Paesi 
              extraeuropei nel Secondo secolo 
            
             
             
               
                
                   Paesi extraeuropei nel Secondo secolo
                
                Ebraismo 
                In ebraico si sviluppa la letteratura rabbinica, che ha caratteristiche 
                e genesi particolare. Dalla lettura della Bibbia nelle sinagoghe 
                sorsero i targumin (traduzioni): il popolo infatti parlava l'aramaico, 
                che aveva sostituito l'ebraico come lingua parlata già 
                alcuni secoli (-), e non comprendeva più i testi letti; 
                di qui l'uso di traduzioni orali, eseguite secondo regole minuziose, 
                più tardi fissate in scrittura. Non sono semplici versioni, 
                ma versioni volte a comunicare il significato attuale dei testi, 
                a suggerire l'interpretazione o le interpretazioni correnti. Dei 
                targumin si conoscono diverse redazioni, risalenti a epoche e 
                ambienti diversi: targum Onqelot, babilonese, palestinese, samaritano 
                ecc. Probabilmente ebbero una lunga tradizione orale prima di 
                essere trascritte nei primi secoli (+). Dalla liturgia sinagogale, 
                oltre che dalle accademie rabbiniche, ebbe origine la letteratura 
                del midrash, letteratura edificante ed esplicativa, strettamente 
                legata alla Bibbia e destinata a durare parecchi secoli. 
                 
                Altra opera che contrassegna questo periodo di produzione rabbinica, 
                è la  Mishnah (in ebraico = ripetizione, studio), 
                la codificazione della legge orale ebraica. Essa non si fonda 
                direttamente sulla Bibbia, ma rappresenta la codificazione della 
                tradizione orale che, secondo la comune fede ebraica, fu manifestata 
                al dio unico a Mosè sul monte Sinai e affianca, completandola, 
                la legge mosaica. E' una vasta raccolta di tradizioni e norme 
                giuridiche, rituali, etiche, sviluppatisi oralmente nelle scuole 
                rabbiniche e miranti a interpretare la Torah (o Pentateuco) per 
                renderla praticabile alle nuove situazioni. Comprende 63 trattati, 
                raggruppati in 6 sezioni. La "Mishnah" ha le sue origini nel lavoro 
                interpretativo e applicativo della normativa biblica di grandi 
                maestri come rabbi Hillel, rabbi Jochanan ben Zakkaj, rabbi 'Aqibah, 
                rabbi Meir, le cui codificazioni non furono scritte e che quindi 
                sono andate perdute; fu redatta da rabbi Giuda (Jehudah) detto 
                "il santo" o "il Patriarca" (135\200) secondo un criterio di mediazione 
                tra le varie scuole. Essa è la più vasta e chiara 
                codificazione della vita religiosa e sociale ebraica, acquistò 
                subito un carattere canonico, fu alla base per la discussione 
                da cui nacque il "Talmud". 
                 
                Tra i trattati presenti nella "Mishnah" è quello chiamato 
                Avot (= i Padri) o "Pirké Avot" (I capitoli dei padri). 
                Breve testo, ma tra i più commentati nella tradizione ebraica. 
                Ogni frase, ogni riflessione, ogni motto è attribuito a 
                uno dei maestri. Fatto di fede sicura e inattaccabile ma anche 
                di disilluso senso di precarietà, come se la vita non fosse 
                che un passaggio, un continuo e ignoto alternarsi: «egli soleva 
                dire: i nati sono destinati a morire, i morti a risorgere e i 
                risorti a entrare in giudizio [...]». Pare esserci in tutti questi 
                maestri una condizione di distanza dalla realtà, di ascesi: 
                «Siate piuttosto come servi che servono il padrone a condizione 
                di non ricevere un salario [...]. E il timore del Cielo sia su 
                di voi». Principio fondamentale di questo trattato è di 
                costituire una specie di siepe di protezione attorno alla Torah, 
                alla Legge, ma anche all'essenza ebraica che va protetta e salvaguardata 
                e che indica nello stesso tempo una strada: «Ben Bag Bag diceva: 
                girala e rigirala, perché in essa c'è tutto. Rimirala, 
                invecchia e consumatici sopra. Non te ne allontanare mai poiché 
                non vi è per te parte migliore di essa». Tra le 'perle 
                di saggezza' dell'"Avot" è anche questa: «In sette cose 
                un uomo intelligente si distingue da uno stupido. L'intelligente 
                non parla dinnanzi a chi è più grande di lui in 
                sapienza. Non interrompe il discorso di un altro. Non si affretta 
                a rispondere. Fa domande pertinenti e risponde in maniera appropriata. 
                Dice all'inizio ciò che va detto all'inizio e alla fine 
                ciò che va detto alla fine. Di ciò che non ha mai 
                udito dice: non l'ho mai udito. E' disposto a riconoscere la verità. 
                Per lo stupido è tutto il contrario». 
                 
