Giovanni
Pascoli
Giovanni Pascoli
1) Notizie biografiche
Nacque a San-Mauro-di-Romagna [Forlì]
nel 1855, figlio quarto- genito di Ruggero e di Caterina Vincenzi
Alloccatelli, visse i suoi primi anni nella tenuta 'La Torre'
dei principi Torlonia, di cui il padre era amministratore. A sette
anni entrò con i fratel li Giacomo e Luigi, nel collegio
degli scolopi di Urbino. L'ucci sione del padre (1867) in un agguato
fu l'inizio di una serie di sventure che lasceranno il segno sulla
sua esistenza. Dopo la morte della madre (1868), la famiglia,
sostenuta dal fratello Giacomo, dovette affrontare lunghi periodi
di ristrettezze. Co stretto nel 1871 ad abbandonare il collegio,
si trasferì con i fratelli a Rimini. Conseguì a
Cesena la maturità e vinse una borsa di studio che gli
permise l'iscrizione all'Università di Bologna, alla facoltà
di lettere, dove ebbe tra gli insegnanti Giosue Carducci. Qui
conobbe anche Severino Ferrari, con cui condivise molte esperienze
intellettuali. Nel 1875 perse il sussidio per aver partecipato
a una dimostrazione studentesca e non si potè iscrivere
al terzo anno. Dopo la morte del fratello Giacomo nel 1876, l'amicizia
con Andrea Costa lo condusse al socialismo e all'iscrizione all'Internazionale.
Ha inizio il suo periodo 'po litico', concluso nel 1879 con l'arresto
«per grida sovversive» durante un processo. Uscito dal carcere,
dove rimase con l'amico U. Corradini dal 7 settembre al 22 dicembre,
abbandonò la politi ca attiva e ottenne nuovamente il sussidio
universitario. Si lau reò nel 1882. Lo stesso anno fu nominato
professore di latino al liceo 'Duni' di Matera, dove rimase due
anni. Fu trasferito a Massa e poi a Livorno. Qui, ricongiunto
alle sorelle Ida e Maria visse fino al 1895 quando, realizzando
un vecchio sogno, si tra sferì con la sorella Maria (Mariù)
nella casa di Castelvecchio. Contemporaneamente ha inizio la carriera
universitaria: a Bologna, Messina, Pisa. Quando Carducci lasciò
la cattedra di lette ratura italiana a Bologna, Pascoli fu chiamato
a sostituirlo. Nel 1908 le avvisaglie del male inguaribile che
lo portarono alla morte, con le conseguenti operazioni che arrestarono
momentanea mente la sua attività. Pascoli morì a
Bologna nel 1912.
2) Opere
Pascoli cominciò a farsi notare oltre
che come poeta con la prima edizione di "Myricae" (1891), come
latinista con poemetti latini che gli fecero vincere più volte
la medaglia d'oro alla gara di poesia latina di Amsterdam. Collaborò
alle maggiore rivi ste letterarie dell'epoca, dal «Convivio» alla
«Vita nuova». Alla sua attività universitaria e di personalità
pubblica sono legate le prolusioni, da Il ritorno (1906) e poi,
dopo l'interruzione causata dalla malattia, Nel cinquantenario
della patria (1911), il discorso Italia (1911) tenuto a Livorno
e che ebbe le lodi di Croce, e quello tenuto a Berga in occasione
della guerra libica, La grande proletaria si è mossa (1911).
Tra le numerose prose si ricordano i Miei pensieri di varia umanità
(1903) e i Pensieri e discorsi (1907). Un posto partico lare occupano,
nella produzione pascoliana, i tre volumi di erme neutica alighieriana:
Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), e La mirabile visione
(1902): un tentativo esegetico se rio, che per il lettore moderno
risultano pieni di particolari contestabili e cavillosi.
La sua prima opera poetica è Myricae
(1891), poesie per lo più giovanili in cui è ricercata
la purezza e l'ingenuità delle «piccole cose». Dopo Primi
poemetti (1897) seguirono i Canti di Ca stelvecchio (1903), momento
della tran- quillità nella casa di Ca stelvecchio e della
vita con la sorella Mariù. Vecchi temi, quel lo del dolore, della
morte, della quiete agreste, si intrecciano in un ritmo più spezzato,
a angosce e interrogativi metafisici. I Poemi conviviali (1904)
tentano una rappresentazione moderna dell'esperienza classica.
Seguirono della raccolte in cui si ci- mentò con temi civili
e storici: Odi e inni (1906), Nuovi poemet ti (1909), Canzoni
di re Enzio (1909), Poemi italici (1911), Poe mi del Risorgimento
(pubblicato postumo nel 1913).
3) Poetica e ricerca linguistica
Una chiara e suggestiva esposizione della
poetica pascoliana è contenuta in una prosa pubblicata
nel 1897 sulla rivista «Il Marzocco», con il titolo Il fanciullino
. Ciò che Pascoli chiama «fanciullino» è qualcosa
che è presente in ogni uomo e che riesce a cogliere, nel
caos delle esperienze comuni, le impressioni meno avvertite, a
contemplare con infantile freschezza il «mistero». Il poeta coincide
con il «fanciullino». Egli deve liberarsi da ogni struttura culturale
per poter scoprire la poeticità nelle piccole cose della
natura e giungere a una rappresentazione mistica del reale. La
poesia non è invenzione ma scoperta, da parte del poeta,
di qualcosa che si trova già nelle cose che lo circondano.
