lattea, e da allora non ci siamo mai persi di vista, facendo
l’uno il tifo per l’altro, ognuno sperando la
fortuna dell’altro, ognuno presentando il libro dell’altro.
Ma soprattutto dandoci coraggio in quei momenti in cui la
vita andava contro.
E poi, nel 1999, entrambi ci siamo ritrovati nella casa
editrice Prova d’Autore, nei nostri incontri con Mario
Grasso, ancora a progettare e a sognare, entrambi sempre
fanciulli. E comprendo perfettamente quanto diceva Italo
Calvino che l’Università l’aveva fatta
all’Einaudi, perché sia Basso che io la nostra
seconda laurea l’abbiamo conseguita lì, a Prova
d’Autore, il regno felice, l’angolo di cielo.
Adesso lui non c’è, e mi sento solo. E’
grande l’emozione di tutti quelli che lo hanno conosciuto,
perché Salvo Basso ha lasciato rimpianto e affetto
ovunque sia passato.
Ma ti prometto, amico mio, che per me la poesia rimarrà
sempre un momento di onestà, di pulizia, e nonostante
tutto di gioia. Come tu volevi.
(Nella foto: Salvo Basso e Renato Pennisi, nel corso del
Treno dei poeti, manifestazione organizzata da Antonio Presti
e Maria Attanasio, nel 2000).
Contesto
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