François
Villon
François Villon
François Villon nacque a Paris nel 1431.
Il suo vero nome era François de Montcorbier ma, rimasto
orfano del padre, adottò il nome del suo tutore, Guillaume
de Villon. Costui era un benestante ecclesiastico, che permise
a Villon di condurre studi universitari fino a diventare "maître
ès arts". Si inserì come scrivano nell'ambiente
ecclesiastico e giudiziario. Frequentò gli ambienti turbolenti
giovanili. Nel 1455 uccise in una rissa un prete e dovette fuggire.
Graziato, sei mesi dopo tornò a Paris ma dovette nuovamente
lasciare la città per aver compiuto, insieme a cinque compagni,
un furto al Collège de Navarre. Il resto della sua vita
fu costellata da episodi del genere. Ebbe anche una condanna a
morte, commutata in esilio. Dopo il 1463 non si hanno più
notizie di lui.
La prima opera di Villon è il Lascito [?](Lais).
E' un poema in 320 versi che Villon dichiara scritto il giorno
di natale del 1456, che è poi lo stesso del furto al Collège
de Navarre. Deluso da una donna amata invano, decide di fuggire
ad Angers e di salutare gli amici, cui lascia qualcosa in ricordo.
Il poema ha avuto anche, come titolo vulgato, quello di "Piccolo
testamento" (Petit testament), secondo la tradizionale formula
del lascito burlesco. Interesse quasi solo linguistico hanno le
undici ballate che formano Le jargon et jobelin, parole che significano
linguaggio artificiale incomprensibile ai non iniziati: gergo.
Il gergo della malavita con cui Villon si esercitò a scrivere
versi di interpretazione non facile.
Il Testamento (Testament, 1462), o "Grande
testamento" per distinguerlo dal "Lais", è
composto da poco più di due mila versi, distribuiti in
186 stanze narrative, cui si alternano tre rondeaux e sedici ballate.
Alcune di queste furono composte precedentemente, ma sono qui
recuperate e funzionano bene all'interno della complessa struttura
tematica e formale dell'opera. Villon inserisce i testi anteriori
come lasciti testamentari ai vari eredi. Fin dalla prima strofa
è il suo odio, che percorre tutto il "Testamento",
contro il vescovo Thibaut d'Aussigny che, nel 1461, aveva tenuto
Villon nella dura prigione di Meung-sur-Loire. L'esperienza lo
aveva gettato nella desolazione, rendendolo sicuro del fallimento
della sua vita. A partire da questa analisi di sé stesso,
Villon odia e deride con l'animo del povero che sa fare solo il
poeta, il mondo dei commercianti usurai speculatori finanziari.
La sua è un'immagine efficace della nascente borghesia
degli affari che in Francia, dopo la guerra dei cent'anni, sta
affermandosi a scapito della nobiltà. Con quei personaggi
coesistono i miserabili malviventi che Villon conosce bene, uniti
dall'avidità per il denaro. La mancanza di denaro del resto,
porta il poeta alla fame, a elemosinare la protezione di qualche
potente. Su questo sfondo, il tema dominante è quello della
morte. A essa sono legate le splendide Ballata degli impiccati
(Ballade des pendus) e Ballata delle dame del tempo che fu (Ballade
des dames du temps jadis). In quest'ultima, nel ritornello, è
la malinconia per la fugacità della bellezza femminile.
A contatto con il pensiero della morte emerge l'acuto attaccamento
alla vita, e soprattutto alle donne e all'amore. Il "Testamento"
è opera discontinua, i temi si succedono per antitesi e
sbalzi, secondo il temperamento risentito del poeta. Alcuni critici
hanno voluto distinguere una prima parte (vv. 1-729) seria e malinconica
da una seconda parte (vv. 730-fine) più antica e vicina
al "Lais". La diversa cronologia non sembra provabile.
Villon aderisce a un genere tradizionale, quello del "testamento"
o del "lascito" burlesco. All'interno di questa tradizione
spicca per originalità e intensità di passione,
per concisione e concretezza espressiva.
Francia nel XV secolo
[1997]
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