La poesia non ha carattere di razionalità ma è intuitiva.
Ha bisogno, per esprimersi, di una lingua spontanea e antiletteraria.
Non deve avere scopi morali o umanitari, giacché essi sono
impliciti nel suo essere, autenticamente, poesia. Questa poetica
'del fanciullino' è il substrato teorico di una poesia
che è sostanzialmente sempre fedele a sé stessa:
segno che il suo 'programma' e le sue convinzioni avevano salde
radici den tro di sé.
Complesso è invece il senso dei rapporti,
in gran parte indi retti, che Pascoli rifiutò o ebbe con
gli aspetti salienti della cultura del tempo. Legato a una visione
del mondo di impronta po sitivista, fu in contrasto con il positivismo
per la scarsa fidu cia riposta nelle scienze. Con il naturalismo,
dominante alla fine del secolo XIX, ebbe parecchi punti di contatto,
come la fede nell'oggettività e l'attenzione al particolare.
La la sua posi zione di fondo era sostanzialmente diversa. Casuali
risultano an che le convergenze con l'estetica di Croce: vicino
a essa nell'i dea della non razionalità della poesia, Pascoli
se ne allontana per la sua fede positivista nell'esistenza delle
«cose». Antite tico fu rispetto a D'Annunzio.
Elementi base che si ritrovano in quasi tutte
le migliori poe sie di Pascoli sono:
- a) l'importanza dei dati biografici, per
lo più luttuosi;
- b) una continua fedeltà alla memoria;
- c) la presenza del mito familiare, arricchito
da un elegiaco 'amor mortis'.
Le testimonianze epistolari mostrano una morbosità
affettiva che esasperava i suoi rapporti con le sorelle, specie
dopo il matrimonio di Ida e il sodalizio con Maria-Mariù. La sua
profonda educazione umanistica fu fonte di motivi ideali da rielaborare
("Poemi conviviali"), ma gli servì anche come un modello
di perfezione statica, rilevabile nell'uso degli stru menti retorici.
Nel linguaggio poetico pascoliano sono due poli: la fissità
letteraria, e un costante sforzo di rinnovamento. I "Canti di
Castelvecchio" sono il massimo esempio di questa ambi guità.
La ricerca linguistica di Pascoli rappresenta nella storia della
poesia italiana un salto del fosso, la presa di coscienza di una
crisi della tradizione. La sua poesia è tesa alla riprodu
zione mimetica di una realtà esterna reinteriorizzata,
madre o rifugio, riparo da una condizione esistenziale e storica
da sfuggire. Attento al minimo mormorio, intenzionato a accogliere
e descrivere il semplice, l'autentico, l'incontaminato, Pascoli
ricerca e dimostra un'evidente esigenza di trovare sé stesso
nella natura (e viceversa). E' il suo uno sforzo di identificazione
e nello stesso tempo di annullamento della distanza tra poesia
e oggetto, a fargli anticipare le esperienze crepuscolari e certi
aspetti dell'ermetismo. Il suo è un moderato sperimentalismo:
la frantumazione del linguaggio fino al limite del balbettìo,
l'appropriazione di elementi verbali tipici del 'parlato', l'uso
esasperato e (a volte) esasperante della onomatopea, l'insistenza
sull'analogia. Il tutto senza venir meno in apparenza alle regole
della sintassi e della prosodia tradizionali, in realtà
scuotendole dall'interno, provocandone uno slittamento.
La produzione poetica di Pascoli ha avuto
una grossa influenza, anche attraverso la mediazione di Gozzano
e dei crepuscolari, su molti importanti autori italiani del XX
secolo. Così Montale che carica di senso cosmico gli oggetti
più umili, o Ungaretti con la ripresa dell'ambiguità e
dell'invenzione analogica pascoliana. Fino a Saba, C. Betocchi,
Alfonso Gatto. Dal punto di vista critico, dopo gli scritti esegetici
contem poranei o immediatamente posteriori, ancora in polemica
non seda ta, si individuò il carattere 'disgregato' dei
versi pascoliani ma sempre all'interno di una critica negativa
(*R. Bonghi, *G.A. Borgese, *D. Gnoli). Nel 1907 *Croce fece di
Pascoli una dura stroncatura; nel 1919 in una postilla lo individuò
come precurso re del futurismo, e iniziatore di una "letteratura
decadente": questo giudizio preludeva in Croce al rifiuto integrale
alla poe sia del XX secolo. Negli anni '60 si è approfondito
il discorso sullo 'sperimentalismo' di Pascoli e sul suo apporto
alle forme poetiche (*G. Contini, *P.P. Pasolini, *G. Bàrberi
Squarotti), sulla sua posizione storica (*C. Salinari), sulla
struttura pro fonda della sua personalità e della sua opera
(*G. Debenedetti).
Bibliografia: Giovanni Pascoli
Myricae (1891)
Il fanciullino (1897)
Minerva oscura (1897)
Primi poemetti (1897)
Sotto il velame (1900)
La mirabile visione (1902)
Canti di Castelvecchio (1903)
Miei pensieri di varia umanità (1903)
Poemi conviviali (1904)
Odi e inni (1906)
Il ritorno (prolusione, 1906)
Pensieri e discorsi (1907)
Nuovi poemetti (1909)
Canzoni di re Enzio (1909)
Poemi italici (1911)
Nel cinquantenario della patria (prolusione, 1911)
Italia (1911)
La grande proletaria si è mossa (1911)
Poemi del Risorgimento (pubbl.1913)
[1997]
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