Giordano 
              Bruno 
            
             
             
               
                
                   Giordano Bruno 
                
                Nato a Nola nel 1548, entrò giovanissimo 
                nell'ordine domenicano (1565). Qualche anno dopo fu processato 
                per eresia, a Napoli, e trovò rifugio a Roma. Nel 1576 
                abbandonò l'abito talare. Dopo aver peregrinato per l'Italia, 
                si rifugiò a Ginevra. Aderì per qualche tempo al 
                calvinismo. Fu in Francia, insegnò a Tolosa. Qui scrisse 
                la commedia Il candelaio (1582). Durante un soggiorno in Inghilterra 
                (1583- 1585) pubblicò opere cosmologiche di ispirazione 
                copernicana: La cena delle ceneri (La cena de le ceneri, 1584), 
                L'universo infinito e i mondi (De l'infinito universo e mondi, 
                1584); dialoghi morali come Spaccio della bestia trionfante (Spaccio 
                de la bestia trionfante, 1584), La causa, il principio e l'uno 
                (De la causa, principio et uno, 1584) di ispirazione telesiana, 
                Gli eroici furori (De gl'heroici furori, 1585).  
                
              A Francoforte nel 1591 pubblicò tre 
                poemetti latini di ispirazione materialista, su modello lucreziano: 
                Il triplice, il minimo e la misura (De triplici, minimo et mensura), 
                La monade, il numero e la figura (De monade, numero et figura), 
                L'immenso e gli innumerabili (De immenso et innumerabilibus). 
                
              Invitato a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo 
                nel 1591, nel 1592 fu denunciato dallo stesso Mocenigo all'inquisizione. 
                Fu processato prima a Venezia e poi a Roma (dal 1593): il "Sommario 
                del processo" fu realizzato ai primi di marzo del 1598 e conservato 
                poi nell'Archivio segreto vaticano. Le fasi del processo al Santo 
                Uffizio erano presiedute come di regola dal pontefice, allora 
                Clemente VIII. Non avendo ritrattato le sue idee, Bruno l'8 febbraio 
                1600 fu pubblicamente condannato come eretico impenitente, pertinace 
                e ostinato, espulso dal Foro ecclesiastico e consegnato al governatore 
                di Roma (il 'braccio secolare') perché fosse convenientemente 
                punito. La sentenza doveva elencare una trentina di motivazioni. 
                Per certo sappiamo che una riguardava la negazione da parte di 
                Bruno della transustanziazione. Un testimone dell'epoca (Scioppio) 
                ne ricorda 14: negare la transustanziazione, messa in dubbio della 
                verginità di Maria, soggiorno in paesi eretici vivendo 
                come loro, aver scritto contro il papa lo "Spaccio della Bestia 
                trionfante", sostenere l'esistenza di mondi innumerevoli e eterni, 
                asserire la metempsicosi e la possibilità che una sola 
                anima informi due corpi, ritenere la magia buona e lecita, identificare 
                lo Spirito Santo con l'anima del mondo, affermare che Mosè 
                simulò i suoi miracoli e inventò la Legge, dichiarare 
                che la Scrittura non è che un sogno, ritenere che persino 
                i demoni si salveranno, opinare l'esistenza dei pre- adamiti, 
                asserire che Cristo non è Dio ma ingannatore e mago, asserire 
                che anche i profeti e gli apostoli furono maghi che fecero una 
                brutta fine. Bruno ascoltò in silenzio la sentenza, poi 
                rivolto ai giudici disse: «Forse con maggior timore pronunciate 
                contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla». 
                 
                 
                 Bruno fu bruciato vivo sul rogo a Roma, nella 
                piazza di Campo de' Fiori dopo essere stato denudato, legato a 
                un palo e aver avuto la lingua serrata per impedirgli di parlare. 
                Senza accetta re il crocefisso né i tentativi ripetuti 
                di convincerlo al pentimento o alla ritrattazione del suo pensiero. 
                Era il 17 febbraio 1600.  
                Nella "Copia parziale delle sentenza" destinata al governatore 
                di Roma l'8 febbraio 1600 si legge: «Condanniamo, riprobiamo et 
                proibemo tutto gli sopradetti et altri tuoi libri et scritti come 
                eretici et erronei et continenti molte eresie et errori, ordinan 
                do che tutte quelli che sin'ora si son avuti, et per l'avvenire 
                verranno in mano dal Santo Offizio siano pubblicamente guasti 
                et abbrugiati nella piazza di san Pietro, avanti le scale, et 
                come tali che siano posti nell'Indice de' libri proibiti, sì 
                come or diniamo che si facci».  
                 
                 Bruno fu pensatore di grande forza e originalità. 
                Come scrittore ha uno stile irregolare, immaginoso, pre-barocchista. 
                Condusse una violenta polemica contro il petrarchismo: si veda 
                in particolare "Gli eroici furori".  
                 
