Ludovico 
              Lepòreo 
            
             
             
               
                
                   Ludovico Lepòreo 
                
                Ludovico Lepòreo nacque a Cormons [Friuli] 
                o a Brughera [Por denone, Friuli] nel 1582 (morì forse 
                a Roma nel c.1655). Fu prete, visse nella Roma controriformista. 
                Anticruscante, ammiratore di Tasso, ammiratore di Marino. Egli 
                accentuò a oltranza il vir tuosismo verbale del marinismo: 
                si leggano le sue prose della Prosa rimata curiosa (1652). E i 
                versi: Leporeambi alfabetici (1639), Leporeambi nominali (1641). 
                Lepòreo escogitò una complicata combinazione metrica, 
                il «leporeambo», un bizzarro artificio gremito di rime al mezzo, 
                allitterazioni, bisticci, che si intrecciano e si rispondono lungo 
                i tradizionali 14 versi del sonetto, con effetti di caricatura 
                e di deformazione parodistica. In Leporeo è il gioco dell'intelligenza, 
                l'acutezza formale più spinta. I suoi testi sono incardinati 
                su alcune regole formali costanti: sempre 4 rime tra quartine 
                e terzine, aventi le vocali toniche disposte nella loro successione 
                alfabetica e in comune le consonanti: es. - astro, -estro, -istro, 
                -ostro. O su altri restrizioni artificiali: la presenza di rime 
                interne tra due, tre, quattro o cinque parole per verso, o di 
                rime al mezzo, o di strutture sintattico-lessicali correlate. 
                Si produce un dirompente effetto di giocosa creatività 
                linguistica, che non rinuncia a voler conservare il senso del 
                discorso. Sul contenuto tradizionale dei testi - encomi, satire, 
                liriche d'amore, il malinconico addio alla vita - si innalza un 
                castello di parole, cumuli e esplosioni pirotecniche. Così 
                il sonetto "Rendo e vendo oggi i poggi e i catapecchi"; in un 
                altro, composto di circa 200 silla be, ben 138 sono vincolate 
                dalle rime. Di sé diceva «vo a caccia e in traccia di parole, 
                e pescole», fu inventore felice di neologismi, divertito deformatore 
                di suffissi per non mancare al dovere della rima.  
                 
                
                 
              
              
             
            
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