Storia della letteratura europea - Torna in homepageTirso de Molina


Tirso de Molina

Tirso de Molina fu lo pseudonimo usato da Gabriele Téllez. Nato a Madrid nel c.1584, forse figlio naturale del duca di Osuñ a. Appena conclusi gli studi (1601), entrò nell'Ordine della Mercede. Pochi anni dopo era già noto come drammaturgo nelle accademie e a corte.
Nel 1616 fu inviato in america, a Santo Domingo, come visitatore dell'ordine. Tornò in Spagna due anni dopo. Partecipò alla vita letteraria, frequentò l'accademia poetica di Madrid. Una diffida di un tribunale ecclesiastico lo invitò a non scrivere più per il teatro: per alcuni anni fu costretto a sospendere le attività. Ma nel 1627 pubblicò la prima delle cinque Parti (Partes) in cui sono raccolti i suoi lavori teatrali. Nel 1632 fu nominato cronista dell'ordine, nel 1634 "definidor general" di Castilla. Nel 1645 fu superiore del convento di Soria. Morì a Soria nel 1648.
Le altre quattro "Parti" furono pubblicate a cura del nipote, Francisco Lucas de Avila.

Famoso per il teatro, Tirso de Molina ha scritto anche due opere in prosa. I villini di Toledo (Los cigarrales de Toledo, 1621) è una raccolta di racconti brevi, di gusto rinascimentale, di gradevole lettura. Dilettare con giovamento (Deleitar aprovechando, 1635) è una raccolta di narrazioni di ordine morale, e di vite di santi.
Nel 1637-1639 scrisse anche una Storia generale dell'Ordine della Mercede (Historia general de la órden de la Merced).

Tirso scrisse forse più di 400 opere per il teatro. Nelle Parti (Partes, 1627-36) ne sono pubblicate solo 59. I suoi lavori possono essere suddivisi a seconda dell'argomento.
A tema biblico è La vendetta di Tamar (Le venganza de Tamar, 1634). Tra i drammi scritti sui santi, La santa Juana (La santa Juana, 1634).
Ambiente storico ha La prudenza nella donna (La prudencia en la mujer, 1634).

Una commedia d'amore sono i tre atti di Don Gil dalle calze verdi (Don Gil de las calzas verdes, 1635). La storia è quella di Doñ a Juana, abbandonata da don Martí n, che lascia Valladolid travestita da uomo e accompagnata dal fido Quintana per seguire l'amato a Madrid. Lui è andato a sposare, su suggerimento del padre e sotto il nome di don Gil de Albornoz, la ricca madrilena doñ a Iné s. Juana si presenta a Iné s con il nome di don Gil, ne conquista il cuore a scapito dell'altro don Gil-Martí n. Intanto Quintana fa credere a don Martí n che Juana sia morta di parto e che il misterioso don Gil (che doñ a Iné s non conoscendone il nome chiama "Gil dalle calze verdi") sia il fantasma di lei. Il complicato intrigo si scioglie alla fine con le nozze di doñ a Juana e don Martí n.
Origine leggendaria ha Gli amanti di Teruel (Los amantes de Teruel).

Sfugge a questa catalogazione l'opera più famosa di Tirso de Molina, Il beffatore di Sevilla e convitato di pietra (El burlador de Sevilla y convidado de piedra, 1630). Ripresa da un tema popolare, inaugura la tradizione europea del don Giovanni (don Juan). Il dramma è in versi, e diviso in tre giornate. Don Juan Tenorio scappa da Napoli per aver ingannato la duchessa Isabela, penetrando nella sua stanza con il nome del fidanzato, il duca Ottavio. Aiutato dal servo Catallinón prende il mare, fa naufragio. Riesce a sedurre la pescatrice Tisbea che lo ha raccolto e gli ha dato alloggio. Giunto a Sevilla, l'attende il matrimonio con donna Anna, figlia di don Gonzalo de Ulloa. Ma il re dispone che don Juan sposi l'offesa Isabela, e che il duca Ottavio sia risarcito sposando donna Anna. Donna Anna però ama il marchese de la Mota. Don Juan, penetrato in casa di donna Anna, uccide il padre della fanciulla. Durante la nuova fuga, seduce la giovane Aminta e si fa beffe del marito Patricio. Tornato a Sevilla, vede in una chiesa la statua di don Gonzalo e per schernirla la invita a cena. Essa ricambia l'invito per il giorno dopo. Don Juan accetta. Nella cappella di Ulloa, alla fine della macabra ultima cena tra i due, il convitato nel salutare don Juan, gli stringe la mano e lo trascina all'inferno.
Non di certa attribuzione è Il condannato per mancanza di fede (El condenado por desconfiado, 1636), opera vigorosa e originale, sul tema della predestinazione e del perdono.
Il teatro di Tirso de Molina si colloca sulla strada aperta da Lope de Vega. In entrambi è una vasta libertà tecnica e una movimentata fruizione della scena. Proprio di Tirso de Molina è l'uso di personaggi fortemente definiti, il rifiuto di un mondo convenzionale, cavalleresco, mitologico, pastorale, cui sostituisce aperti riferimenti alla realtà sociale dell'epoca. Tirso de Molina è un indagatore dei tratti psicologici dei suoi personaggi, costruisce personaggi molto caratterizzati, straordinari. Nella maggior parte delle sue opere teatrali ha semplice grandezza e tragica gravità, ma con il personaggio di don Juan tocca il punto massimo: don Juan è un ingannatore, un beffatore più che un seduttore (come sarà invece poi), per lui sostituirsi a un altro è più piacevole della stessa conquista.
L'opera di Tirso è meno elegante, variata e complessa di quella di Lope de Vega e di Calderón de la Barca, ma possiede potenza di ritratti e di chiaroscuri, di caratterizzazioni e contrasti che lo avvicinano ai modi di Shakespeare.


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