Storia della letteratura europea - Torna in homepageIngeborg Bachmann


Ingeborg Bachmann


1) Notizie biografiche

Ingeborg Bachmann nacque a Klagenfurt [Carinzia] nel 1926. Laureatasi a Vienna, soggiornò molto all'estero, tornando di tanto in tanto in Austria: London, Paris, Berlin, ma soprattutto Roma. Si trasferisce qui definitivamente nel 1965. Morì a Roma il 17 ottobre 1973 in seguito alle ustioni riportate in un incendio divampato nella notte del 26 settembre, nella sua casa di via Giulia.

2) Opera

Esponente del gruppo 47 negli anni '50, ha scritto romanzi, racconti, versi. La sua opera è stata raccolta in quattro volumi, a cura di Christine Koschel e Inge von Weidenbaum nel 1978. Tra i suoi drammi radiofonici, contrassegnati dalla ricerca di nuove forme espressive, si ricorda Il buon dio di Manhattan (Der gute Gott von Manhattan, 1958). Tra le sue raccolte liriche sono Il tempo dilazionato (Die gestundete Zeit, 1953), L'invocazione dell'Orsa Maggiore (Die Anrufung des Grossen Bären, 1956). Melodiosamente libera sul piano formale, la sua poesia ha forti tendenze intellettualistiche, una simbologia molto ricercata. Uno dei problemi centrali della sua produzione è trovare una lingua fuori dalle formule, dalla routine, per sfuggire a quel «linguaggio di seconda mano» che ci fa «vivere di riporto».
Si legga una delle poesie incluse ne "L'invocazione all'Orsa Maggiore", "A voi, parole":
«A voi, parole, orsù seguitemi! | Anche se già ci siamo spinti avanti, | fin troppo avanti, ancora si va | più avanti, si va senza fine. || Non vie è schiarita. || La parola | non farà | che tirarsi dietro altre parole, | le frasi altre frasi. | Così il mondo intende | definitivamente | imporsi, | esser già detto. | Non lo dite. || Seguitemi, parole, | che non diventi definitiva | - questa ingordigia di parole | e detti e contraddetti! || Lasciate adesso per un poco | ammutolire ogni sentimento: | che il muscolo cuore | si eserciti altrimenti. || Lasciate, vi dico, lasciate. || Non sussurrare nulla, | nulla, dico, all'orecchio supremo, | che per la morte nulla | ti venga in mente: | lascia stare, seguimi, | né mite né amara, | non consolatrice | né significativamente | sconsolante, | ma nemmeno priva di significato - || E soprattutto niente immagini | tessute nella polvere, vuoto rotolare | di sillabe, parole di morte. || Nemmeno una, | o parole!»
La consapevolezza di tutta la produzione di Bachmann è proprio questa: che «non vi è schiarita».
Summa della sua opera narrativa è Malina (1971), primo romanzo del ciclo dedicato ai "Modi di morire" (Todesarten). Raccolte di racconti sono Tre sentieri per il lago, e Il trentesimo anno (1961). Romanzo incompiuto Il caso Franza. Interessante anche la tesi di laurea, "La ricezione critica della filosofia esistenziale di Martin Heidegger", ma soprattutto le raccolte dei suoi saggi e articoli e interviste.

