Un centravanti per Pepe Carvalho, di pina la villa


Un centravanti per Pepe Carvalho, di pina la villa

Il centravanti è stato assassinato verso sera / di Manuel Vásquez Montalban. - Roma : Gruppo editoriale L'Espresso Repubblica, 2003. - (La biblioteca di Repubblica ; 83).

La prima edizione del libro è del 1988, anno in cui è anche ambientato. Stavolta è il mondo del calcio, travolto dalla speculazione edilizia a Barcellona in attesa delle Olimpiadi. I responsabili non saranno puniti, anche se Carvalho li scopre.
Una pensione di periferia, un ospite misterioso e una ragazza che offre scopate letterarie. Delle lettere anonime, anch'esse molto letterarie, avvisano che il centravanti sarà assassinato verso sera. Il centravanti è Mortimer, un giocatore inglese appena acquistato da una squadra importante di Barcellona. Carvalho è assunto dal presidente e dal pierre della squadra per indagare.
Difficile indagare per Carvalho. Il suo informatore, Bromuro, un vecchio lustrascarpe ex falangista, non riconosce la nuova delinquenza, marocchini, arabi. Però mette Carvalho in contatto con tre di loro. Che non c'entrano e non sanno. Ovviamente l'indagine si svolgerà all'interno della squadra e dei suoi dirigenti soprattutto. Ma a Carvalho sfuggirà fino alla fine quello che noi invece cominciamo a capire subito.
Tutto gira attorno ai rapporti poco chiari fra il presidente della squadra del centravanti inglese, il suo avvocato e il presidente di una squadra di serie B, dove è un altro centravanti, il misterioso ospite della pensione. L'intenzione è quella di far perdere la squadra, e vendere lo stadio, caro ai tifosi ma più caro agli speculatori.

Sempre più triste Carvalho, sempre più spietato Montalban: i veri colpevoli non sono i piccoli delinquenti violenti, i giovani tossici, i marocchini. I veri delinquenti sono altri, e sono il prodotto della Spagna franchista e della democrazia incerta della nuova Spagna. Prendiamo per esempio i due presidenti e il loro avvocato.

Juan Sànchez Zapico doveva tutto a se stesso e aveva saputo circondarsi di gente incapace di giungere alla conclusione che gli si doveva ben poco. I quattro caseggiati che aveva costruito nel quartiere, i sei depositi di rottami che allungavano i confini del suo territorio sino ai confini del Pueblo Nuevo con San Adriàn, la piccola fabbrica di confetti e mandorle pralinate a cui aveva apportato la più moderna tecnologia, come soleva ripetere a chiunque volesse ascoltarlo, avevano fatto di lui un uomo sufficientemente ricco, e per sempre. Tanto da dedicare parte del suo tempo libero alla presidenza del Centellas, squadra con una storia di quartiere con una storia, alle origini del calcio catalano, capace di lottare per l'egemonia contro il Barcellona, l'Europa, l'Espanol o il San Andrès, ma dalla guerra civile a mala pena un club sopravvissuto che tirava avanti, spinto dal tifo incondizionato di un quartiere e dalla proprietà di uno stadio situato in una zona strategica per l'espansione della città. La commissione dei fondatori del Centellas aveva resistito a tutte le tentazioni di vendita del campo, sia per l'ampliamento urbano degli anni Cinquanta e Sessanta, sia quando cominciarono ad annusarlo i cacciatori della futura speculazione in tutti i dintorni della Villa Olìmpica. Collocato nella terza o quarta fascia marittima, quasi ai confini di San Adriàn, il campo del Centellas sarebbe stato inghiottito nel futuro da quella Barcellona che stava per crescere partendo dal centro irradiante della Villa Olìmpica divenuta una successione di caseggiati con appartamente per la nuova piccola borghesia postolimpica, in contrasto con la popolazione prossima e aborigena: catalani proletari, residui e immigrati di diversi strati archeologici. (p. 38)

“Svegliarono Sanchez Zapico alle sette del mattino per dirgli che era precipitato un ascensore di uno dei depositi di rottame, e che era caduto perché qualcuno aveva tagliato i cavi” ( p. 69)

Basté de Linyola, il presidente della squadra più importante, lo conosciamo durante la conferenza stampa di presentazione di Mortimer, il centravanti inglese. A p. 19:

“imprenditore ed ex uomo politico che aveva fatto della presidenza della società una questione di penultimo significato sociale. Era stato sul punto di diventare ministro del governo spagnolo, consigliere del governo autonomo di Catalogna e sindaco di Barcellona. Quasi sessantenne aveva scoperto all'improvviso la stanchezza e la paura della stanchezza, una stanchezza che avrebbe potuto farlo scomparire dalla vetrina pubblica da cui non si era allontanato dai tempi in cui era stata la grande speranza bianca degli imprenditori democratici sotto il franchismo. La presidenza della società era l'anticamera della pensione, ma gli dava potere esecutivo e amava il potere come unico antidoto contro l'autodistruzione. A sessant'anni ho si ha il potere o ci si suicida, si diceva ogni mattina davanti allo specchio che gli mostrava implacabilmente il volto stanco di quell'altro che gli stava crescendo dentro e che diventava il suo peggior nemico. Occupare la presidenza, dopo il lungo periodo di egemonia di imprenditori barbari e puerili, gli sembrava un compito gradevole, che aveva arricchito con il suo titolo di ingegnere e di master in Belle arti ottenuto all'Università di Boston, una scizofrenia culturale che tanti successi di curriculum gli aveva procurato nel passato” [p. 20].