                 Figura importantissima nella storia della 
                cultura, ha avuto un grande influsso, per la sua storia biografica 
                e per le sue idee sulla cultura e sulla letteratura, soprattutto 
                a partire dal XVIII secolo. 
                La sua commedia  Il candelaio (1582) rimane opera eccezionale 
                all'interno della sua produzione, sia per genere che per temi. 
                Si tratta di cinque atti in prosa. Burle e beffe ne sono il tema. 
                Il tutto è ambientato a Napoli. Il Candelaio, un certo 
                messer Bonifacio, nonostante sia sposato alla bella Carubina, 
                spasima per la signora Vittoria. Manfurio, il pedante goffo e 
                credulone che sproloquia in latino, e Bartolomeo dilettante alchimista, 
                sono insieme a messer Bonifacio facili preda di un gruppetto di 
                imbroglioni. tra questi è anche Vittoria che vorrebbe approfittare 
                della passione di Bonifacio per spillargli un po' di quattrini. 
                Bonifacio si affida al mago Scaramurè affinché con 
                un incantesimo lo faccia amare da Vittoria. Al desiderato convegno 
                trova invece l'indignata Carubina che, fino ad allora virtuosa, 
                si lascia con vincere dall'innamorato Gioan Bernardo che non è 
                grave metter le corna a mariti di questo genere. Manfurio e Bartolomeo 
                sono sbeffeggiati, derubati, e più volte bastonati. 
                Bruno rifuse qui gran parte degli elementi tradizionali del teatro 
                comico del XVI secolo, riuscendo a un impasto linguistico straordinariamente 
                vigoroso e vivace, con una acuta definizione caricaturale dei 
                personaggi. Eros, sfiducia nelle convenzioni, teatro nel teatro 
                (messo in scena per la prima volta), sono gli elementi principali 
                di questa commedia.  
                 
                 Culturalmente Bruno è parte del movimento 
                filosofico che si contrappone all'aristotelismo del XIII secolo, 
                nato nella metà del XVI secolo: la linea post-ficiniana, 
                quella che ebbe tra i suoi esponenti un intellettuale complesso 
                come Pico da Mirandola. E' quella che viene definita tradizione 
                ermetico-astrologica. In Bruno è una forte tensione alla 
                creazione di una nuova filosofia, così come in Galilei 
                si delineerà una nuova scienza. Tipica opera filosofica 
                di Bruno è "Le ombre delle idee" (De umbris idearum), teso 
                a promettere i 'segreti' dell'arte della memoria, pieno di citazioni 
                letterarie di immagini astrologiche tratte da trattazioni mnemotecniche, 
                con forti debiti nei confronti di Cornelius Agrippa. Il classicismo 
                del XV secolo aveva portato a ristudiare i grandi classici della 
                scienza, da Archimede a Tolomeo, e il rilancio del platonismo 
                e ermetismo con il loro alone mistico-magico, in un inquieto rapporto 
                tra proposte scientifiche e visioni filosofiche aperte a tutte 
                le tentazioni, non escluse quelle cabalistiche (rilanciate in 
                europa da Pico da Mirandola e da Reuchlin) e magiciste-alchemiche 
                (Paracelsus): un ermetismo che con gli apporti bruniani restò 
                forte in europa almeno fino ai tempi di Tolland e Leibniz. Mentre 
                Galilei costruiva la sua nuova scienza la cui logica era la matematica, 
                Bruno pur rifiutando come Galilei la pedanteria e il dogmatismo, 
                tentava altre strade. Come disse in un verso de "La monade" (De 
                monade), suo scopo era stato sempre inseguire «foecundus rerum 
                voces et scripta ubicunque invenies». Anche in questo modo colloca 
                l'uomo in un universo infinito, nel mondo delle ombre, teso tra 
                una morale delle opere e i pensieri di cose divine che lo divorano, 
                e l'annullamento. Tutta la sua vita, i continui spostamenti, il 
                plurilinguismo, sono parte di una visione del mondo che ha per 
                perno la policentricità. E nel momento in cui Bruno abolisce 
                la cosmologia aristote lica, ne cancella anche la poetica. Il 
                suo universo infinito è incompatibile con un universo gerarchizzato, 
                ovvero con un modo di scrivere codificato. Bruno attacca le certezze 
                fittizie e il formalismo della cultura dei "pedanti" ("Il candelaio"). 
                Predili ge la figura retorica dell'ossimoro, la "coincidenza degli 
                opposti". Nella "triplice farsa" che è "Il candelaio", 
                c'è un elemento filosofico di base: il rifiuto assoluto, 
                attraverso il riso, del monolitismo aristotelico. Usare il comico 
                contro il dogmatismo non è solo un atteggiamento da commediografo, 
                ma è soprattut to una presa di posizione filosofica. Filosofia 
                non come perdita nell'irrazionale (la magia l'alchimia l'esoterismo 
                come li intendiamo noi oggi), ma come tensione gnoseologica, ricerca 
                di una unità del tutto tramite l'intelletto.  
                 
                Bibliografia: Giordano Bruno
                Il candelaio (1582)  
                La cena de le ceneri (1584)  
                De l'infinito universo e mondi (1584)  
                Spaccio de la bestia trionfante (1584)  
                De la causa, principio et uno (1584) 
                De gl'heroici furori (1585)  
                De triplici, minimo et mensura (1591)  
                De monade, numero et figura (1591)  
                De immenso et innumerabilibus (1591) 
                De umbris idearum  
                 
                
                 
              
              
             
            
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