Malussène
o dell'amoore..., di Esse Effe
Malaussène o dell'amooore...
di Esse Effe
"Corri, Malaussène, la
terra è rotonda e non c'è risposta, ci sono solo
gli esseri umani, l'unica risposta si chiama Julie [...] e da
quando in qua uno ha bisogno di risposte mentre corre verso
Julie? Anche colui che corre verso la donna amata, colui che
corre verso il grande amore, fa girare il mondo!" (D. Pennac,
"Signor Malaussène a teatro", in "Ultime notizie dalla
Famiglia", p. 50)
Yasmina Melaouah, nome esotico per la traduttrice
italiana di Daniel Pennac. Grazie a lei, e alla Feltrinelli, i
libri di Pennac hanno potuto avere circolo anche in Italia, prima
tra un ristretto numero di aficionados e incalliti lettori, poi
con sempre maggior successo di vendite e di attenzioni generali,
pur senza esagerazioni (il che mi sta anche meglio). Il nome esotico,
"multiculturale" della traduttrice che si adatta perfettamente
al carattere multietnico e colorito degli ambienti metropolitani
di Pennac. Protagonista sempre Malaussène, il "capro espiatorio".
A partire dal bellissimo "Il paradiso degli Orchi", e attraverso
"La prosivendola", "La fata carabina", "Signor Malaussène";
e ora anche a questo addentellato che sono i due brevi testi contenuti
ne "Ultime notizie dalla Famiglia" (pubblicato in Francia nel
1996 e subito ritradotto e pubblicato all'inizio del 1997 in Italia,
a testimonianza di come Pennac sia un autore su cui Feltrinelli
punti molto - di solito per un autore "estero" ci vogliono alcuni
anni prima che si disponga di una traduzione italiana... alla
faccia dell'Europa unita).
Due brevi testi, dicevamo. Il primo "Signor
Malaussène a teatro" (Monsieur Malaussène au théâtre),
monologo di Malaussène che, rivolto al proprio figlio,
ne rievoca circostanze di nascita e soprattutto i sentimenti che
hanno accompagnato quella nascita. Un monologo a volte tenero,
a volte un po' retorico e scontato (ma sarà che i maschietti
non sanno andare oltre certe note e notazioni tutto sommato ristrette?)
e che rivela almeno un paio di "soluzioni" appiccicaticce, fatte
con il gusto che a volte ha Pennac dell'estremo improbabile, del
fantasioso a tutti i costi (come un prestigiatore che ha finito
i propri trucchetti e usa suggerimenti posticci e improvvisati:
è il limite cui Pennac per fortuna non trapassa mai, e
giustamente ha deciso di porre fine con la quadrilogia alla saga
dei Malaussène): così la nascita "a tutti i costi"
del figlio, attraverso la pancia di Gervaise dopo l'aborto di
Julie. La struttura è quella di un monologo teatrale o,
meglio, di un autos sacramentale (si veda la pentapartizione in
"annunciazione", "presentazione", "desolazione", "ruisurrezione"
e "apparizione": ma è da notare che tutti i racconti di
Pennac possono essere ricondotti a questa forma primordiale).
Il secondo, "Cristianos y moros" (Des chrétiens
et des maures), ha struttura più tradizionalmente in forma
di racconto, rievoca un'altra paternità, quella di uno
dei "fratellini" di Malaussène, Piccolo; attraverso la
bartlebyana domanda sul padre ("preferirei il mio papà":
ricordate Melville? se no, è il momento di rileggerlo o
scoprirlo), l'occasione per la rievocazione di un altro squarcio
all'interno della storia familiare dei Malaussène, con
giusta commistione di mistero (chi è l'uomo che giace in
fin di vita con un verme solitario nello stomaco ecc.?), scontri
tra bande (lo scontro tra la mercedes e l'autombulanza), colpi
di scena (Windsurf che si rivela essere parte della banda che
vuol mettere le mani su Sceriffo), e "soluzione" metaletteraria
finale come nel miglior Pennac.
