Luigi 
              Bertelli  
            
             
             
              Luigi Bertelli 
               
               Luigi Bertelli nacque a Firenze nel 1858 
                (morì nel 1920). Col laborò a numerose riviste di 
                satira politica e sociale. Tra le sue pubblicazioni per l'infanzia, 
                in cui fuse felicemente propositi didascalici e umorismo, è 
                Il giornalino di Gian Burrasca (1912) brioso 'diario' di un ragazzo 
                vivacissimo e un po' ribelle, il notevole racconto Cindolino (1895), 
                e il libro in versi La storia di un naso (1915). Bertelli, che 
                usò lo pseudonimo di Vamba (il nome del buffone dell'"Ivanhoe" 
                di Scott), fondò anche un settimanale per i piccoli destinato 
                a divenire celebre in Italia, «Il giornalino della domenica». 
                Proprio sul Giornalino Vamba pub blicò in 55 puntate tra 
                il 1907 e il 1908 il "Giornalino di Gian Burrasca" poi uscito 
                in volume nel 1912. A differenza del "Cuore" di De Amicis, "Gian 
                Burrasca" non entrò nel canone scolastico dei libri per 
                l'infanzia, mentre ha avuto un successo più ristretto rispetto 
                al "Pinocchio" di Collodi. Più lacrimoso il primo, favo 
                listico il terzo, il personaggio di Gian Burrasca non è 
                solo uno che ne combina di tutti i colori per semplice ribellismo. 
                Gian Burrasca è uno che tira le conseguenze dei discorsi 
                degli adulti, ciò per cui gli adulti appaiono nella loro 
                realtà ipocrita e di sonesta: i medici curano per denaro, 
                gli educatori trovano una identità solo nell'autoritarismo, 
                i politici sono interessati al traffico del tornaconto, i preti 
                nascondono dietro «presepi, zam pogne e cartoline della bontà» 
                reale mancanza di fede. Chiarendo i motivi ispiratori del "Gian 
                Burrasca", Vamba scrisse che «i bambini sono germogli genuini 
                della pianta umana, non ancora concimati da tutte le ipocrisie 
                sociali né potati nelle loro fresche energie da leggi di 
                convivenza e di convenienza, né piegati artificiosamente 
                coi lacci di tutte le limitazioni, di tutte le convenzioni, di 
                tutte le ridicolaggini che regolano la nostra esistenza nella 
                collettività». Alla fine della sua storia Gian Burrasca 
                capisce che «è inutile: il vero torto di noi ragazzi è 
                uno solo: pigliar sul serio le teorie degli uomini [...] In generale 
                accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità 
                di cose belle e buone [...] ma guai se uno dei loro ottimi insegnamenti, 
                nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro 
                calcoli, o i loro interessi!». Gian Burrasca scopre le leggi della 
                società adulta, e che queste leggi sono ferree e immodificabili: 
                «i piccini di fronte ai grandi hanno sempre torto, specialmente 
                quando hanno ragione». 
               
              
               
              [1997]
              
             
            
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