Giuseppe
Berto
Giuseppe Berto
Giuseppe Berto nel 1970 circa. Foto di M. Giuliani. |
Giuseppe Berto è nato a Mogliano
Veneto (Treviso) nel 1914. Ha partecipato alla seconda guerra
mondiale sul fronte africano ed è poi stato prigioniero
di guerra in un campo statunitense maturando un distacco
dal fascismo. Vissuto tra Roma e Capo Vaticano (Calabria).
E' morto nel 1978 a Roma.
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Ha pubblicato libri di narrativa in parte
ascrivibili al filone neorealista: Il cielo è rosso
(1947) pubblicato da Leo Longanesi e vincitore nel 1948 del premio
Firenze per la Letteratura, Le opere di Dio (1948),
Il brigante (1951). Altre opere sono in parte volti a una
inquieta indagine psicologica: Il male oscuro (1964) il
suo romanzo più noto e vincitore in una sola settimana
del premio Viareggio e del premio Campiello - "eccezionalmente,
e senza che nessuno lo volesse", come ebbe a scrivere qualche
anno dopo -, La cosa buffa (1966). All'apologo "fantascientifico"
si è dedicato con La fantarca (1965) edito da Rizzoli
con 11 tavole a china di Herbert H. Pagani. Il racconto è
quello di chi postula, provocatoriamente, la risoluzione dei problemi
meridionali (sottosviluppo ecc.) tramite l'eliminazione del problema
alla radice: inviando tutti i meridionali tramite un'astronave
via dalla Terra. Racconto tra il satirico e l'umoristico, alla
cui base è un sentimento offeso e acre. Diario-testimonianza
sulla guerra d'Africa è Guerra in camicia nera
(1955). Pamphlet provocatoriamente «conservatore» è la
Modesta proposta per prevenire (1971).
Una rilettura della figura del Giuda evangelico
è ne La gloria, tra le sue cose migliori accanto
a "Il male oscuro".
Immagine di copertina di "Oh, Serafina!"
edito da Rusconi nel 1973.
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Interessante anche la "fiaba di ecologia,
di manicomio e d'amore" (come è nel sottotitolo)
intitolata Oh, Serafina! (1973) pubblicato presso
Rusconi. Mentre la società letteraria italiana cercava
in qualche modo di reagire alle diverse sollecitazioni di
quello che accadeva - a livello sociale e politico, l'età
dei movimenti collettivi e delle contestazioni - Berto sornione
dice la sua imbastendo una sua "fiaba" che è
anche controcanto a tutti i cantori delle utopie industrialiste
o terzomondiste dell'epoca. Protagonista è un giovane
industriale incapace di accettare il mondo del "miracolo
economico": Augusto Secondo, il suo nome, è
un disadattato che trova nella compagnia degli uccelli gli
unici compagni degni a questo mondo; nell'epoca dell'industria
e della cementificazione, non trova nessuno che lo comprenda,
finisce in manicomio e qui incontra la donna (Serafina,
appunto) nelle vesti di una freak mistico-induista anche
lei alla ricerca della sua nicchia dal mondo. La troveranno,
perché questa è una favola, in cui anche la
morte quando è presente - il suicidio del padre Giuseppe,
la morte della madre ecc. - non dà "problema",
è solo un elemento del percorso fiabesco. Una favola
grondande elementi di attualità, profondamente evasiva:
attraverso l'apologo fiabesco il "disimpegnato"
Berto vuol dire la sua morale, in controtendenza e controcorrente
rispetto ai modi e alle formule (spesso astratte) del dibattito
contemporaneo, ma anche divertendosi e divertendo.
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Le cose migliori di Berto sono quelle in cui
si inserisce nel filone psicologico-esistenzialista. Ci si riferisce
soprattutto a "Il male oscuro", contraddistinto da una prosa fluida,
che mostra di aver digerito e metabolizzato la lezione joyceiana
del "flusso di coscienza", senza più esibirne le caratteristiche
di "avanguardia" ma usandone in maniera precisa e opportuna. E
a "La gloria", in cui la vicenda umana si pone a confronto e in
contatto con la vicenda divina, con i grandi problemi collettivi
e esistenziali, ma sempre dalla parte dell'umano.
© Antenati, 1995-6. - Last updating: March, 2000.
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