Alessandro
Tassoni
Alessandro Tassoni
Tassoni nacque a Modena il 28 settembre 1565. Nobile, studiò
a Bologna e Ferrara. Al servizio del cardinale Ascanio Colonna
dal 1599, nel 1600-1603 fu con lui in Spagna. Rientrato in Italia,
abitò per lo più a Roma. Solo nel 1618-1621 fu alla
corte di Carlo Emanuele I Savoia. Nel 1632 fu poi alla corte modenese
di Francesco I. Morì a Modena nel 1635. Tassoni esordì
con una raccolta di meditazioni critiche, Varietà di pensieri
(1608) in nove parti, cui fu aggiunta una decima parte sugli Ingegni
antichi e moderni (1620). E' una polemica contro l'autorità
di Aristoteles, a favore dei moderni. Nelle Considerazioni sopra
le rime del Petrarca (1609) si oppose alla poesia d'imitazione,
in nome dello svecchiamento della cultura e del pensiero.
Temperamento violento e litigioso, a queste polemiche Tassoni
ne fece seguire altre. Fino a due Filippiche (1615) diffuse anonime,
contro Filippo III di Spagna. Queste si inseriscono nell'ambito
della contesa che opponeva allora la Spagna e il ducato di Savoia
a proposito del Monferrato. L'invettiva, impetuosa e efficace,
era filo-savoiarda, una protesta contro la politica imperiale
sopraffattrice dei diritti dei prì ncipi italici (nel XIX
secolo, in epoca di rivendicazione nazionalistica, fu letta come
prova di patriottismo).
Nel 1622 uscì La secchia. Essa fu riveduta su richiesta
del Sant'Uffizio e ripubblicata con il titolo de La secchia
rapita, nel 1624. Si tratta di un vasto poema, in dodici canti
in ottave. Già terminato nel 1615, è considerato
come il primo esempio del genere eroicomico (lo "Scherno degli
dèi" di Francesco Braccioli ni è del 1618).
"La secchia rapita" narra la guerra, sorta per futili motivi,
tra Bologna e Modena nel XIII secolo. I modenesi, chiamati Gemignani
per via del loro santo protettore, durante una zuffa trafugano
da un pozzo un secchio tarlato che appartiene ai Petroniani (i
bolognesi). Per il possesso del secchio scoppia una guerra, cui
prende parte tutto l'Olimpo di Homeros. Enzo re di Sardegna e
figlio dell'imperatore Federico II, è alleato dei mo denesi,
combatte al loro fianco insieme alla guerriera Renoppia e al conte
di Culagna. Enzo è fatto prigioniero dai bolognesi, ma
la guerra si trascina tra alterne vicende finché viene
trattata la pace: i bolognesi si terranno Enzo, e i modenesi il
secchio.
L'ambientazione storica costituisce un amaro pretesto per alludere
alle secolari e spesso ridicole rivalità delle città
italiche e, indirettamente, tra gli stati in genere. Riuscite
alcune macchiette, come il conte di Culagna, spaccone sciocco
e codardo, e il cavalier Titta, goffo e vanaglorioso dongiovanni.
Non riesce però a essere vera satira: il tono delle parodie
scade spesso nel livore personale, nel puntiglio, nella caricatura
grossolana.
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