                Produzione cristiana siriana 
                Al II secolo risale l'opera di uno dei primi scrittori cristiani 
                siriaci, Bardesane. Nato a Edessa nel 154 (morì nel 222), 
                si convertì al cristianesimo nel 179 e divenne uno dei 
                massimi esponenti dello gnosticismo. Fu autore di trattati di 
                astrologia, di inni religiosi in cui si mescolano motivi cristiani, 
                concezioni di origine orientali, filosofia greca, credenze magiche 
                ecc. Scrisse anche un dialogo di ispirazione dualistica, Il libro 
                delle leggi dei paesi, che è il più antico testo 
                siriaco che si conosca. 
                 
                In Siria, soprattutto dal centro di Edessa, il cristianesimo fu 
                importato da ebrei della diaspora; a essi si deve, verosimilmente, 
                la più antica versione della Bibbia in siriaco (lingua 
                semitica, varietà dell'aramaico). Fonti storiche siriache 
                collegano l'origine del cristianesimo nel loro paese al periodo 
                della vita di Gesù , alla sua corrispondenza (apocrifa) 
                con il re lebbroso Abgar V "il nero" (4\46+), menzionata anche 
                da Eusebius da Cesarea (c.265\c.339). L'importanza del centro 
                culturale cristiano siriaco, attraverso i secoli, fu notevole. 
                Esso influì sulle regioni armene e copte e, indirettamente, 
                su quella etiopica. L'uso della lingua locale permise la resistenza 
                all'influsso ellenistico e poi all'islamizzazione, permettendo 
                la trasmissione di opere altrimenti perdute. 
                 
                Egitto 
                Ancora nel II secolo è attiva la produzione culturale egizia. 
                Al II secolo, proveniente da Tebe, è il testo in demotico 
                dell'Occhio del sole. E' un testo religioso e mitico, con valenze 
                letterarie. Si racconta la storia della dea leonessa Tefnut (l'Occhio 
                del Sole) che ha lasciato l'Egitto per stabilirsi nel paese di 
                Kusc, dove è trasformata in Gatta Etiopica (la "Gatta di 
                Kusc"). Il dio Thot (il "Piccolo Cinocefalo") è inviato 
                da Ra per cercare di convincere la dea a rientrare in Egitto, 
                nella sua terra, che per la sua assenza mostra i segni della povertà 
                e dello sconforto. Thot fa leva su ogni possibile elemento dell'arte 
                della persuasione per far tornare la Gatta: le racconta favole 
                moraleggianti, cerca di smuovere i suoi sentimenti. Alla fine 
                la Gatta decide di tornare. Il viaggio è ricco di particolari: 
                Thot parla molto, crea dialoghi deliziosi. Giunti a El Kab, la 
                Gatta si trasforma in Avvoltoio. Alla fine i due giungono a Tebe. 
                Qui la dea è una gazzella; sulla sua trasformazione veglia 
                il "piccolo cinocefalo" che sventa l'assalto dei cattivi seguaci 
                di Apopi (il dragone della mitologia solare faraonica, ogni giorno 
                sconfitto ma ogni giorno opponentesi al sorgere di Ra). Giunti 
                a Eliopoli la Gatta diventa Tefnut e si incontra con Ra. 
                 
                L'inizio della leggenda non è conservato (il papiro, conservato 
                nel museo di Leiden, inizia dalla colonna II), ma doveva riguardare 
                l'ira della dea contro il padre Ra. La leggenda è più 
                antica di quella che si trova in questo testo. Qui la troviamo 
                ampliata e letterariamente elaborata. La Gatta è la stella 
                Sotis, ed è anche la dea Kebit che "calcola il tempo di 
                vita", per questo è soprannominata nella tradizione religiosa 
                e teosofica, "Gatta fatale", dea del destino. Nel testo sono implicazioni 
                esistenziali ben precise. 
                 
