Lu
Hsün
Lu Hsün
Nato a Shaohsing (Chekiang) nel 1881 (morì
a Shanghai nel 1936), il suo vero nome era Chou Shu-jen. Trascorse
l'infanzia nell'ambiente di campagna di Shaohsing: il padre malato,
il nonno funzionario in prigione, allevato dalla madre (dal cognome
della madre derivò il suo Lu). Nel 1897 è a Nanchino.
Dal 1901 fu in Giappone dove studiò medicina, interrompendoli
nel 1909 quando scelse di tornare in Cina e svolgervi attività
letteraria. Il periodo giapponese è importante perché
qui sviluppa i suoi rapporti con la cultura occidentale, inizia
allora a tradurre dal russo e dalle letterature slave e scandinave;
a Tokyo partecipa anche all'intensa attività politico-culturale
degli studenti cinesi, a carattere progressista e patriottico;
nel 1908 entra nella lega rivoluzionaria anti-manchu "Kuang fu
hui".
Nel 1909 a Shaohsing, la sua città
natale, insegna fisica e chimica; con la rivoluzione del 1911
è nominato direttore della scuola normale e poi nel 1912
funzionario del ministero della pubblica istruzione. Per H. è
un periodo di isolamento e delusio ne per le riforme democratiche
che non trovavano realizzazione dopo le prime fasi di euforia.
Dal maggio 1918 collaborò a «Hsin
ch'ing-nien» (Gioventù nuo va), la principale rivista del movimento
per la nuova cultura, su sollecitazione di Ch'en Tu-hsiu: viene
così pubblicato il raccon to in lingua parlata Diario
di un pazzo ; aderì al "movimento del 4 maggio" di
cui fu la personalità letteraria di maggior spicco.
Insegnò nella scuola normale superiore
di Pechino (1920-23, nel 1923-25 nella scuola normale superiore
femminile). Costretto a lasciare Pechino in mano ai signori della
guerra, fu all'uni versità di Amoy (1926), e poi a quella
di Canton dove insegnò lingua e letteratura cinese (gennaio
1927). Dopo i massacri dell'aprile 1927 si dimise e si ritirò
a Shanghai (ottobre 1927). Nel 1930 fece parte della Lega degli
scrittori di sinistra appena fondata. Partecipa in primo piano
alla "battaglia degli slogans", la rivendicazione contro le strumentalizzazioni
dei burocrati (il PCC allora era filobolscevico di stretta osservanza
moscovita) per il diritto-dovere degli scrittori a non scendere
a compromessi sul piano teorico e ideologico, né a uccidere
i contenuti socialisti a favore dell'accettazione borghese.
Nemico delle 'avanguardie letterarie' e dei
falsi rivoluzionarismi culturali, appoggiò la rivolta degli
studenti e dei giovani intellettuali, avendo chiari i limiti dell'opera
artistica ai fi ni politici e, al tempo stesso, affermandone la
specificità. Autore di molti racconti, di pochi versi e
di numerosissimi saggi (la sua opera consta di circa 15 volumi
di saggi, 1 volume di prose poetiche e 1 di prosa lirico-narrativa,
2 volumi di racconti, 1 di storie, e alcuni studi tra cui è
anche una Breve sto ria della narrativa cinese , un ricco epistolario
un diario), Lu hsün è uno dei maggiori scrittori cinesi
di questo secolo. Ha dato un contributo decisivo alla formazione
di uno stile letterario nuovo e di una lingua parlata di altissimo
livello. Nei saggi ha fatto uso di violenta ironia, diretta contro
l'intera tradizione cinese e molti letterati, oltre che contro
gli avversari politici.
Conoscitore e traduttore degli scrittori
europei, non è mai diventato un apolide culturale; la sua
opera mantiene la conti nuità con il passato, richiamandosi
in modo non demagogico alla realtà del popolo e puntando
sul rigore dello stile. Egli non fu mai un populista, ma un antitradizionalista
profondamente nutrito di tradizione. Il suo atteggiamento è
più quello di un illumini sta che trova nella realtà popolare
la premessa, lo strumento e il potenziale destinatario della sua
opera contro la Cina "man giatrice di uomini". Un atteggiamento
che lo porta, dopo il 1927, ad abbandonare la produzione di fiction
per occuparsi esclusiva mente della saggistica, rivolgendo la
sua opera per intero a fini pratici.
