Publius
Ovidius Naso
Publius Ovidius Naso
Ovidius esordì ventenne nel circolo di Messalla con un
canzoniere amoroso in distici, Amori (Amores, 20-) in
cinque libri subito dopo rimaneggiati in tre libri: quest'ultima
edizione è quella che ci è pervenuta. Si tratta
di poesie galanti, disposte con voluto disordine all'interno di
una calcolata simmetria frontale, che aprono un lungo ciclo erotico.
Il ciclo comprende, oltre agli "Amori":
- - Lettere (Epistulae), raccolta fittizia di lettere
d'amore scritte da eroine della mitologia e della storia ai
loro amanti (116 versi di Penelope a Ulisse, 378 versi di
Paride a Elena ecc.). Il titolo originario fu cambiato da
*Priscianus con quello di "Eroidi" (Heroides). Per il loro
instabile equilibrio, la monotonia dello schema perennemente
ripetuto, il gioco infinito di suggestioni e allusioni letterarie,
si tratta di una dei testi pił difficili da tradurre, sovraccarico
di patetico e tragico, di spregiudicata galanteria, in una
gabbia di stereotipi delle rivali (la gelosia, i lamenti,
le accuse, i pregi dell'eroina ecc.);
- - Arte amatoria (Ars amatoria) in tre libri, composti
nei primi anni + (in due riprese: prima i primi due libri,
poi il terzo): una specie di summa erotica destinata alla
società elegante della Roma del tempo che fece di Ovidius
il suo interprete e beniamino;
- - i Rimedi d'amore (Remedia amoris), 407 distici
pubblicati nel 1\2+, analoghi all'"Arte amatoria" nella finta
e compiaciuta palinodia;
- - Medicamenti del volto (Medicamenta faciei), breve
prontuario di maquillage, in distici.
A questo stesso periodo appartengono una tragedia, Medea, molto
celebrata nell'antichità ma andata perduta, e altre opere
minori tutte perdute.
Pił ambiziose le opere scritte in seguito al suo accostarsi ai
circoli augustusiani.
I libri delle metamorfosi (Metamorfoseon libri) furono
iniziati nel 3+. E' un poema epico in esametri, vasta silloge
in 15 libri delle trasformazioni che la tradizione mitografica
gli offriva, dalla descrizione del Kaos fino alla trasformazione
di Caesar in astro, all'apoteosi di Augustus. Si accostava così
ai temi della propaganda contemporanea. Nonostante lo sforzo di
creare un poema unitario, resta un'opera frammentaria, un arazzo
affascinante in cui molta parte della letteratura greca e latina
(Homeros, i tragici, i poeti ellenistici, i latini fino ai contemporanei)
è usata e rifusa con unità di stile ma non di disegno.
I Fasti(Fasti) sono un poema elegiaco. Fu interrotto dall'esilio,
anche se rimaneggiato a Torni. Comprende i primi sei libri del
piano originario in 12. Destinato a narrare e spiegare mese per
mese le feste del calendario romano. Lo scopo era anche quello
di celebrare la Roma antica, in accordo con la volontà
di restaurazione morale e religiosa di Augustus.
Seguono le opere dell'esilio. L'evento dell'esilio fu un evento
sconvolgente per Ovidius, che allora aveva 35 anni e si trovava
all'apice del successo. Ovidius riuscì a fare di questa
faccenda un evento mitico, tra il patetico e lo stravolgente.
Sei mesi di duro viaggio per giungere a Tomi, quando vi giunse
«non ero pił io» (non sum ego qui fueram), si descrive precocemente
incanutito, tossicchiante, in un paesaggio desolante e rigido
ai confini pił estremi dell'impero.
Tra le opere dell'esilio, quelle che ci rimangono sono:
- Il poemetto Ibis è un elenco di maledizioni
in 322 distici, scritto durante il viaggio d'esilio.
- In cinque libri sono le Tristezze (Tristia), elegie
scritte nel 9-12+.
- Le Lettere dal Ponto (Epistulae ex Ponto) in metro
elegiaco, dedicate a amici a Roma, in quattro libri. Tre furono
terminati nel 12+, il quarto invece fu pubblicato postumo.
