Goldoni
al teatro Sant'Angelo
Goldoni al teatro Sant'Angelo
Nel 1748 rientrò a Venezia e firmò un contratto
quadriennale con l'impresario Girolamo Medebach, la cui compagnia
recitava al teatro San'Angelo. La prima commedia rappresentata
fu La vedova scaltra (1748) che sviluppa lo schema della "Donna
di garbo", con un personaggio centrale su cui fa perno l'interno
movimento scenico. Protagonista di questi tre atti in prosa è
Rosaura, bella vedova che ha quattro pretendenti: il galante francese
Le Blau, l'inglese flemmatico e laconico Lord Runebif, l'orgoglioso
spagnolo Don Alvaro di Castiglia, e l'italiano gelosissimo e appassionato
conte di Bosconero. Per mettere alla prova il loro amore si presenta
a ognuno di essi travestita, negli abiti e con i modi delle rispettive
nazioni. Solo l'italiano si mostra refrattario al fascino della
sconosciuta, e a lui Rosaura concede la mano. La cameriera francese
di Rosaura, Marionette, consola Le Blau combi nando un veloce
matrimonio con Eleonora, sorella di Rosaura. Le altre commedie
scritte nel 1748-1750 sperimentano invece una tematica sentimentale
e realistica, con interessanti appro fondimenti delle diverse
situazioni sociali ( La putta onorata , 1748-49; La buona moglie
, 1749-50; La famiglia dell'antiquario , 1749-50). Con i suoi
successi intanto Goldoni provocava le invidie dei commediografi
"letterati", in particolare Pietro Chiari che lo accusava di gusti
plebei e di ignoranza delle "regole". Goldoni rispose impegnandosi
a comporre 16 commedie nuove per la stagione 1750-1751. Aprì
il repertorio con Il teatro comico , una specie di «teoria poetica
in azione», come la definirà poi lui stesso, che ribadiva
la necessità di dare verosimiglianza a personaggi e ambienti.
Goldoni sosteneva inoltre che la nuova commedia italiana, a differenza
di quella francese, dovesse realizzarsi nel disegno non di un
solo carattere ma di più caratteri. L'opera ebbe po chissime
repliche al suo debutto e fu poi quasi dimenticata dai teatranti,
pur continuando a costituire per tutti gli studiosi un vero e
proprio manifesto da cui trarre spunti illuminanti su tut to il
teatro dell'epoca. Nella commedia-manifesto, il capocomico incarna
Goldoni: egli espone ai suoi compagni le nuove linee sul le quali
vuole riformare l'arte scenica. Non tutti sono convinti dell'efficacia
della nuova drammaturgia, anche se il botteghino è incoraggiante.
Arlecchino non vuole faticare a imparare a memoria una parte che
sia uguale tutte le sere, preferisce continuare a recitare "all'improvviso".
E' una tecnica ormai ridotta a logora ripetizione di frasi sempre
identiche, stilemi fissi e con numero ormai ristretto di varianti.
Così il capo della compagnia Orazio spiega che il teatro
deve avvicinarsi alla verità, abbandonare gli stereotipi
della commedia dell'arte per descrivere i caratte ri. Il buon
capocomico però sa che questa rivoluzione avrà tempi
lunghi, che tutte le innovazioni devono entrare in teatro attra
verso una fase di sperimentazione, prescrive che pur nell'illustrare
un soggetto umano, la critica «sia moderata, prenda di mira l'universale
e non il particolare, il vizio e non il vizioso». E così
Orazio dice che di abolire le maschere non è ancora tempo,
ma occorre che queste si approfondiscano di sfumature psicologi
che. Nelle divertite chiacchierate degli attori si parla delle
unità aristoteliche di luogo e di azione, degli stilemi
recitati vi, degli intermezzi musicali. Si mette insomma in questione
ogni angolo della pratica scenica e della composizione del testo,
non perdendo l'occasione di fare di questa commedia una ironica
de scrizione del mondo dei teatranti con tutti i loro vezzi: la
pri ma donna irascibile, il poeta affamato, la seconda attrice
invi diosa, i comprimari in lite per la lunghezza della parte.
Una commedia priva di intreccio, ma che serve a Goldoni per presenta
re la sua "riforma". Seguirono alcune importanti commedie. Tra
esse La Pamela la prima commedia goldoniana senza maschere, e
La bottega del caffè . Il caffè che dà il
titolo a questa commedia in tre atti in prosa è quello
gestito da Ridolfo, e che serve da osservatorio per Don Marzio,
un maldicente. Sua vittima è Eugenio, giovane mercante
che ha perso enormi somme nella bisca di Pandolfo, giocando con
il falso conte Leandro (che è in realtà il truffatore
Flaminio). Non gli sfugge neppure Vittoria, moglie di Eugenio,
cui racconta la frottola di una relazione del marito con la ballerina
Lisaura, che è invece corteggiata da Flaminio. Lisaura
per poco non vede rovinata la sua reputazione da quelle calunnie.
Placida, moglie di Flaminio, appena giunta da Torino in cerca
del marito, passa grazie a Don Marzio per una nota avventuriera.
Alla fine viene smascherato, e il maldicente riceve dalle vittime
una pioggia di insulti. Sono comuni a questi lavori lo scavo dei
caratteri, la satira della vecchia aristocrazia veneziana, cui
sono contrapposti gli affetti domestici e le laboriose occupazioni
del ceto mercantile. E' una tematica sviluppata nelle commedie
scritte nel 1752, e che culmina con la Locandiera (1753), con
la creazione dell'affascinante personaggio di Mirandolina. La
bella Mirandolina è maestra nel far innamorare gli uomini.
La corteggiano senza speranze il ricco conte di Albafiorita, lo
spiantato marchese di Forlipopoli, ma non il cavaliere di Ripafratta
che disprezza le donne. Mirandolina prima fa finta di stimarlo
per la sua misoginia, lo tratta con riguardi particolari, finge
di svenire alla notizia che egli lascia l'albergo, ostenta poi
un'improvvisa freddezza. In questo modo lo riduce nel giro di
un giorno ai suoi piedi, per poi avvilirlo di fronte a tutti smascherando
la sua passione, e sposando Fabrizio, cameriere della locanda.
[1997]
[Up] Inizio pagina | [Send]
Invia questa pagina a un amico | [Print] Stampa
questa pagina | [Email] Mandaci
una email | [Indietro]
Europa: Antenati - la storia della letteratura europea online
-
© Antenati 1984-2006, an open content
project
|
|