3) Valutazioni

Bachmann spinge la sua indagine esistenziale di donna e di scrittrice a un limite estremo. Per lei l'infelicità è la conseguenza di un difetto strutturale della società, che si riflette nella feroce autorità paterna e nella violenza contro gli ebrei. La scrittura, l'unico mezzo per guarire le ferite provocate dall'esistenza. La ricerca è quello per l'autentico. Raccogliendo un tema centrale che aveva elaborato nei suoi saggi sul "Trattato logico-filosofico" di Wittgenstein, Bachmann individua l'unico linguaggio autentico solo nella tensione della parola verso l'indicibile, l'ombra, la tenebra. Un linguaggio che si esercita nella tensione verso ciò che nel linguaggio si mostra, ma non può essere detto e esplicitato. Scrive nella prima delle cinque Lezioni di Frankfürt, "Domande e pseudodomande":
«La realtà acquista un linguaggio nuovo ogni qualvolta si verifica uno scatto morale, conoscitivo, e non quando si tenta di rinnovare la lingua in sé, come se essa fosse in grado di far emergere conoscenze e annunciare esperienze che il soggetto non ha mai posseduto»
Non si tratta solo di una esperienza strettamente intellettuale, letteraria e filosofica, ma soprattutto di un nuovo impegno etico, esistenziale. Bachmann recepisce l'indicazione di Wittgenstein sul limite del linguaggio, ma segnala la speranza che il sentimento della vita, che al linguaggio della metafisica è vietato comunicare, può trovare la sua espressione attraverso la forma artistica della poesia e della narrativa. E' una speranza linguistica e un impegno etico entro i quali il linguaggio è sospeso tra l'accertamento positivistico dei fatti (il mondo come è: «il mondo come lo trovai», dice Wittgenstein) e il mondo del tempo che non c'è ancora. In un passo decisivo delle "Lezioni di Frankfürt" Bachmann dice che al poeta nel migliore dei casi riusciranno due cose rispetto al mondo storico determinato: «rappresentare, rappresentare l'epoca sua, e presentare qualcosa per cui il tempo non è ancora venuto». Vi è una forte carica etica e utopica nella poetica di Bachmann. Il tempo ("il tempo dilazionato" come nel titolo di una delle raccolte poetiche) non è neutro, lineare scorrere indifferente di istanti, ma è un tempo che esige prese di posizioni, decisioni, un 'tempo urgente'. Il mondo della poesia di Bachmann emerge come una tensione nei confronti dei valori traditi della lingua e della società esistenti. E' da questi che si prende congedo, ma è anche verso di essi che continuamente Bachmann fa ritorno. La parola poetica va alla ricerca dei valori che nella loro realizzazione storica sono stati traditi e assassinati: è per questo che Bachmann afferma la necessità che gli uomini debbano soffrire il loro passato. Scrive in "Malina":
«La lingua è il castigo. Tutte le cose devono entrare in essa e debbono poi scomparire secondo la loro colpa e secondo la misura della loro colpa»

4) Bachmann e Bernhard

L'inferno bachmanniano è anche l'insuperabilità del linguaggio. Il linguaggio non può essere superato, ma lo si può mettere in discussione dall'interno. E' ciò che avvicina Bachmann a Thomas Bernhard. Pur muovendo da premesse e atteggiamenti diversi anche Bernhard ha praticato il linguaggio nel gioco delle sue alternative paradossali che coinvolgono istanze etiche estetiche e espressive. Bachmann stessa disse di essere rimasta molto colpita dalla scrittura di Bernhard e in particolare da "Perturbamento", e a Bernhard ha dedicato un saggio incompiuto: T. Bernhard: Ein Versuch. Sia Bachmann che Bernhard condividono una disperazione linguistica (e esistenziale) per effetto della quale non c'è più un mondo da rispecchiare, riflettere e descrivere, in quanto è venuta meno la corrispondenza tra realtà e linguaggio nella sua possibilità di comunicazione tra gli uomini. Tutto ciò che si comunica può essere solo una falsificazione. Di falsificazioni si dichiara vittima l'Io di "Malina", che percepisce il mondo come un'unica falsificazione:
«Ma soprattutto c'era una falsificazione. Io ero completamente falsificata, mi hanno messo in mano carte false [...]. Alla fine ero tutta una falsificazione»
Alla scrittura è riservato allora il compito di scoprire «il contenuto di verità della menzogna».
Scrive Bachmann: «si risveglia in noi il desiderio di oltrepassare i confini che ci sono imposti». Noi siamo nei limiti imposti, ma guardiamo a ciò che è perfetto, irraggiungibile: nel contrasto tra dicibile e indicibile noi estendiamo le nostre possibilità. I personaggi di Bachmann e quelli di Bernhard esprimono il bisogno di isolarsi in qualche luogo segreto e remoto per definire quella distanza dagli altri e dai fatti che consiste nel circondarsi di uno spazio di simbolizzazione. Questi luoghi sono un luogo di fuga ma anche un carcere, nel quale sono destinati a soffocare nella scissione e della depressione.
La struttura formale dei romanzi di Bernhard si regge tipicamente su un io scrivente che dà voce a un io narrante, che a sua volta cita le frasi di un terzo personaggio. Ma soprattutto la sua scrittura si esercita all'interno di un linguaggio come critica del linguaggio, destinata, come dice Bachmann, a annientare le frasi che provengono dal mondo esterno, dalla società.