- Poemetto didascalico è La pesca (Halieutica)
di cui restano 134 versi. Ma non siamo sicuri dell'autenticità.
Non suoi sono "Noce" (Nux) e "Consolazione a Livia" (Consolatio
ad Liviam).
Ovidius è il testimone pił importante e tipico della seconda
metà del regime augustusiano. E' nettamente diverso dai
poeti della prima generazione, Virgilius e Horatius. Le guerre
civili sono lontane, il significato della pacificazione portata
da Augustus gli è presente. Di fronte a questo programma
Ovidius è semplicemente un conformista. La stessa antica
gloria di Roma è vista da lui con condiscendenza. La letteratura
è entrata nei salotti, è diventata spettacolo, rito
intellettuale. Ovidius è poeta della società mondana:
di qui l'edonismo letterario, l'eleganza, il virtuosismo tecnico.
Sia quando apparentemente in linea con il programma augustusiano
("Fasti") o che lo nega clamorosamente ("Arte amatoria" ecc.).
Manca di profondità di pensiero , di autentica sensibilità
per la politica. Il mondo greco gli offre un ricco apparato di
dottrina. Ma vero oggetto è la Roma contemporanea dei salotti
e della vita elegante del foro. Il linguaggio è quello
destinato a un'élite raffinata, fluido e impersonale, si
presta alle mimesi di moda, capace di evocare situazioni patetiche,
indugia con abilità sulla psicologia femminile. In ciò
è il miglior continuatore della letteratura ellenistica.
Anche l'elegia triste dell'esilio, non priva di note sincere,
manca di valori di fondo. Ovidius specula sugli umori, sulla possibilità
di compiacere l'imperatore e di persuaderlo. Alla morte di Augustus
sostituisce i versi dedicatigli nei "Fasti" con altri diretti
al principe designato Germanicus. La sensazione è sempre
quella di trovarci davanti a un retore piuttosto querulo. Rimangono
efficaci alcune pagine in cui trasfigura la sua esperienza.
Già la descrizione della navigazione di trasferimento nella
seconda elegia delle "Tristezze" vive di una tempesta prodigiosa
in cui il bell'Ovidius è un Ulisse spaesato. Là
in Romania, sulle rive di un mare cupo e selvaggio, la terra è
«[...] bianca di ghiaccio marmoreo, la neve forma
una distesa e Borea la indurisce rendendola perpetua [...].
La violenza con cui si scatena l'Aquilone è così
forte che rade al suolo alte torri e scoperchia tetti. La popolazione
si difende dal freddo cattivo con pelli e brache cucite, e di
tutto il corpo resta scoperto solo il viso. Spesso i capelli
muovendosi fanno rumore per i ghiaccioli che vi si formano,
e la barba risplende bianca dei cristalli che la ricoprono».
Persino il vino «sta insieme senza recipienti, mantenendo la forma
dell'anfora». Dice Ovidius: «com'è penoso che si trovi
a vivere tra Bessi e Geti colui che era sempre sulla bocca della
gente!». Il suo cuore rimane a Roma, quando i ghiacci si sciolgono
si precipita in spiaggia a scrutare l'orizzonte in cerca di una
vela che porti notizie da Roma (XII elegia). Eppure non si trova
in lui nessun ripensamento esistenziale, nessuna disperazione
profonda: solo la voce flautata di un retore un po' querule.
L'opera di Ovidius è però anche la storia ininterrotta
di un'esplorazione, sempre pił penetrante e sofisticata, del cuore
umano, condotta con inesauribile fecondità espressiva.
Di qui la suggestione esercitata. Ovidius ha un grosso virtuosismo
linguistico e metrico, con lui il distico elegiaco giunge a risultati
raramente superati.
Ebbe molto seguito nell'antichità (di qui il gran numero
di falsi, a lui attribuiti) e nel medioevo, quando fu ritenuto
secondo solo a Virgilius. Ebbe fortuna anche dentro estetiche
classiciste e anticlassiciste, un'eclisse nel XIX secolo.
Contesto
[1996]
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