I suoi racconti sono raccolti nei volumi
Alle armi , Errare in certo (1918-1926), oltre che in Vecchie
leggende rielaborate (1926-1927, 1930). Tra le sue cose migliori
è anche la raccolta di racconti Erbe selvatiche .
Il suo primo racconto, "Il diario di un pazzo",
fu accolto come una svolta storica nelle lettere cinesi, oltre
che essere vio lentemente osteggiato dai tradizionalisti. La novità
non era tanto che fosse scritto in lingua parlata né che
si opponesse alla morale e ai princìpi tradizionali e ufficiali.
La vera novità era che il racconto mutuava la struttura
e il tono dalla narrativa contemporanea europea. Inoltre ciò
che si contestava era l'intera civiltà cinese, non una
sua parte. Non si trattava di una sempli ce polemica ma una scoperta
dolorosa e disperata. La civiltà ci nese era denunciata
come barbara negazione dell'umano. L'espressione "mangiatori d'uomini"
divenne in breve proverbiale.
La posizione programmatica di Lu hsün
è illuministica e pedagogica. Nei racconti domina uno stato
d'animo di angoscia disperazione solitudine: la "malattia" è
denunciata perché possa essere curata, ma con gusto sadico
del particolare, l'ironia pungente non distaccata. Il suo rifiuto
dell'arte-per-l'arte lo porta alla semplificazione dei dettagli,
la riduzione del dialogo al minimo, a non caricare i toni. Così
rappresenta la realtà amara di "Medi cina", "Sapone", "Ah
Q", senza mai calarsi dall'alto: Lu hsün non è un
cinese europeizzato, né il "proletario avanzato" che viene
ad ammaestrare il popolo oppresso e incolto affinché divenga
qualcosa di diverso da ciò che è, rinnegando se
stesso. Né è un esteta populista che si compiaccia
della bellezza e della verità della tradizione che nel
popolo vivrebbe autentica. Egli si iden tifica con quel popolo
degradato, cerca una via d'uscita in un recupero di autenticità.
Scrisse nel finale del racconto "Villaggio
natale" (gennaio 1921): "Al principio sulla terra non c'erano
strade: le strade si formano quando gli uomini, molti uomini,
percorrono insieme lo stesso cammino".
Il racconto "Diario di un pazzo" è
la storia di un abitante di villaggio afflitto da mania di persecuzione.
Quella che è la 'malattia' di cui viene detto in termini
clinici "occidentali" all'inizio, secondo il sistema del manoscritto
ritrovato, in realtà diventa metafora non tanto e non solo
di uno stato di di sagio dell'individuo, ma il cogliere l'esatta
portata di ciò che è diventata una civiltà.
Il clima di repressione che condiziona i rapporti umani, la paura
reciproca: «hanno voglia di carne umana, e al tempo stesso hanno
paura di essere mangiati, perciò si ab bracciano a vicenda
con profondo sospetto». Il "diario" è la progressiva scoperta
di una realtà disumana, la progressione non esclude nessuno:
i vicini di casa, il cane del vicino, persino il proprio fratello
( «questa straordinaria scoperta, del tutto imprevista, non mi
ha sorpreso affatto: mio fratello faceva parte di coloro che volevano
mangiarmi! | Mio fratello è un mangiatore d'uomini!»).
La realtà è deprimente: «solo oggi mi accorgo di
essere vissuto tutto questo tempo tra gente che si ciba di carne
umana da quattromila anni [...]. E come posso io, dopo quattromila
anni di cannibalismo [...] come posso sperare di incontrare un
vero uomo?».
Il racconto si conclude con una invocazione che se non ha spazio
di speranza per sé cerca però una salvazione per
le generazioni future: «forse vi sono ancora bambini che non hanno
mangia to carne umana. Salvate i bambini!...». Racconto gogoliano,
che investe il ruolo dell'individuo all'interno della società
e delle sue regole. A differenza però di Kafka i cui personaggi
si trovano alle prese con una realtà dalle regole che schiacciano
l'individuo, vi è una differenza ba silare: l'uomo di Kafka
vorrebbe fare parte della società, vor rebbe capirne le
leggi e i meccanismi affinché, conoscendole, possa essere
parte della comunità; in Lu hsün invece la conoscen
za dei costumi della comunità provoca il rifiuto di quelle
leggi e quegli usi ritenuti dall'individuo inaccettabili: vi è
alla base di Lu Hsün un discorso etico-morale, ideologico,
di contrappo sizione alla società esistente. Il rifiuto
della società è in primo luogo il rifiuto dell'individuo
cosciente, il dire no, io non ci sto. Certo, c'è la coscienza
di essere irrimediabilmente contagiato anch'egli dall'inquinamento
della società, ma ancora non tutte le strade sono precluse,
esiste una teorica e virtuale possibilità di salvezza futura,
una zona franca non contaminata da cui è possibile ricominciare:
«forse [...] i bambini».
