| La notte del dieci Agosto, di Roberto 
                  Mussapi  
                    
                    Non piangere, Harun, in questa notte d'agosto 
                    quando le stelle cadono e la loro luce si dissolve 
                    nel buio come la sabbia nel sonno: 
                    se fossero sempre fisse e immutabili ti sarebbero estranee, 
                    e il loro splendore immobile offenderebbe la tua carne. 
                    Immagina che scendano per una compassione celeste, 
                    incarnazione d'astri che si disfanno in polvere, 
                    molecole di luce che si compenetrano al buio, 
                    ricorda la storia del beduino Habib che si innamorò 
                    di una lucciola 
                    e visse ogni istante della sua luce guardandola, 
                    e disperò vedendola morire in una notte. 
                    Ma dopo anni di pianto nel gelo del deserto 
                    una notte all'improvviso lui la rivide 
                    risplendere alta in una stella fissa: 
                    la lucciola, l'errante, la luce fenomenica, 
                    tornava dal cielo al beduino analfabeta. 
                    Né tu, sultano, né il povero beduino, 
                    avete pianto per una stella o una lucciola, 
                    ma per la sola cosa per cui piange un uomo, 
                    una donna: lì fu il dolore di luce persa, 
                    premonizione astrale del tempo spegnente, 
                    l'estinzione già inclusa nella ferita del miracolo, 
                    e la distanza dal cielo, la morte. 
                    Impara dal beduino, amala come si ama una lucciola, 
                    donati a ogni suo istante di sopravvivenza, 
                    e quando lei ti parrà persa nella notte 
                    tu nei suoi occhi scoprirai di colpo 
                    la luce alta delle stelle fisse, 
                    e in lei che parve dissolversi in una notte di agosto 
                    l'affinità mortale con te che la supplichi. 
                    
                  
                  
                  Roberto 
                    Mussapi (da: "La polvere 
                    e il fuoco") 
                   
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