C'è poi il momento del brindisi:

“Qualcuno stappò una bottiglia di cava (nota: spumante catalano simile allo champagne) e un cameriere armò ciascuno dei presenti di un calice pieno, momento scelto da Basté de Linyola per il brindisi. Aveva in mente un frasario completo di brindisi che aveva ripassato quel mattino prima di uscire di casa. Gli piaceva specialmente quello che aveva adoperato in occasione dell'omaggio che i giovani imprenditori barcellonesi avevano dedicato a Juan Carlos quando era ancora un principe protetto all'ombra di Franco.
'Altezza, desidero che in queste bollicine vediate l'impazienza di un popolo nel suo cammino verso la modernità.'
Non era stato neanche male il brindisi in onore del presidente della Generalitat ricostituita, quando era da poco diventato presidente della Camera di Commercio e Industria:
'Honorable, el cava ès el nostre sìmbol. Ha estat necessari batejar-lo de nou, però continua essent el mateix' ( nota: Onorevole, il cava è il nostro simbolo. E' stato necessario ribattezzarlo, ma continua a essere lo stesso'. Il cava si chiamava un tempo champagne, ma le pressioni dei produttori francesi costrinsero al cambiamento del nome.)
I brindisi di Basté de Linyola erano sempre oggetto di commento della cosiddetta classe politica e c'era chi li attribuiva a un rinomato scrittore, ospite abituale del suo yacht. Basté de Linyola conosceva questa voce infondata e la coltivava, come quella sui suoi pezzi teatrali segreti o quell'altra sulle sue composizioni musicali inedite che interpretava nella solitudine dello studio, con la voluttà onanista del sepolto vivo che conosce il giorno e l'ora della sua resurrezione” [p.21]

Carvalho si reca alla conferenza tenuta da Basté:

“furono i suoi passi incontrollati a indirizzarlo al Collegio degli avvocati dove Basté de Linyola, ex membro della Giunta del Collegio, dissertava su “Crescita urbana e speranza olimpica”, presentato da Gérman Dosrius, relatore di cultura nella giunta dirigente. [...] Si mescolò tra la concorrenza, evidentemente selezionata, anche se di tanto in tanto gli sembrò di scorgere resti antropologici dei “progre” (nota: da progressista, anticonformista o contestatario di sinistra, non necessariamente impegnato) degli anni Sessanta e Settanta, sempre con peli bianchi tra i baffi e quello sguardo da animale tradito dalla storia che i progre avevano cominciato a coltivare sin dall'inizio degli anni Ottanta. La sala incuteva lo stesso rispetto che deve ispirare la legge e, sia il presentatore che il relatore, sembravano appensa usciti dalla sartoria più cara di Barcellona” (p. 101).

Basté non lo aveva convinto, ma nemmeno gli aveva fatto l'effetto contrario. Lo aveva sorpreso in una scenografia civica dove veniva trattato come un patrizio [...] come oratore patrizio gli era sembrato un cinico (p. 107)

Coloquio rivelatore Dosrius-Basté su Sanchez. Impazienza di Basté: il campo di calcio deve essere venduto:

“Basté aveva adoperato Dosrius in veste di avvocato ogni qualvolta doveva affrontare un affare complesso, uno di quegli affari che la sua ex-moglie gli avrebbe criticato chiamandolo speculatore e cinico, lui, un uomo che appena trentenne era riuscito a costruisri un'immagine pubblica di onestà democratica e audacia di imprenditore privato che predicava la filosofia del neoliberismo dando lui l'esempio. Dosrius aveva azzeccato fin dall'inizio il principio del proprio ruolo, quello di cavarsela con i dati fornitigli da Basté e procurargli le soluzioni senza spiegargli i metodi e rendendosi esclusivo responsabile dei medesimi. L'operazione dei terreni del Centellas implicava più di una dozzina di costruttori e industriali complementari che riponevano in Basté la loro fiducia in quanto affarista fortunaato e con credito sociale, addirittura accettavano che nelle scarse e discrete riunioni che avevano avuto, Basté li avesse messi a sedere su poltrone più basse e scomode, mentre lui muoveva la ben conservata ossatura e le braccia da concertista su una poltrona girevole Charles Eames che già suo padre aveva fatto importare negli anni trenta e che Carlos Basté de Linyola si era tirato dietro in tutti gli uffici e studi, come un amuleto portafortuna. A quelle rade riunioni Sanchez Zapico aveva apportato la propria brutale rozzezza e la sua stuzia d'imprenditore topesco, Dosrius la chiarezza tecnica, e Basté la benedizione apostolica [...]
“Tu sai meglio di chiunque che il fattore tempo è essenziale. Abbiamo tutto pronto. L'offerta alla giunta dirigente: abitazioni, parco pubblico e zona di servizi con asilo nido, centro sociale e persino un locale per la terza età. Il municipio ci da qualche mefdaglia e i guadagni possono diventare favolosi” (p. 147)

“Dosrius colse il silenzio che seguì per rendersi ancora una volta conto che quanto lui sapeva su Basté de Linyola non sarebbe bastato a macchiarli neanche l'orlo del polsino bianco della camicia, perché a tutti gli effetti ne risultava Dosrius il macchinatore e il responsabile. Dieci anni come avvocato del lavoro, pagato con il danaro sudato dalle organizzazioni operaie clandestine. Altri dieci come avvocato dell'imprenditoria e quasi sette all'ombra irreprensibile di Basté de Linyola, in veste di paggio del suo immacolato patriziato.” (p. 148)


Contesto

Manuel Vazquez Montalban

 


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