Storia della letteratura europea - Torna in homepageThornton Wilder


Thornton Wilder


Nato a Madison [Wisconsin] nel 1897, figlio di un diplomatico, studiò in Cina per laurearsi poi in archeologia a Princeton in USA, perfezionandosi sempre in archeologia presso l'Accademia Americana di Roma. Morì a New Haven [Connecticut] nel 1975.
Esordì come narratore nel 1926 con il romanzo La cabala (The cabala). Nel 1927 è un altro romanzo, Il ponte di San Luis Rey (The bridge of San Luis Rey): con esso ottenne il premio pulitzer e il successo di critica e di pubblico. La storia è quella, narrata retrospettivamente, di un gruppo di persone che un tragico destino porta a morire nel crollo di un ponte nel Perù del XVIII secolo. Wilder vi esemplifica la visione di un disegno misterioso che regola la vita degli uomini in armonia con il cosmo.
Ambientato nell'antica Grecia è il romanzo La donna di Andros (The woman of Andros, 1930). Le idi di marzo (The ides of march, 1948) definito da Wilder «fantasia di alcuni avvenimenti e perso ne negli ultimi giorni della repubblica romana». Entrambi i ro manzi documentano la maniera narrativa di Wilder, che contempera i moduli tradizionali con le suggestioni dello sperimentalismo di Gertrude Stein e di James Joyce.
Anche nella produzione teatrale Wilder contempera le due di verse esigenze. Già nell'atto unico Il lungo pranzo di natale (The long Christmas dinner, 1931) emergono il simbolismo e l'inclinazione alla parabola peculiari della sua narrativa. Tre generazioni sono ritratte insieme, come se fossero le stesse persone, nel rito annuale del pranzo natalizio in una famiglia perbene della provincia nordamericana. Si succedono le stesse persone che entrano, rimangono un poco in scena, indossano talvolta una parrucca bianca per poi uscire dal lato opposto. A sinistra sta una porta decorata con frutti e fiori, a destra un'altra porta drap peggiata da un velluto nero (le porte dell'Averno virgiliano). La scena è spoglia, come sempre nel teatro di Wilder: un tavolo e qualche sedia. Il natale, giorno dei rituali per eccellenza, di venta arresto e scansione per nascite matrimoni e morti. Il primo natale è «una bella mattinata di sole, la neve, e una predica stupenda. Il reverendo McCarty ha pronunciato una predica commo vente. Mi ha fatto piangere dal principio alla fine». Nel secondo natale il cielo è coperto e non nevica, ma «la predica è stata magnifica. Ho pianto dal principio alla fine», ripete quella che all'inizio erala figlia e ora è la madre. Al terzo «è una matti- nata piena di vento [...]. E che bella predica in chiesa! Non ho fatto che piangere tutto il tempo» ripete Lucy ora nonna. Nell'ultimo dei natali «fa proprio freddo [...]. La mamma tornava dalla chiesa dicendo [...]» ricorda il suo figlio Charles. Tutti osservano e ripetono sempre una stessa frase, con poche varianti. L'andirivieni della scena non è un balletto comico ma l'insignificante, tragicissimo trascorrere delle nostre esistenze. Il passato sembra impossibile, «non può essere accaduto», eppure è stato tale e quale. L'aiuto a sopportarlo, questo trascorrere e gli incidenti strazianti che vi si producono e che sono subito dimenticati, può avvenire solo dall'oggettività del fluire sempre uguale del tempo. E' come se non passasse mai. Non solo nei natali la predica del reverendo McCarty fa sempre piangere, non solo sul palcoscenico tutto ricomincia da capo. Questa è la vita, come ne "La pelle dei nostri denti" scritto da Wilder una decina d'anni dopo, sarà la storia. L'unico personaggio che sembra recare una speranza è l'unico rampollo della famiglia Bayard, Roderick, il quale si rifiuta di «ficcarsi nella vostra vecchia fabbrica» e se ne va «da qualche parte dove il tempo passa». Annotava Wilder che «benché il linguaggio, i modi e le azioni degli attori siano realistici, la rappresentazione dovrebbe stimolare la fantasia». Tocca allo spettatore capire ciò che i personaggi presentano se condo la regola classica del minimo mezzo.
Il vertice è toccato da Wilder con La nostra città (Our town, 1938), che ebbe notevole successo e fu premiato con il pulitzer. In questa commedia Wilder parte dai minuti cerimoniali della vita sociale per ricostruire la trama che unisce i molti, frammentari e a prima vista incoerenti fatti dell'esistenza, conferendo a quest'ultima un significato quasi religioso. La complessità della trama è resa attraverso il meccanismo del teatro nel teatro, con suggestioni pirandelliane ma in chiave di un sommesso crepuscolarismo.
La pelle dei nostri denti (The skin of our teeth, 1942) ha per protagonisti la famiglia Antrobus: si tratta di una parabola sulla vita dell'uomo e sui ricorsi della storia, con echi dichiarati dalla joyceiana "Veglia di Finnegan" e con un singolare equilibrio tra dramma e farsa ai limiti del surreale. Vicina in parte alle invenzioni cinematografiche di "Hellzapoppin" che Wilder sembra anticipare.



[1997]

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