Quella di Pennac è una scrittura che
ama le boutades ("dopo la morte c'è la pensione", p. 110,
nel II racconto; ma si veda anche la citazione all'inizio del
I racconto/monologo, di Christian Mounier: "Se i bambini nascessero
adulti ce ne sarebbero verisibilmente un po' meno") le sentenziosità
esistenziali, i grumi di un carattere democratico i cui valori
relativistici sono propri di un decennio che ha visto certezze
crollare (una generazione che, per la precisione, non ha avuto
le certezze dei proclami ufficiali). Il "colore" multietnico dei
libri di Pennac non è solo un fotocopiare l'esistente (la
realtà multietnica appunto), ma il salvare dalla realtà
un'isola - la "famiglia" Malaussène - che è insieme
di cose che succedono e personaggi ma soprattutto principi e posizioni
etiche cui Pennac/Malaussène si aggrappa, che costituiscono
l'ancora di salvezza del protagonista. Un'ancora di salvezza autoironica,
perché l'ironia e l'autoironia sono alla base dell'etica
di Pennac. "Non so forse che avviare una vita significa metterle
la morte alle calcagna?" (p. 24), si chiede Pennac/Malaussène
nel primo dei due "pezzi". Il dubbio ("tuo padre ha la testa vuota:
/ una fontanella d'acciaio e sotto, il dubbio", p. 25) è
alla base di questa etica e di questa capacità ironica.
Ma proprio niente si salva dal dubbio? L'utopia di Malaussène:
"il mondo secondo Malaussène: con amore o senza amore!
Non c'è alternativa! Il dovere dell'amore! L'obbligo alla
felicità [...]" (p. 50) - ed è interessante notare
come l'espressione di questa concezione sacra dell'amore avviene
all'interno del brano che ha forma strutturale di autos sacramentale,
posto proprio al centro del monologo - e, immediatamente, l'autodistruzione
di questa utopia, nel momento stesso in cui appare nel proprio
orizzonte: "ma che ne facciamo di tutto questo amoooore? / Che
nausea!" (p. 50). La forma/concetto della nausea, di fortune storiche
in terra di Francia, torna quela rifiuto di qualsiasi forma di
retorica. Da una parte la realtà proteiforme, dall'altra
la complessità delle individualità di quella "famiglia",
dall'altra ancora le ipotesi d'utopia subito demistificate, e
il senso del dovere (anche questo, forte, basilare, senza retorica:
"e tutta la strada che resta da fare malgrado tutto, / poiché
pare che anche noi siamo ragioni di vivere, / che non bisogna
sommare morte a morte, / che il suicidio è fatale al cuore
di chi resta, / che bisogna tener duro, / tener duro comunque,
/ con le unghie, / con i denti", p. 52).
La figura di Malaussène è quella
della moderna pietas. Malaussène conosce il dolore del
mondo, lo sente ogni momento della propria vita su di sè.
Eppure "bisogna" continuare a vivere, a lavorare, a cercare di
fare del proprio meglio.
E' sulla base di questa forma della pietas,
che Pennac è capace in poche righe di dare vita a personaggi
di una umanità straordinaria, che rimangono impresse. Perché
si tratta di personaggi avvolti nella malinconia del dolore, della
morte. Si veda ad es. il personaggio di zio Stojil, lui "che era
l'onore della vita" (la scena della morte di zio Stojil: "e si
è messo a morire piano, con la cicca in bocca, chino sulla
sua scacchiera" p. 29; e a Malaussène che quasi lo rimprovera
per quella morte: "mi avevi giurato di essere immortale!", gli
grida, lui risponde: "è vero, ma non ti ho mai giurato
di essere infallibile... Del resto io non muoio, arrocco").
E da questa pietas deriva l'attenzione di
Pennac/Malaussène per i bambini, l'essere dalla parte dei
bambini. Favola/racconto/scrittura trovano nei bambini un modo
di esistenza privilegiato: "la maggior parte dei bambini nasce
da una metafora... E' dopo che la cosa si guasta" (p. 129, II
racconto). Tutti i racconti di Pennac sono popolati da bambini,
un po' tutti i personaggi di Pennac sono dei bambini o hanno l'aria
di essere personaggi da favola. Ma a noi, anche questa cosa, ci
piace proprio.
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