"La vera storia di Ah Q" (dicembre 1921) è
un racconto- 'biografia'. Lu hsün nell'introduzione fa la
parodia delle preoc cupazioni e puntualizzazioni che un 'biografo'
tradizionale fa rebbe alle prese con un personaggio poco nobile
come quello di Ah Q, sottoproletario maramaldesco e ingenuo della
Cina provinciale e campagnola, alle prese con le vicende pubbliche
e private della trasformazione (o, se si vuole, della mancanza
di vera trasforma zione) della società nel passaggio dall'impero
alla repubblica. Ah Q è il sempre-vinto, incapace di comprendere
la realtà della propria miseria, ma sempre disposto all'autoillusione:
i vincito ri quando hanno vinto il nemico, sentono il vuoto, la
solitudine della vittoria: «ma il nostro eroe non era così
privo di carattere; era sempre esultante, e questo può
essere una prova della supremazia morale della Cina sul resto
del mondo». Indicativi i suoi rapporti con l'alter-ego Piccolo
D. Nei suoi atteggiamenti come nelle sue superstizioni in lui
domina la superficialità. Del resto sono le vicende stesse
che si compongono nel senso della superficialità: la stessa
"rivoluzione" repubblicana non intacca minimamente la realtà
né quotidiana né i rapporti di potere all'interno
della società cittadina o di villaggio: i ricchi e privilegiati
continuano a dominare, mentre i contadini sono estranei a quanto
accade. L'unico segno del mutamento dei tempi, la tendenza alla
scomparsa dei codini: «D'estate, il fatto che ognuno si arrotolasse
il codino in cima alla testa e se lo annodasse, sarebbe parso
normale; ma era già autunno inoltrato e seguire in autunno
una moda estiva denotava un grande coraggio». La sua morte è
come la sua vita: tra casualità e coinvolgimento inconsapevole
nei meccanismi della macchina sociale cinese, della "storia":
accusato di un furto che non ha commesso ma di cui non rivendica
neppure l'innocenza, estraneo al meccanismo processuale che coinvolge
interessi di potere dei nuovi/vecchi potentati, viene fucilato:
«Naturalmente tutti furono concordi nel dire che Ah Q era un mascalzone;
se non fosse stato così, perché l'avrebbero fucilato?
In città l'opinione pubblica fu piuttosto sfavorevole;
erano quasi tutti insoddisfatti, perché una fucilazione
non è spettacolare come una decapitazione. E che prigioniero
ridicolo, poi: era passato per tante strade senza neanche cantare
un verso d'opera! Lo avevano seguito per niente».
Vecchie leggende rielaborate appartengono
a una semi-vacanza dello scrittore, momento di abbandono all'estro
e alla fantasia, oltre che alle letture e ai personaggi della
tradizione. Lu hsün se ne fa gioco allegramente, con la disinvoltura
della familiarità. Il suo atteggiamento è ironico,
qui più sorridente e disteso rispetto ai racconti. Della raccolta
fa parte il racconto "Fuga sulla luna" (1926) in cui protagonista
è il famoso arciere I, protagonista già di antiche
leggende tra cui quella nella quale risolve una grave crisi astrale
cinese, causata dall'improvviso sorgere di dieci soli che avevano
bruciato tutti i raccolti, colpendone a freccia te nove e lasciando
quello attuale. Si tratta di una favola pa raecologica: I innamorato
di Ch'ang-ngo va a caccia per lei, ar rivando a sterminare tutti
gli animali della zona, fino a non riuscire a portare a casa quasi
più nulla di mangiabile. Dopo un'ultima avventura di caccia che
lo porta a uccidere la gallina di una vecchia (lui che era abituato
a uccidere cinghiali e or si), tornando a casa trova che l'innamorata
ha preferito lasciar lo, volandosene sulla luna, usando una pozione
magica che lui possedeva. Per la rabbia scaglia tre frecce contro
la luna, inutilmente.
[1997]
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