Storia della letteratura europea - Torna in homepageGiovanni Giudici


Giovanni Giudici

Giovanni Giudici è nato a Le-Grazie [La-Spezia] nel 1924. Vicino alla poesia montaleiana, tende al recupero della tradizione crepuscolare, piegando la scrittura poetica a una paradossale voontà autobiografica: l'io cantato diviene io sociale, mosso da rivendicazioni e moralità. Il verso di Giudici è un elaboratissimo 'narrato', talvolta al limite del manierismo: La vita in versi (1965), Autobiologia (1969), O Beatrice (1972), Il male dei creditori (1977), Il ristorante dei morti (1981), Fortezza (1990), Quanto spera di campare Giovanni (1993). Domina il senso di una pacatezza caratteriale, una 'minorità' di chi conosce la morte e la relatività delle cose ma non perde il senso e il sapore degli affetti umani. Scrive proprio in "Quanto spera di campare Giovanni":
«Non stiate a interrogarvi che cosa | rumina mai - seduto | nel vano qui della finestra tuttavia | volte le spalle alla vista | basti per lui lasciare | strizzato goccia a goccia | un non tempo allargare la mente strenuata | pensando il non pensare».
Un ritmo della poesia cadenzato, schietto, che diventa discorso e canto. Leggiamo ancora in "Quanto spera di campare Giovanni": «Ma il Paradiso sta | nella sua aspettazione - | ché un pozzo senza fondo è il possesso | anche se non negabile sia la gioia dei corpi [...]». L'esistenza vissuta con pena e sgomento è detta da una lingua limpida e ferma, mentre tutt'attorno si fa il silenzio: «Farsi dentro la testa | silenzio essere semplici | bello e gentile è l'ordine | a chi dentro vi è ordinato». La trasparenza metrica, sintattica, lessicale della sua poesia si arricchisce in questa raccolta grazie alla fita luminosa presenza di ottonari e settenari giambici o trocaici, di ascendenza metastasiana (nel colore) e manzoniana (nella verità e precisione della pronuncia). E' un flusso di memorie, eventi brucianti, tragedie pubbliche e affanni privati, scandito nelle quattro sezioni della raccolta. E «se il vero che ci sovrasta | è una lingua più che muta», è anche vero che «ecco che indecifrabile si fa | il disegno del mondo in matto mutare»: con il gioco fonico e di significato possibile in italiano tra muto/mutare, rendendo verbo il muto=zittirsi. Ne "Il ritratto" presente all'interno della raccolta è l'ironica autodescrizione con le «desolate mani nelle mani | e l'inerme nerezza senza quiete | ingenuo a orrori lontani». Maestro desolato e ingenuo, vivo di fronte alla nerezza senza quiete del presente e del futuro incombente. Il suo è un sapere inerme, che pone le proprie briciole di saggezza in punta di piedi, con dolcissimo strazio, nella coscienza che «tutta baci riparte la vita senza di noi».
Una raccolta di saggi è La donna non cercata (1985).


© Antenati, 1995-6

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