Lorenzo
Medici
Lorenzo Medici
Nato a Firenze nel 1449, figlio di Piero di Cosimo
e di Lucrezia Tornabuoni, seguì adolescente le lezioni
di Argiropulo, Ficino, e di Landino. Sappiamo che amò e
cantò Lucrezia Donati. Nel 1469, morto Piero, assunse il
governo di Firenze. Consolidò la signoria con abili riforme
costituzionali fondate su un accorto compromesso con le istituzioni
democratiche preesistenti: formalmente le conservò e valorizzò,
in realtà le svuotò di ogni autonomia decisionale.
Partecipò alla guerra veneto-ferrarese (1482-84), intervenne
nella congiura dei baroni risolvendola (1485-6). Raggiunse il
culmine della fortuna politica e divenne il supremo moderatore
dei conflitti tra la Napoli aragonese, la Milano degli Sforza
e la Roma di Innocenzo VIII. Protettore di artisti filosofi e
letterati, fu lui a promuovere la Raccolta aragonese, l'antologia
della lirica italica inviata a Ferdinando Aragona nel 1476. Gli
fu attribuito l'appellativo de "il magnifico".
Lorenzo fu scrittore eclettico e fecondo. I suoi
scritti, spesso non datati, sono però di attribuzione a
volte incerta. Possiamo dividere la sua produzione in tre fasi.
Nelle opere precedenti il 1470 è la sua straordinaria facilità
di aderenza a tutte le tendenze più diffuse nella letteratura
di intrattenimento e di evasione del tempo. La narrativa di tipo
boccacciano nei due racconti Giacoppo e Ginevra. La lirica petrarchesca
nel nucleo giovanile delle Rime. Il componimento comico-realistico
sulla linea di Pulci, con i poemetti L'uccellaggione di starne
e il Simposio (o: I beoni). Ammirevole è l'idillio rusticale,
di attribuzione discussa, La Nencia da Barberino. Esso ci è
giunto in quattro redazioni. Si finge che il contadino Vallera
tessa le lodi ingenue e corposamente realistiche della sua Nencia.
La produzione posteriore al 1470 è segnata dall'influsso
di Marsilio Ficino. Aspirazione a dio e rigida condanna dei beni
mondani è nel dialogo filosofico Altercazione, i sette
Capitoli religiosi. Scrisse anche un Commento (Comento) di ispirazione
neoplatonica ai 41 sonetti d'amore, che strutturalmente e stilisticamente
si connettono alla prosa alighieriana della "Vita nuova"
e del "Convivio". A questa fase appartiene anche il
secondo nucleo delle Rime in cui gli schemi stilnovistici sono
piegati e aggraziati a compostezza formale. Posteriore al 1484
l'ultima fase. Il gusto aristocratico della separazione della
letteratura dalla vita cede il posto a un realismo più
maturo e complesso di quello dei poemetti burleschi giovanili.
Più profonda la nota di malinconia. Si veda la penosa conclusione
del poemetto rusticale e classicheggiante Corinto, le meste pene
amorose dell'idillio ovidiano Ambra, e alcuni momenti delle Selve
d'amore, poema bipartito composto da 32 e 142 strambotti. In tutte
queste opere si avverte l'influsso di Poliziano. La malinconia
affiora anche nella Rappresentazione di san Giovanni e Paolo,
una sacra rappresentazione, rappresentata nel 1491. Un lavoro
concepito per assecondare il gusto del pubblico fiorentino e che
è affine ad altre opere, non datate e destinate anch'esse
al popolo: Laudi, di cui solo nove di sicura attribuzione; una
trentina di Canzoni a ballo. Dei licenziosi Canti carnascialeschi
celebre è la "Canzone a Bacco" che, animata da
un ritmo facile e incalzante in cui si concreta musicalmente l'invito
a godere del tempo che fugge, esprime in modo intenso il sentimento
della precarietà e l'inquietudine.
Nel complesso l'opera di Medici, che non
ha mai raggiunto il capolavoro vero, riflette esemplarmente i
caratteri dell'umanesimo fiorentino del secondo XV secolo. E'
una civiltà in cui convivono personalità diverse
come Ficino, Pulci, Pico, Poliziano, e in cui si incrociano e
scontrano interessi terreni e tensioni contemplative. Mentre si
delinea sempre più netta l'inquieta sfiducia nella "virtù"
umana, la tendenza a cercare rifugio nella fede, nell'arte, nella
cultura.
Italia nel XV secolo
[1997]
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