                India 
                Secondo alcuni, fu tra II e III secolo (+) che in India si venne 
                alla raccolta organica del corpus del Mahabharata. Questo che 
                è il più vasto poema della storia indiana e umana, 
                fu forse raccolto da un brahmano, in un periodo in cui l'India 
                rischiava di essere sommersa dall'invasione dei kusana, per salvarne 
                tutte le tradizioni. Si pensa in ogni caso che il corpus venne 
                sviluppandosi nella tradizione orale forse fin dal V secolo (-). 
                 
                Il "Grande Bharata" (Mahabharata) è diviso in 18 libri, 
                per un totale di 106 mila distici (sette volte e mezzo "Iliade" 
                e "Odissea" messi assieme). Personaggio narrante è il sacro 
                veggente Vyasa. Il nucleo principale e più antico del poema 
                narra la lotta tra i due rami dell'antica famiglia dei Bharata, 
                i kuruidi e i panduidi. Cinque fratelli panduidi (il saggio Yushisthira, 
                il valoroso Arjuna, il forte Bhima, e i gemelli Nakula e Sahadeva) 
                vivono a Hastinapura, alla corte dello zio il re Dhrtarastra, 
                e dei suoi cento figli, i kuruidi, di cui il maggiore è 
                Duryodhana. Vittoriosi in un torneo, i panduidi ottengono come 
                premio una moglie in comune, Draupadi figlia di un re vicino, 
                e lo zio, non senza gravi indecisioni, concede loro una parte 
                del regno provocando l'odio dei cugini kuruidi. Yudhisthira che, 
                come maggiore, ha la corona, perde per due volte ogni suo avere 
                ai dadi, provocato al gioco da uno zio dei kuruidi, Sà 
                kuni. Perdonato una volta da Dhrtarastra, la seconda volta deve 
                andare per dodici anni in esilio con i fratelli e Draupadi. Al 
                termine dell'esilio i kuruidi si rifiutano di riconsegnargli il 
                regno. Di qui la terribile guerra che dura diciotto anni. Alla 
                vigilia della battaglia decisiva, Arjuna chiede a Krsna, suo auriga 
                e incarnazione del dio Visnu, se quel che fa è giusto. 
                Esita infatti a scontrarsi con un esercito formato da parenti, 
                maestri, antichi compagni. Krsna lo rassicura con una lunga risposta 
                (la parte è chiamata "Bhagavadgita") sulla struttura religiosa 
                e morale dell'universo: ciascuno deve agire secondo la propria 
                condizione, Arjuna è un guerriero e quindi deve combattere 
                mantenendosi però puro dall'attaccamento ai risultati della 
                propria azione. Tre soli kuruidi sopravvivono alla battaglia, 
                ma nella lotta fanno strage dei panduidi: solo i cinque fratelli 
                rimangono in vita. Segue il lamento sui caduti, la visione dei 
                morti delle due parti che si riconciliano nell'aldilà, 
                i consigli morali del vecchio Bhisma, il più saggio dei 
                kuruidi che, colpito da infinite frecce lascia così il 
                suo testamento spirituale. La narrazione occupa solo un quinto 
                dell'intero poema: vi si innestano vaste digressioni di carattere 
                novellistico e didattico, trattazioni mistiche, etiche, filosofiche, 
                giuridiche. 
                 
                Nel  Mahabharata si fondono le principali visioni filosofiche 
                indiane (vedanta, samkhyla, yoga), e si sintetizzano i valori 
                sociali del sistema castale, quelli di una etica universale e 
                quelli religiosi della mistica devozione a dio. L'opera segna 
                il riassorbimento dell'antico brahmanesimo e la codificazione 
                del rinnovamento spirituale rappresentato dall'induismo. Enorme 
                l'importanza culturale del poema per l'India, sia come poema enciclopedico 
                che soprattutto come testo religioso (la "Bhagavadgita" è 
                per l'induismo quello che i "Vangeli" sono per il cristianesimo). 
                Spesso, anche se non sempre, sono raggiunti risultati poetici: 
                in particolare ricchi di toccante umanità sono gli episodi 
                di Sakuntala, di Savitri, di Nala e Damayanti, che avranno enorme 
                fortuna nella letteratura successiva. 
               
              Contesto storico: Secondo secolo  
              
                [1996]
              
              
             
            
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