L'opera di Bachmann e quella di Bernhard definisce un regime linguistico e esistenziale di domande che continuamente si ripropongono e che non ottengono mai una risposta. Per effetto di un esercizio tormentato e spietato che la scrittura dei due scrittori conduce sul linguaggio e sul mondo storico-sociale che è filtrato attraverso il linguaggio, tale scrittura anziché aumentare la chiarezza della visione accresce l'incertezza. In "Malina" Bachmann sottolinea che gli uomini sono assorbiti in una tenebra nella quale si aggirano smarriti, destinati a errare dentro un mistero: un nero profondo nel quale riversano l'interrogazione del mistero che essi stessi costituiscono. In queste condizioni sono messe in discussioni le immagini. Esse costituiscono il non-pensato, sono l'imposizione violenta di una univocità della rappresentazione che blocca il movimento del pensiero-linguaggio il quale si misura con l'oscuro e l'indicibile. Bachmann testimonia in tutta la sua opera di un sogno linguistico (e esistenziale) che è un'intenzione che si dirige aldilà del linguaggio verso qualcosa di indicibile che fa ammutolire i suoi personaggi; così come Bernhard coglie in ciò che non possiamo definire come verità, la normale sopravvivenza, nella verità il paradossale abisso. Bachmann denuncia la corruzione del nostro pensiero e della nostra sensibilità a opera della civiltà e alla fine riconduce la responsabilità di questa corruzione dell'esistenza umana a quell' «illuminismo che già perpetua le peggiori devastazioni tra i minorenni confusi» ("Malina"). Gli esercizi di pensiero e di linguaggio di Bachmann, come anche Bernhard, hanno come origini e come destino il dolore, che per Bernhard è il centro dal quale deriva ogni cosa: il «dolore monumentale» nel quale gli uomini sono immersi. E' il dolore sconfinato che cancella, in Bachmann, ogni possibilità di conoscenza. Attraverso i propri esercizi intellettuali l'uomo diviene vittima del suo linguaggio e del suo pensiero, che assumono progressivamente l'aspetto di una concatenazione meccanica e coattiva che porta alla scissione della personalità, alla depressione e all'estinzione finale:
«Tutti i pensieri si possono impiegare per la completa distruzione della nostra propria esistenza, così come per la distruzione di ogni esistenza» (Th. Bernhard, "Watten")
Rispetto alla condizione umana destinata al dolore e alla follia, a compiti impossibili impraticabili fino all'estinzione finale, sia in Bernhard che in Bachmann l'unica speranza è la scrittura: unica redenzione degli uomini altrimenti travolti dalla disperazione e dal delirio. Come aveva esclamato Ulrich ne "L'uomo senza qualità" di Musil, la nostra vita dovrebbe consistere tutta solo di letteratura... Pensiero e linguaggio sono una corsa fatale verso la disintegrazione della personalità; rimane la letteratura che, mediante un nuovo dispositivo linguistico, interrompe questa corsa, redime il momento mortale oltrepassando il quale l'uomo sprofonda nella tenebra e nella follia. La letteratura diventa "l'altro" della esistenza umana, il punto in cui la vita con i suoi tormenti confusi va a raccogliersi, anziché disperdersi in mille schegge. La letteratura assume una funzione terapeutica, occupa lo stesso posto della psicoanalisi ovvero la psicoanalisi si è alloggiata nel luogo di quell' "altro" che è stato da sempre il luogo originario della letteratura. Non per quello che dicono e vogliono dire nel corso della loro esistenza gli uomini possono salvarsi dalla disperazione e dalla follia, ma per il fatto che essi stessi e i loro pensieri sono raccontati che c'è una scrittura che si fa carico di loro. Per questo sia Bachmann che Bernhard hanno stabilito una condotta di scrittura che è filosofica e letteraria: una scrittura che è un pensiero raccontato.
Nonostante la differenza del tono e dello stile della loro scrittura, entrambi delineano attraverso sogni, utopie e deliri una doppia esistenza. Essa diviene, attraverso il filtro del linguaggio, la doppia storia. Questa storia può essere scritta solo da colui che, entrando in conflitto con il mondo, con la società e il linguaggio ufficiale che lo circondano, vive sospeso nella tensione tra ciò che reale, violento, brutale (la lingua cattiva), e il sogno di una nuova lingua che è il mondo che deve essere, che da sempre avrebbe dovuto essere. Ecco la «dismisura» di cui scrive Bachmann. Essa costituisce a fronte del mondo ostile quella scrittura che è la condizione della salvezza umana, atto poetico che è la ripetizione sostitutiva del mito della creazione del mondo.

Bibliografia: Ingeborg Bachmann

Die gestundete Zeit (1953)
Die Anrufung des Grossen Bären (1956)
Der gute Gott von Manhattan (1958)
-Il trentesimo anno (1961)
-Tre sentieri per il lago
Malina (1971)
-Il caso Franza



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